di Nicola De Felice

La riconquista del potere da parte dei talebani in Afghanistan è destinata a innescare un’ondata migratoria senza precedenti. Le inquietanti dichiarazioni del ministro dell’Interno tedesco, Horst Seehofer, non lasciano dubbi: a breve, cinque milioni di afghani cercheranno di entrare in Europa.

Dal 2015, secondo stime dell’UE, circa 570mila afghani, quasi esclusivamente giovani uomini, hanno chiesto asilo nei Paesi dell’UE. Nel 2020 la nazionalità afghana è stata la seconda con il maggior numero di richiedenti asilo dopo quella siriana. I maschi afghani, per molti dei quali è stata particolarmente difficile l’integrazione nella società europea, hanno commesso centinaia di aggressioni sessuali contro donne europee. L’arrivo in Europa di milioni di afghani fa presagire notevoli sconvolgimenti sociali futuri.

Gli Stati membri dell’UE sono, come al solito, divisi su come prepararsi all’imminente tsunami migratorio. I leader di alcuni Paesi sono per l’obbligo umanitario di accettare un gran numero di migranti afghani. Altri sostengono che è tempo che i Paesi islamici se ne facciano carico. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha affermato che l’UE ha “la responsabilità morale” di accogliere coloro che fuggono dai talebani, ma i leader di molti Stati dell’UE non sono d’accordo.

In Austria, dove vivono 40 mila afghani, il cancelliere Sebastian Kurz ha promesso che il suo Paese non ne accoglierà altri. Il suo ministro dell’Interno Karl Nehammer ha dichiarato che il divieto generale di espulsione è un fattore di attrazione per l’immigrazione illegale e alimenta solo gli affari criminali dei trafficanti di esseri umani. L’Austria, dunque, conferma la linea politica che impone priorità alla sicurezza interna piuttosto che a quella umanitaria.

In Germania (che ne ha già ospitati 148 mila) la migrazione afghana è una delle principali questioni in vista delle elezioni federali del prossimo 26 settembre. Paul Ziemiak, segretario generale dell’Unione Cristiano-Democratica della cancelliera Angela Merkel, ha affermato che la Germania non dovrebbe adottare la politica della migrazione a porte aperte perseguita nel 2015.

In Francia, il presidente Macron ha chiesto una risposta europea coordinata per prevenire la migrazione di massa dall’Afghanistan. Marine Le Pen, candidata alle prossime elezioni presidenziali, ha affermato che la Francia deve dire “no alla massiccia migrazione di rifugiati afghani”. In Grecia, il governo di sinistra ha eretto una recinzione di 40 km con tanto di sistema di sorveglianza al confine con la Turchia. Nel Regno Unito, il primo ministro Boris Johnson ha dichiarato che non rimanderà indietro i profughi, ma nemmeno permetterà di arrivare dall’Afghanistan in modo indiscriminato. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato che la Turchia non ha alcun obbligo di essere il magazzino dei rifugiati in Europa.

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E l’Italia? La bella Penisola è da anni la porta d’ingresso per l’Europa per i migranti provenienti dall’Africa, dall’Asia e dal Medio Oriente. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha invitato il G20 a tenere un vertice sulla situazione in Afghanistan. I sindaci di alcune grandi città hanno già annunciato la loro intenzione di accogliere i profughi. Con tali dichiarazioni, soprattutto quelle austro-tedesche, l’Italia rischia di diventare l’entry point in Europa anche per gli afghani.

I trafficanti di esseri umani sono già al lavoro per organizzare il flusso attraverso voli in Libia e poi via mare in Italia, come già fanno con i bengalesi. In Albania, Macedonia e Kosovo si stanno intravedendo preoccupanti concentrazioni di afghani pronti per sbarcare in Puglia o per dirigere a Trieste. È, a mio avviso, un rischio evidente per i nostri concittadini.

Sono pienamente consapevole delle tragedie umane e dell’evidente disagio di alcuni dei legittimi profughi, ma il diritto di asilo non deve continuare ad essere, come è ora, il cavallo di Troia dell’immigrazione massiccia, non controllata e imposta, dell’islamismo – e in alcuni casi di terrorismo – come è avvenuto per alcuni jihadisti coinvolti negli attentati del 2015 a Parigi. Ciò che deve contare per le nostre Autorità politiche è la protezione dei nostri connazionali. Il ministro degli Esteri faccia pressione affinché l’UE adotti una politica più cauta onde evitare una nuova crisi migratoria che l’Italia non è in grado di sostenere ed il ministro dell’Interno concordi con la Slovenia e con la Croazia politiche di sicurezza che prevedano pattugliamenti misti italo-sloveno e italo-croato ai confini sud di quei Paesi. Parole al vento? Io dico: prevenire è meglio che curare.

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Senior Fellow del Centro Studi Machiavelli. Ammiraglio di divisione (ris.), già comandante di cacciatorpediniere e fregate, ha svolto importanti incarichi diplomatici, finanziari, tecnici e strategici per gli Stati Maggiori della Difesa e della Marina Militare, sia in Patria sia all’estero, in mare e a terra, perseguendo l'applicazione di capacità tese a rendere efficace la politica di difesa e di sicurezza italiana.