di Daniele Scalea

In un’epoca in cui lo Stato pretende (con successo) di limitare le libertà più essenziali del cittadino, dal movimento al lavoro, imponendogli domicili coatti, inattività e forse, nel futuro prossimo, anche trattamenti sanitari obbligatori – ecco, proprio in quest’epoca c’è una parte di Destra che continua a chiedere “più Stato”. Dimostrando così di non averci capito nulla della fase che stiamo vivendo.

Chiedere a prescindere “più Stato” è un errore speculare a quello di coloro che invocano lo “Stato minimo” indipendentemente dal contesto: si individua una soluzione che sarebbe perfetta e valida per ogni problema e situazione. Non è così. Lo “Stato minimo” ha lasciato che i grandi potentati economici costruissero monopoli che, dopo aver soffocato la concorrenza e prostrato la classe media, oggi sconfinano nella politica minacciando la democrazia stessa. Lo “Stato massimo” l’abbiamo visto invece nel recente tripudio di biopolitica: lo Stato che ti garantisce la vita non più nel senso di non togliertela, bensì di “concedertela”. Lo Stato che si fa padre e rende i cittadini bambini, li accudisce come si fa coi figli ma non con l’amore dei genitori, bensì con la fredda austerità della macchina amministrativa e l’arcigna severità di un patrigno cattivo: “Non uscire di casa!”, “Non stare fuori dopo le 22!”, “Non andare a scuola!”, “Non aprire il tuo negozio!”, “Non passeggiare al parco!”, “Non avvicinarti agli altri”, “Non scoprirti il volto”, e tutta un’altra serie infinita di divieti solo di tanto in tanto intervallati dai famosi “Noi concediamo…” di contiana memoria.

L’errore non è solo nell’essere poco in sintonia coi tempi e le loro priorità; principalmente sta nel considerare lo “Stato” come dotato di soggettualità cosciente, di “agenzia” come direbbero certi sociologi. L’idea che “lo Stato siamo noi” possa corrispondere a realtà e non essere (com’è) mera retorica, semplice metafora. Lo Stato, in realtà, è uno strumento, e come tale neutro: può fare il bene e può fare il male. Oggi a servirsi dello strumento Stato sono grandi potentati transnazionali e caste e camarille varie. Chiedere “più Stato” in questo momento significa invocare maggiori possibilità per i “poteri forti” di opprimere i cittadini. Prima di volerlo vedere in azione, lo Stato bisogna occuparlo.

La scelta del termine occupazione non è casuale. Va superata l’ingenua idea che in democrazia sia sufficiente vincere le elezioni e prendere il governo formale per governare effettivamente. Lo Stato sono gli apparati, le amministrazioni, le gerarchie funzionariali. Lo Stato è come una macchina, sì, ma in cui i singoli componenti sono dotati di vita propria. Non basta sedersi al posto del guidatore se le ruote non rispondono al volante e i freni non reagiscono al pedale. Lo Stato agisce in base alla volontà di chi lo occupa in quel momento (che, soprattutto in un Paese senza spoil system, equivale allo scaltro che ha vinto le elezioni precedenti e non all’ingenuotto che ha prevalso nelle ultime).

LEGGI ANCHE
Ddl Zan: reprimere in nome dei diritti

Benissimo: ipotizziamo che i “buoni” vincano le elezioni e siano abbastanza intelligenti e capaci da adoperare lo Stato, anziché essere adoperati essi stessi dagli apparati. Allora quello sarà il momento giusto per chiedere: “Più Stato”? Ancora una volta la risposta è: “No”, sebbene in maniera meno recisa che in precedenza. Servirà, lo Stato, al fondamentale scopo di tutelare i “deboli” dai “forti”, ossia i comuni cittadini dai potentati. Servirà, lo Stato, per tutelare l’interesse nazionale verso l’esterno. Ma non bisogna dimenticare che ogni potere corrompe e rischia di scivolare verso la tirannia: anche quello dei buoni e giusti, perché d’intenzioni buone e giuste è lastricata la via dell’Inferno. Non bisogna nemmeno dimenticare che una “repubblica”, una società libera, si fonda su uomini liberi e responsabili. L’eccesso di Stato, anche quando non tiranneggia, inevitabilmente deresponsabilizza. Così come un genitore amorevole ma iper-protettivo educa figli infantili e inetti, allo stesso modo uno Stato condotto da persone rette ma troppo presente continuerà a proporci una società immatura come l’attuale.

Quindi sì: poco più Stato, in futuro. Ma finché a controllarlo saranno i “cattivi”, meno ce ne sarà e meglio sarà.

Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.