di Bianca Laura Stan

La partnership strategica con la Cina porterà all’Iran maggiore sicurezza e cooperazione economica, ma Teheran eviterà di schierarsi completamente con Pechino per paura di diventare troppo dipendente da un unico partner e di alienarsi l’Occidente.

La firma, il 27 marzo scorso, di un partenariato strategico globale di 25 anni riflette l’interesse reciproco tra Teheran e Pechino, inclusa la collaborazione sulla Belt and Road Initiative (BRI). Ma l’Iran detesta l’idea di diventare strategicamente dipendente da un’unica potenza e cercherà di bilanciare la partnership con la Cina migliorando i rapporti con i Paesi occidentali; cosicché quella iraniana rimanga una “repubblica islamica né orientale né occidentale”, come affermato dal fondatore Ruhollah Khomeini.

L’accordo con la Cina sembra essere relativamente modesto, di fatto una dichiarazione d’interesse a cooperare in vari campi. Il testo ufficiale non è stato pubblicato ma una presunta versione di 18 pagine è apparsa sui social media nel giugno scorso. Il documento trapelato delinea una serie di aree in cui Cina e Iran potrebbero collaborare: investimenti, commercio, energia, prodotti petrolchimici, infrastrutture, difesa. “The Petroleum Economist” riferiva nel 2019 che la potenziale partnership includeva circa 400 miliardi di dollari di investimenti in Iran – una cifra successivamente riportata anche dal “New York Times”. Tuttavia nel documento non si precisano cifre.

L’Iran e la Cina hanno una serie di interessi strategici reciproci che li stanno spingendo a lavorare pragmaticamente l’uno con l’altro. Entrambi subiscono pressioni dagli Stati Uniti attraverso sanzioni e restrizioni commerciali. Entrambi vedono il sistema internazionale guidato dagli Stati Uniti e dall’Occidente come imperfetto. L’Iran cerca inoltre investimenti nella sua infrastruttura interna, che si adatta perfettamente alla strategia BRI del presidente Xi Jinping grazie alla posizione geografica e al fatto che il settore delle costruzioni è parte fondamentale del piano di stimolo cinese per la ripresa economica. L’Iran cerca di accrescere la forza militare convenzionale e strategica, intento in cui può aiutarlo la Cina. Non va poi dimenticato che la decisione cinese di non interrompere del tutto le importazioni di petrolio iraniano durante l’acme delle sanzioni statunitensi ha dato a Teheran un po’ di respiro finanziario. I due Paesi hanno un interesse comune a ridurre il ruolo del dollaro USA nel commercio internazionale, utilizzando valute alternative, come lo yuan cinese, nonché alternative alla piattaforma di messaggistica finanziaria SWIFT, con sede a Bruxelles, che sostiene i pagamenti e le transazioni internazionali.

L’Iran, tuttavia, rimarrà scettico sull’affidabilità della Cina come partner economico strategico e cercherà di evitare di diventare troppo dipendente da Pechino. L’Iran ha una lunga storia di bilanciamento delle relazioni estere con varie potenze, radicato nell’ideologia della Repubblica islamica fondata su autosufficienza e non allineamento. Il pragmatismo e le sanzioni l’hanno costretto a diventare più dipendente dalla Cina, ma Tehran si rammenta ancora di come, in passato, i costi dell’alleanza con altre potenze (all’epoca Usa, Gran Bretagna o Russia) superarono regolarmente i benefici. Gli Iraniani sanno bene che per la Cina non sono un partner unico ed essenziale in Medio Oriente: Pechino ha già firmato un accordo analogo con gli Emirati Arabi Uniti nel 2012. Né l’Iran si illude che la Cina verrà in suo aiuto in caso di guerra o che lo consideri un partner economico più importante dei propri rivali arabi. E se i funzionari cinesi hanno criticato le sanzioni statunitensi, le aziende cinesi le hanno generalmente rispettare. Gli investimenti cinesi nel settore petrolifero iraniano e negli altri sanzionati sono stati rallentati o sospesi. La Cina ha mantenuto un certo livello di importazioni di petrolio iraniano, diminuendolo notevolmente durante il mandato presidenziale di Donald Trump, quando scese a 200.000 barili al giorno. Inoltre, i prodotti cinesi sono competitivi con quelli di produzione iraniana, spesso a prezzi inferiori.

