di Daniele Scalea

L’autodistruzione dell’Occidente. Dall’umanesimo cristiano alla dittatura del relativismo è l’ultimo libro di Eugenio Capozzi, professore ordinario di Storia contemporanea all’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli e consigliere scientifico del Centro Studi Machiavelli. Con esso Capozzi si conferma uno dei migliori storici delle idee, in particolare di quelle oggi più in voga e influenti (memorabile anche il suo Politicamente corretto. Storia di un’ideologia). Passa infatti al setaccio la storia dell’Occidente in cerca del suo punto di forza e delle ragioni dell’attuale declino, sempre da una prospettiva morale e spirituale.

Ad avviso di Capozzi la superiorità storica dell’Occidente si deve all’umanesimo, da intendersi in senso lato come quella concezione dell’uomo (sortita dall’intreccio di filosofia greco-romana, religione cristiana e “libertarismo” celtico-germanico) quale essere fatto a somiglianza di Dio, posto al centro di un Universo razionalmente ordinato, libero artefice del proprio destino. Quest’umanesimo occidentale, cui si devono molti progressi e la democrazia, ha però trovato nella storia la competizione non solo di un anti-umanesimo, ma pure di un ancor più insidioso super-umanesimo.

L’anti-umanesimo è incarnato ad esempio da Lutero e dalla sua visione dell’uomo come totalmente dipendente dalla grazia divina; ma vi si inquadra anche la teoria hobbesiana, che riduce la politica a delega dei diritti e della forza dall’individuo allo Stato, al fine di conservare la mera sussistenza biologica. Nell’antropologia negativa protestante s’annida il germe della divinizzazione della politica, che può portare tanto a predicare l’ubbidienza assoluta al sovrano (come fa Lutero) o a creare una comunità separata che controlla strettamente gli individui (come fa Calvino).

Il super-umanesimo affondo le proprie radici, secondo Capozzi, già nel gnosticismo cristiano, come ambizione d’elevare l’uomo da ad immagine a pari di Dio. La fede nella ragione può spingere a credere in un progresso che travalichi i limiti della natura. La tensione perfettista nella vita sociale, indotta dal calvinismo ma recepita in parte anche dalla Controriforma, creò quell’aspettativa catartica che si sarebbe riversata nelle rivoluzioni del Settecento e, da allora, nella costante attesa dell’intellighenzia occidentale per una brusca palingenesi.

Nella stagione delle rivoluzioni moderne si intravvede ancora la dicotomia tra umanesimo e anti- o super-umanesimo. La Rivoluzione americana indicava al governo cosa non può fare, tutelando la sfera privata individuale; la Rivoluzione francese, all’opposto, assegna allo Stato il compito di realizzare i diritti e le aspirazioni soggettivi. Una visione stato-centrica che conduce all’eugenetica e all’attuale biopolitica, accomunate dall’idea che il governo debba migliorare la salute psico-fisica della società. È del resto propria della visione gnostico-superumanista, spiega Capozzi, la suddivisione drastica della società in una élite illuminata di iper-uomini e in una massa cieca che deve seguire fedelmente la prima.

Tra le pagine più interessanti del libro troviamo quelle che narrano l’origine e lo sviluppo di quel sentimento d’odio di sé, d’auto-dissolvimento dell’Occidente, che dà il titolo all’opera medesima. L’autocritica radicale dell’Occidente – nella ricostruzione di Capozzi – si è diffusa dagli anni ’30 del secolo scorso, resa possibile dalla corrosione dell’umanesimo avvenuto in quelli precedenti. Nel nuovo spirito relativista il diverso viene mitologizzato in opposizione ai tradizionali modelli di ragione e di etica. Il passaggio dell’anti-occidentalismo dalla cerchia intellettuale alla cultura di massa avviene nella generazione dei boomers: cresciuti nel benessere ma anche in un vuoto valoriale, sviluppano un latente senso di colpa che li predispone alla nuova ideologia.

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Col Sessantotto prende il sopravvento la nuova idea, quella di liberarsi da ogni eredità del passato per potersi godere una vita totalmente libera, innocente e che soddisfi ogni desiderio. Da qui la guerra culturale alla famiglia: le relazioni, infatti, devono servire solo al piacere soggettivo, senza alcuna responsabilità rispetto ad altri individui. Il desiderio diviene il criterio-guida del progressismo relativista, che però – essendosi lasciato alle spalle l’umanesimo e la sua visione universale dell’uomo – comincia a riconoscere l’individuo come soggetto di diritti solo in quanto identificato con un gruppo o tribù. I diritti divengono, nella nuova lingua, tutte e soltanto le aspirazioni dei gruppi presentati come in credito verso il resto della società.

In conclusione, si può dire che Capozzi abbia prodotto un altro libro essenziale per comprendere il nostro tempo. Bisogna infatti imparare a riconoscere con esattezza le macro-dinamiche in atto, quelle di lungo periodo; e con esse il nemico cui opporsi, le sue ambizioni e strategie. In caso contrario, la sorte è quella del pugile che si batte bendato contro un avversario a occhi scoperti. Una sorte facilmente prevedibile.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.