di Silvio Pittori

Per quale motivo la Segreteria di Stato Vaticana avrebbe dovuto omettere di lamentare la possibilità che il disegno di legge Zan violi l’articolo 2 del Concordato? Per quale ragione la Chiesa cattolica, nella sua massima espressione, avrebbe dovuto restare silente al cospetto del rischio, oltretutto assai fondato, riconducibile all’attuale testo del disegno di legge, di dover abdicare a quella funzione educativa, pedagogica, pastorale identificata anche nell’accordo di revisione del Concordato, funzione che ha plasmato l’Occidente? Dovremmo forse immaginare che la laicità dello Stato giustifichi una lesione dell’Accordo risalente al 1984, e, conseguentemente, l’esposizione ad una potenziale lesione di quella facoltà educativa che, da sempre, è esercitata dalla Chiesa, tutto ciò nel silenzio di quest’ultima? Vorremmo negare alla Chiesa cattolica il diritto di assumere una posizione, per giunta non strettamente confessionale ma di natura tecnico-giuridica, rispetto ad un tema che potrebbe incidere sull’opera pastorale demandatale?

La risposta è intuitivamente negativa.

In primo luogo la Sacra Romana Chiesa ha ben chiaro come la normativa dello Stato italiano degli ultimi decenni sia alluvionale, e come non sempre le modifiche o le innovazioni siano dal legislatore italiano valutate nella loro reale portata futura, pertanto anche nella loro idoneità a modificare gli equilibri derivanti da previsioni precedenti, contenute anche in accordi bilaterali. In secondo luogo, la Chiesa percepisce il rischio riconducibile ad un disegno di legge privo di quella chiarezza “tecnica” che dovrebbe essere tipica di ogni norma, quale baluardo contro derive di varia natura che potrebbero, nel nostro caso, incidere sulla stessa libertà di culto. Come negare infatti la reale difficoltà futura non soltanto di interpretare norme che assimilano, senza alcuna specificazione, al sesso biologico, il genere e l’identità di genere, ma anche di valutare gli effetti che la loro errata interpretazione potrebbe causare.

È pertanto pacifica la legittimità dell’intervento della Chiesa cattolica, che non può essere relegata soltanto ad una dimensione confessionale quando il tema oggetto dell’intervento ha natura giuridica, stanti le conseguenze dirette su diritti riconducibili alla stessa libertà di culto costituzionalmente garantita. A meno che non si voglia porre a repentaglio la costruzione stessa della nostra civiltà, senza avere contezza delle sue reali conseguenze.

Oltretutto, nel caso di specie la Chiesa cattolica si è astenuta dall’esporre la propria opinione in merito al tema del “genere” ed a quei concetti eccessivamente fluidi presenti nel disegno di legge Zan, essendosi correttamente limitata a sollecitare una “riflessione” sulla portata delle conseguenze riconducibili ad un probabile contrasto tra il surrichiamato ddl e le norme del Concordato, il quale, all’articolo 2, prevede espressamente il diritto della Chiesa cattolica di svolgere la missione pastorale e di evangelizzazione alla stessa demandata, con conseguente libertà di culto e di esercizio del Magistero. Nell’esercitare detti diritti, la Chiesa ribadisce concetti che affondano le proprie radici nella stessa ortodossia cattolica, esponendosi, stante la fluidità dei termini utilizzati nel disegno di legge, al rischio concreto che qualche magistrato contesti il reato di omofobia o quello di transfobia (“omo-lesbo-bi-transfobia”) ad un presule che si limiti semplicemente ad affermare che un figlio ha diritto ad una famiglia “naturale” composta, per la Chiesa, da un uomo e da una donna.

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D’altronde, non possiamo nasconderci che precedenti siffatti sono già presenti in alcuni Paesi europei. Ed allora perché giudicare invasiva la richiesta avanzata dalla Chiesa di una “riflessione” sul testo del ddl Zan per renderlo pienamente compatibile con l’articolo 2 del Concordato, e, non possiamo nascondercelo, con il comune sentire dei molti cristiani che seppur in un’epoca di costante secolarizzazione, avvertono tuttora il bisogno dell’esercizio da parte della Chiesa cattolica di quel Magistero che ha certamente concorso a creare il modello storico di nazione caratterizzata da quell’unità di storia, lingua e di religione avversata oramai dai fautori del sovranazionalismo “a prescindere”.

Alle prospettive “fedeziane” della nuova Europa, sono certamente da preferire le radici cristiane della stessa.

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Avvocato cassazionista con sede a Firenze, esperto in diritto civile societario e in diritto penale di impresa e contrattualistica. Laureato in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Firenze.