Nel 2019 l’Iran non era nemmeno tra i primi cinque fornitori mediorientali di petrolio alla Cina: Arabia Saudita, Iraq, Oman, Kuwait e Emirati Arabi Uniti ne vendevano tutti di più. Quell’anno il gigante petrolifero statale cinese, la China National Petroleum Corporation (CNPC), si ritirò dal progetto del giacimento gasifero South Pars nel Golfo Persico, sempre a causa delle sanzioni statunitensi.

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Teheran, dunque, continuerà a perseguire la normalizzazione con l’Occidente. Gli aspetti economici del partenariato strategico Iran-Cina sono progettati per supportare l’accordo sul nucleare iraniano, formalmente noto come Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), e i tentativi di Biden di recuperarlo. Infatti, la partnership fu proposta per la prima volta durante il viaggio del 2016 del Presidente Xi a Teheran, ossia prima della svolta di Trump e meno di una settimana dopo che gli Stati Uniti avevano ridotto le sanzioni all’Iran in ottemperanza del JCPOA. In quel momento l’Iran sperava che la rimozione delle sanzioni avrebbe portato a un’ondata di investimenti dall’Asia e dall’Europa: l’accordo di partnership strategica con la Cina era visto come preliminare per quei significativi investimenti cinesi.

Dal punto di vista di Pechino, tale partnership incentiva l’Iran a raggiungere un accordo con gli Stati Uniti. La Cina sicuramente non vuole che l’Iran diventi una potenza nucleare, perché ciò complicherebbe i legami economici (più profondi) che ha con altre potenze regionali quali l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. La Cina sarà ancora essenziale per la ripresa economica dell’Iran se gli Stati Uniti dovessero revocare le sanzioni, poiché qualsiasi sforzo iraniano per ottenere investimenti europei rimarrebbe probabilmente vano per molti anni ancora. Le aziende occidentali che erano disposte a fare investimenti in Iran dopo l’accordo sul nucleare sono state bruciate dalla decisione degli Stati Uniti di ritirarvisi nel 2018, quando erano passati solo due anni. Ciò le renderà più caute nell’ottica di un nuovo, possibile cambiamento di colore alla Casa Bianca nel 2024. Le aziende cinesi avranno perciò il grande vantaggio di fare la prima mossa e assicurarsi lucrose opportunità in Iran. Questo non farà che rinvigorire l’opposizione dell’opinione pubblica persiana al peso economico della Cina, spingendo ulteriormente la leadership iraniana ad adottare un approccio equilibrato nelle relazioni con Pechino.

Una delle aree più resistenti della cooperazione sino-iraniana sarà la Difesa: l’Iran, infatti, cercherà di approfondire la cooperazione militare con la Cina (in particolare sulle tecnologie militari) indipendentemente dalle sanzioni statunitensi. Anche se si dovesse superare il regime sanzionatorio, è improbabile che l’Iran ottenga accesso alla tecnologia militare occidentale. Nell’ambito del JCPOA, l’embargo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla vendita di armi convenzionali all’Iran è terminato nell’ottobre 2020. Molti dei sistemi d’arma convenzionali dell’Iran sono ancora sistemi statunitensi precedenti alla rivoluzione del 1979. La mancanza di moderni sistemi d’arma convenzionali lo ha costretto a fare affidamento sulle capacità asimmetriche. L’Iran vede la Cina (insieme alla Russia) come un’opzione per migliorare le proprie forze armate convenzionali e reperire assistenza tecnica e investimenti per l’industria nazionale della Difesa. Ma non è chiaro in che misura la Cina sarà disposta ad alienarsi gli Stati Uniti e gli altri partner regionali in Medio Oriente per facilitare la vendita di armi all’Iran.

Laureata in Giurisprudenza e laureanda in Psicologia, scrittrice e giornalista, collabora in Romania con “Anticipatia” e "Geopolitica.ro" e in Italia con "FuturoProssimo.it". Membro del Center for Complex Studies di Bucarest.