di János Nagy

L’insaziabile bisogno dell’Unione Europea non è un fenomeno nuovo: si tratta di uno dei maggiori importatori energetici al mondo, che riceve dall’esterno più di metà del fabbisogno. Lo status quo energetico, però, è preoccupante, sia per la carenza di risorse naturali sia per le ultime tendenze di politica energetica. Nei prossimi venti o trent’anni l’UE rischia di raggiungere un livello di dipendenza del 70-80% dalle importazioni. Nel caso del petrolio greggio la cifra ha già oggi raggiunto l’80%. È un fenomeno generalizzato a livello europeo, dove l’importazione è fortemente viziata dal fatto di provenire da un solo Paese.

La dipendenza unilaterale rende questi Paesi vulnerabili a cambiamenti nel mercato internazionale o a ricatti geopolitici. Le preoccupazioni sono a maggior ragione giustificate dalla crisi energetica che, in questo 2021, stanno affrontando governi e cittadini europei. Diminuire la dipendenza dall’estero è un interesse di sicurezza nazionale, teso pure a preservare la sovranità degli Stati membri e dell’UE nel suo complesso.

L’UE è in pericolo?

In questo momento i prezzi del gas e dell’elettricità stanno avendo aumenti record in tutto il continente. Il processo di transizione dell’UE verso le rinnovabili non può (ancora?) prevenire simili crisi energetiche, causate da fattori inerenti la geografia, il mercato, la politica o semplicemente strutturali. Il gas è una risorsa naturale ampiamente utilizzata, sicché l’aumento dei prezzi impatta sulla vita quotidiana dei cittadini (quando cucinano o accendono il riscaldamento). L’Europa sta sperimentando bollette energetiche estremamente alte proprio in fase di ripresa economica post-pandemica.

La sicurezza dell’approvvigionamento è essenziale!

Nella società moderna il funzionamento dell’economia (e delle famiglie) dipende fortemente dall’approvvigionamento energetico. A causa della modernizzazione, la quota di industrie che godono di fornitura energetica ininterrotta è in aumento. Elettricità, gas naturale e carburante sono beni essenziali allo stile di vita moderno; servono inoltre alle scuole, alla sanità, alle telecomunicazioni e pure per mobilitare le forze militari. Se non si riesce a fornire energia a sufficienza le fabbriche devono chiudere, i cittadini pagare sempre più caro, gli Stati intervenire assumendosi il peso finanziario. Le decisioni politiche sono assai influenzate dall’incapacità di difendersi.

La guerra del gas tra Russia e Ucraina è un buon esempio di come Paesi dipendenti da parti terze siano vulnerabili a un ambiente politico instabile. Nel 2009 il trasporto del gas verso l’Ungheria si fermò per quasi due settimane, proprio mentre l’Europa affrontava un inverno particolarmente rigido. L’importazione stabile e continua di gas naturale era in pericolo, finché il governo non decise di valorizzare altre fonti attraverso gasdotti transfrontalieri, siglare nuovi contratti per diversificare la catena d’approvvigionamento, aumentare la capacità di stoccaggio e investire in impianti nucleari. Il tutto per incrementare la propria sovranità.

L’obiettivo più importante della politica energetica ungherese è quello d’ottimizzare la sicurezza dell’approvvigionamento, la competitività, la sostenibilità, sempre tenendo in considerazione fattori di lungo periodo. Bisogna dire che competitività e sicurezza sono due obiettivi in contraddizione tra loro: enfatizzare troppo uno dei due significa perdere di vista l’altro.

Cosa ha causato la crisi energetica?

Nel 2021, nel pieno della ripresa post-pandemica, i prezzi di gas ed elettricità stanno salendo alle stelle. Una spiegazione di questo fenomeno altamente complesso punta il dito verso la Russia.

Molti sostengono che il progetto “Nord Stream 2” stia influendo sugli aumenti. La condotta è già stata costruita, attende l’approvazione e raddoppierà l’esportazione di gas russo verso la Germania. In una lettera di questo mese alla Commissione Europea, 40 eurodeputati hanno accusato “Gazprom” di rifiutare forniture aggiuntive “malgrado le informazioni disponibili secondo cui Gazprom avrebbe capacità produttive sufficienti”. I firmatari sollevano il sospetto che “Gazprom” voglia far pressione sull’Europa per ottenere un immediato avvio del Nord Stream 2, malgrado l’inadempienza di regole UE per il mercato energetico.

