L’Italia si erge come primo alleato europeo della Cina, con tanto di propaganda del regime comunista di Pechino diffusa dai media della Penisola. È l’accusa lanciata, in un articolo pubblicato lo scorso 7 giugno, dal sito conservatore americano “Breitbart”, dove viene enfatizzato l’interesse italiano per la Via della Seta ed anche per una “cooperazione pragmatica tra i due Paesi”.
Un importante attore della propaganda di regime viene individuato in “Cinitalia”, rivista ufficiale bilingue. Come si legge sul sito della Camera di Commercio Italo-Cinese: “È un progetto della sezione italiana di Radio Cina Internazionale volto a trattare temi centrali di economia e politica così come di cultura, arte, fashion, lusso, food e turismo”. “Breitbart” mette in evidenza come il progetto, di proprietà dello statale China Media Group, sia stato sviluppato appositamente per il mercato italiano con lo scopo di divulgare un’immagine positiva del regime comunista di Pechino.
Un cavallo di troia di “Cinitalia”, e dunque della China Media Group, viene individuato dalla testata americana niente meno che nel sito de “Il Giornale”, di proprietà della famiglia Berlusconi, che a “Cinitalia” ha dedicato una pagina intera dove vengono regolarmente caricati articoli di propaganda filo-cinese; attività iniziata tre mesi prima della visita in Italia di Xi Jinping, nel marzo 2019. Il sito americano mette in evidenza come altri contenuti di “Cinitalia” siano dichiaratamente prodotti in collaborazione con l’Ambasciata cinese a Roma e pubblicati soltanto dopo l’approvazione di Pechino.
Per fare un esempio, lo scorso 9 maggio, in un articolo pubblicato sul “Giornale” online, la repressione dei musulmani uiguri da parte del governo cinese veniva bollata come “manipolazione mediatica degli eventi”. Un altro articolo di gennaio elogiava Pechino per aver riportato Wuhan alla normalità dopo l’epidemia da coronavirus.
L’attacco di “Breitbart” non è però rivolto solo al giornale berlusconiano ma si estende ad altri media italiani che starebbero divulgando materiale filocinese, come ad esempio “Milano Finanza”, che ha pubblicato almeno un articolo di “CinItalia”, o l’agenzia stampa Ansa, che ha pubblicato fino a 50 articoli in un giorno della Xinhua News Agency, l’agenzia di stampa statale (ossia del Partito Comunista Cinese). L’accusa rivolta all’Ansa è di non rivelare ai suoi lettori che il governo cinese gestisce e approva tutti i contenuti di Xinhua.
“Breitbart” ha infine consultato Francesco Galietti, co-fondatore e CEO di Policy Sonar, il quale ha indicato come molto pesante l’infiltrazione cinese in Italia ed ha anche sottolineato il ruolo svolto dalla comunità di Villa Nazareth, che include l’ex premier Giuseppe Conte, nell’avvicinamento tra Roma e Pechino.
I media italiani sarebbero comunque in buona compagnia: secondo l’inchiesta contenuta nel nuovo libro di Alex Marlow, redattore capo dello stesso “Breitbart”, moltissime testate occidentale, anche di primo piano (come “New York Times”, “Washington Post”, e persino le più conservatrici “Wall Street Journal” e “Daily Telegraph”) avrebbero ricevuto denaro (in taluni casi nell’ordine dei milioni di dollari) dal regime comunista cinese per pubblicare advertorials, ossia pubbliredazionale, che nascondono la pubblicità (in questo caso la propaganda) sotto le vesti d’un apparentemente normale contenuto giornalistico.
Laurea in Scienze Politiche, ha approfondito la politica statunitense con particolare attenzione al passaggio dalla dottrina Reagan agli anni di Clinton. Attualmente si occupa di contrasto tra blocco Usa e Cina.
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