di Giovanni Giacalone

Il giudice per le indagini preliminari, Bernadette Nicotra, va contro quanto impostato dai pm sul caso del ghanese armato di coltello che, venerdì scorso, in Stazione Termini si è scagliato contro i passanti e gli agenti accorsi sul posto per fermarlo. Uno degli agenti è stato costretto a sparare un colpo contro l’esagitato che è rimasto ferito all’inguine, ma non è in pericolo di vita.

I pm avevano inizialmente ipotizzato tre reati: porto illegale di armi, resistenza a pubblico ufficiale e tentato omicidio. La Nicotra non ha però accolto l’ipotesi di tentato omicidio perché, a suo dire, l’africano non sarebbe stato intenzionato ad uccidere, come riportato dal “Giornale”. Intanto però l’agente che ha sparato viene iscritto nel registro degli indagati per “eccesso colposo di legittima difesa” e dovrà anche pagarsi le spese del processo.

Una situazione assurda su più piani: quello pragmatico, quello operativo (con la polizia che viene ostacolata dal compiere il proprio lavoro) e su quello dell’immagine, aspetto da non sottovalutare affatto.

Sul piano pratico, nel video si vede chiaramente l’africano, pregiudicato e già segnalato dalla direzione centrale di polizia di prevenzione per propaganda jihadista in carcere, saltare sui motorini parcheggiati e poi tentare di avvicinare gli agenti mentre agita il coltello con fare minaccioso. Gli agenti riescono a tenerlo a distanza e contenerlo ma sono impossibilitati ad avvicinarsi a causa del coltello, impugnato tra l’altro in “reverse grip”, tecnica particolarmente letale sulla corta distanza. Nessun cenno di resa. Oltre al rischio di aggressione nei confronti degli agenti, c’era anche il pericolo che l’africano si scagliasse improvvisamente contro i passanti. Chi conosce il tema della sicurezza sa bene come i rischi, in situazioni del genere, aumentano col passare dei minuti ed è fondamentale terminare l’intervento nel più breve tempo possibile. Sparare è dunque stato necessario, come del resto avviene anche in altri Paesi europei come Francia, Gran Bretagna e Germania.

Sul piano della sicurezza pubblica, la polizia ha sparato, in maniera tra l’altro non letale, per tutelare la propria incolumità e quella della cittadinanza; mettere l’agente sotto accusa per questo equivale ad impedire alle forze dell’ordine di operare adeguatamente alle proprie funzioni, tra cui quella di garantire la sicurezza dei cittadini. Se avessero potuto disporre del taser l’avrebbero utilizzato, ma non lo avevano (per quale motivo?).

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Vi è poi il piano dell’immagine, ossia che si può tranquillamente minacciare passanti con il coltello perché tanto la polizia non deve sparare, e si può persino evitare l’accusa di tentato omicidio. Su quali basi poi si può affermare che l’africano non volesse uccidere? È veramente difficile credere che l’esagitato, noto per essere un soggetto socialmente pericoloso, non avrebbe aggredito gli agenti se non fossero stati armati? Gli slanci in avanti visibili nel filmato parlano chiaro e aggredire una persona con un coltello alla mano può certamente causare ferite mortali. Attendiamo dunque possibili emulazioni, anche da parte di potenziali terroristi.

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Ricercatore del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Laureato in Sociologia (Università di Bologna), Master in “Islamic Studies” (Trinity Saint David University of Wales), specializzazione in “Terrorism and Counter-Terrorism” (International Counter-Terrorism Institute di Herzliya, Israele). È analista senior per il britannico Islamic Theology of Counter Terrorism-ITCT, l’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies (Università Cattolica di Milano) e il Kedisa-Center for International Strategic Analysis. Docente in ambito sicurezza per security manager, forze dell’ordine e corsi post-laurea, è stato coordinatore per l’Italia del progetto europeo Globsec “From criminals to terrorists and back” ed è co-fondatore di Sec-Ter- Security and Terrorism Observation and Analysis Group.