Giovanni Giacalone

Gli Emirati Arabi hanno chiuso lo spazio aereo al Boeing 767 dell’Aeronautica militare con a bordo tutta la stampa italiana diretta a Herat, Afghanistan, per partecipare alla cerimonia dell’ammainabandiera del tricolore presso la base di Camp Arena. Il Boeing è dunque atterrato a Dammam, in Arabia Saudita, dove ha sostato per quattro ore prima di poter ripartire alla volta dell’Afghanistan. Durante la sosta saudita, ai passeggeri dell’aereo non è stato concesso di scendere dal velivolo, a differenza di quanto avvenuto in Kuwait al ritorno, dove si è potuto scendere sulla pista a sgranchirsi. L’intoppo ha infatti portato a una modifica sul piano di volo di rientro, per evitare ulteriori problemi con gli Emirati. Il caso ha portato alla convocazione presso la Farnesina dell’ambasciatore emiratino Omar al-Shamsi per i necessari chiarimenti.

Un segnale chiaro da parte degli Emirati e forse anche dai sauditi, seppur un pelo più morbido; ma perché? Dopotutto il viaggio era stato programmato da tempo e il piano di volo già autorizzato.

In realtà non è così difficile capire le motivazioni degli Emirati, da ricollegarsi a una serie di infelici posizioni di politica estera tenute dall’Italia: in primis la decisione, presa ad inizio anno dal Governo allora guidato da Giuseppe Conte, di interrompere la vendita di armi ad Emirati e Arabia Saudita a causa della loro partecipazione alla guerra in Yemen. Una decisione più ideologica che altro, visto che va contro l’interesse nazionale dell’Italia. Attenzione poi, perché emiratini e sauditi stanno combattendo in Yemen a sostegno del governo internazionalmente riconosciuto di Abd-Rabbu Mansour Hadi e contro gli Houthi, i separatisti sciiti finanziati e sostenuti dall’Iran, esattamente come nel caso di Hamas e Hizbullah. In poche parole, l’Italia si sarebbe schierata a fianco di un gruppo “ribelle” finanziato da un Paese teocratico che già supporta Hamas (sulla black list di Unione Europea, Usa e Canada) ed il “Partito di Dio” libanese.

Non si può poi fare a meno di ricordare come l’Italia vada letteralmente a braccetto con la Turchia dell’islamista Erdogan in Libia, come già illustrato lo scorso dicembre quando in un report dell’Africom (le forze statunitensi in Africa) emerse come l’Italia stesse fornendo al Gna, il governo-fantoccio di Ankara in Libia, supporto in ambito di intelligence e controterrorismo. Un aspetto quanto meno curioso: come si fa infatti a fornire supporto di “controterrorismo” a chi i terroristi li esporta per utilizzarli a proprio vantaggio? In quel periodo veniva infatti esposto come Ankara avesse trasferito jihadisti siriani in Libia per utilizzarli contro Haftar, a sua volta sostenuto da Francia, Egitto ed Emirati.

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Insomma, se l’Italia decide di schierarsi a fianco degli islamisti turchi e di gruppi sostenuti da regimi come quello teocratico iraniano che già finanzia organizzazioni terroriste come Hamas, poi non ci si può certo stupire delle conseguenze. Ognuno sceglie i propri “amici”; poi però ne trae le dovute conseguenze.

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Ricercatore del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Laureato in Sociologia (Università di Bologna), Master in “Islamic Studies” (Trinity Saint David University of Wales), specializzazione in “Terrorism and Counter-Terrorism” (International Counter-Terrorism Institute di Herzliya, Israele). È analista senior per il britannico Islamic Theology of Counter Terrorism-ITCT, l’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies (Università Cattolica di Milano) e il Kedisa-Center for International Strategic Analysis. Docente in ambito sicurezza per security manager, forze dell’ordine e corsi post-laurea, è stato coordinatore per l’Italia del progetto europeo Globsec “From criminals to terrorists and back” ed è co-fondatore di Sec-Ter- Security and Terrorism Observation and Analysis Group.