L’altra spiegazione che divide l’UE riguarda il Green Deal. Molti accusano l’accordo “verde” mentre altri ritengono sia cominciato troppo tardi. Di quest’ultimo avviso è Frans Timmermans, vice-presidente della Commissione responsabile dello European Green Deal, che al Parlamento Europeo ha dichiarato: “La cosa ironica è che che avessimo avuto l’accordo verde con cinque anni d’anticipo oggi non ci troveremmo in questa situazione, perché saremmo meno dipendenti dalle fonti fossili”. Di contro, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki aveva in precedenza dichiarato che “la bolletta energetica polacca è legata alle politiche climatiche dell’UE”.

Una cosa è certa: si tratta d’una situazione complessa che coinvolge numerosi fattori. Anche l’aumento della domanda in Asia ha contribuito ai prezzi più alti nell’UE.

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Come stanno rispondendo i governi?

Guardiamo a qualche esempio dall’Europa di Paesi che hanno cambiato approccio ai sussidi statali dopo la pandemia. In Francia il chèque énergie serve ad offrire un aiuto immediato di € 100 a coloro che faticano a pagare le bollette. Il Primo Ministro italiano ha annunciato un piano d’aiuti da 3 miliardi di euro, con sussidi alle utenze e nessun aumento delle tasse. In Spagna il governo ha promesso un taglio delle tasse e di riportare i prezzi ai livelli del 2018. Parliamo di interventi statali per alleviare il peso sulla popolazione. I governi hanno capito che questo boom dei prezzi non può essere caricato sui cittadini.

Possiamo leggere di storie scioccanti, come quella di Nieves Leal, che vive in un quartiere operaio di Madrid e già ha visto un aumento nella bolletta elettrica. Leal ha 63 anni, guadagna 500 euro lavorando part-time come donna delle pulizie. Lei e la figlia hanno smesso di comprare vestiti e ridotto il contratto di fornitura elettrica al minimo indispensabile per gli elettrodomestici; cucinano, lavano e stirano solo nei fine settimana o ad ora tarda, quando costa meno. “È vergognoso ma non ho altra scelta – ha spiegato ai giornalisti – anche se guadagnassi il doppio, credo che nessuna famiglia possa sostenere questi prezzi ingiusti”.

La politica energetica ungherese è stata molto attaccata ma, oggi, può servire da esempio, in virtù del suo rapporto nucleare-rinnovabili e dei prezzi alle utenze controllati dallo Stato sin dal 2013. Come si legge nella Strategia Energetica Nazionale, il massimo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili è considerato come uno dei principali mezzi di indipendenza. Un altro è assicurare e sviluppare l’energia nucleare. Andrebbe pure considerato che, in luogo d’una produzione energetica decentralizzata (basata sull’utilizzo della propria fonte energetica), una produzione centralizzata potrebbe sfociare in un declino marginale e in un nuovo tipo di dipendenza. L’Ungheria ha una strategia energetica difensiva, incentrata primariamente sull’assicurare l’approvvigionamento e ridurre le importazioni.

Linea d’azione

Visto che la stabilità delle importazioni energetiche di molti Stati Ue è in pericolo, bisogna prendere in considerazione determinate azioni. Sviluppando le strutture di stoccaggio nazionali, incrementandone la capacità, non ultimo connettendosi a nuovi gasdotti e reti elettriche transcontinentali, si può conseguire una maggiore indipendenza.

Raggiungere le zero emissioni nel 2050 richiede uno sforzo straordinario cui tutti i governi e i cittadini dovrebbero contribuire seriamente. La strategia di lungo termine dell’UE dovrebbe però contenere taluni freni per quei casi in cui gli Stati non possono soddisfare la domanda e considerare l’importazione come una soluzione ragionevole, in attesa che si completi la transizione verde. Questo processo permetterebbe ai Paesi di “raggiungere l’obiettivo” mentre importano risorse non rinnovabili. Nel corso dell’intera transizione i Paesi dovrebbero anche stare attenti a non rimpiazzare la dipendenza esistente con un’altra.

La transizione non va dunque interrotta, ma dev’essere organizzata ed eseguita meglio. Alla fine dei conti più tubi transfrontalieri e più impianti nucleari significano minore dipendenza. Inoltre, quando i prezzi sono alti, i consumatori possono conservare le loro abitudini essenziali solo se lo Stato interviene. Nella crisi energetica attuale questi passi possono garantire un approvvigionamento stabile, come abbiamo visto nel caso ungherese. I tre obiettivi d’ogni strategia energetica sono: sicurezza, competitività, sostenibilità.

Problemi tanto complessi sollevano questioni che non possono essere decise interamente a livello politico. Anziché prendere decisioni sulla base di slogan politici, servono esperti professionisti e attente valutazioni nel momento in cui si mette assieme una politica energetica.

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MCC Fellow presso il Centro Studi Machiavelli.