di Luca Ruggeri

Uno degli argomenti più dibattuti circa la Cina ed i suoi obiettivi politico-economici riguarda il supporto finanziario ai Paesi meno sviluppati, tema sul quale si sono scontrate posizioni assai diverse tra loro che ora possono giovarsi di un nuovo contributo.

“AidData”, un think tank del William & Mary’s Global Research Institute, alla fine del mese di settembre ha infatti pubblicato un nuovo paper circa l’intervento finanziario cinese nei paesi in via di sviluppo (Banking on the Belt and Road: Insights from a new global dataset of 13,427 Chinese development projects). Lo studio si basa sui dati di 13.427 progetti in 165 Paesi per un arco di tempo di 18 anni a fronte di un importo complessivo di ben 843 miliardi di dollari; somma che plasticamente sintetizza l’ampiezza dello sforzo posto in essere dalla Cina, anche prima del progetto della Via della Seta (Belt and Road Initiative), e che risulta, su base annua, quantitativamente pari ad oltre il doppio di quanto messo in campo dagli USA e dalle altre maggiori potenze mondiali.

Lo stesso centro di ricerca in un precedente lavoro, da noi già commentato, aveva analizzato un set di 100 contratti di finanziamento, tra soggetti cinesi pubblici e governi di 24 Paesi in via di sviluppo, evidenziandone le peculiarità (in particolar modo la riservatezza e lo squilibrio contrattuale a favore dei soggetti finanziatori) che li caratterizza. Il nuovo contributo solleva ulteriori perplessità circa l’atteggiamento della Cina nei confronti dei Paesi debitori e, tra le varie possibili considerazioni, ci limitiamo a citare quelle che, ad avviso di chi scrive, meglio rappresentano tale atteggiamento.

Preliminarmente: non stiamo parlando di beneficenza. Nell’ambito dell’ampia casistica analizzata i finanziamenti superano i contributi a fondo perduto in un rapporto di 31 a 1, dimensione che lascia poco spazio all’interpretazione.

Sconcertante l’analisi del tasso medio e della durata degli interventi. I finanziamenti cinesi erogati da soggetti istituzionali presentano un tasso medio del 4,2% con una durata media delle operazioni di 9,4 anni ed un periodo di grazia di 1,8 anni. I finanziamenti censiti dall’Organizzazione per la Cooperazione Economica (Development Assistance Committee – DAC), erogati da diversi soggetti, espongono invece un tasso ben inferiore (1,1%) ed una durata più lunga (28 anni); caratteristiche certamente più favorevoli ai debitori e che meglio si attagliano ad investimenti strutturali che hanno un orizzonte economico molto più ampio dei 10 anni scarsi che costituiscono la durata media dei finanziamenti cinesi.

LEGGI ANCHE
Il "riavvicinamento di Verona". Un consenso post-Picchi? I vortici della politica estera italiana verso la Cina

A tutela del credito la maggior parte dei finanziamenti (60%) sono assistiti da garanzie talvolta legate all’export di prodotti da parte del Paese debitore; tra i finanziamenti di maggior importo 40 su 50 sono garantiti. Spesso le garanzie sono strutturate con clausole assai gravose per il debitore, come ben illustrato nell’analisi dei contratti effettuata dallo stesso centro studi.

L’aspetto più sorprendente che emerge dalla dettagliata analisi realizzata è costituito dall’entità dell’indebitamento e dalla sua opacità. Ben 42 paesi hanno una esposizione debitoria nei confronti della Cina superiore al 10% del loro PIL: parlare quindi di trappola del debito è tutt’altro che fuori luogo.

I finanziamenti, inoltre, spesso non sono contratti direttamente dallo Stato bensì da altre realtà che beneficiano di una garanzia statale implicita o esplicita, ad esempio società pubbliche, banche pubbliche, veicoli societari ad hoc (“Special Purpose Vehicles”) oppure joint-ventures; quindi soggetti che gravano comunque sul debito statale, sia pure in forma di garanzia, ma senza essere documentati come debiti statali; l’ammontare di tale tipologia debitoria, che lo studio in oggetto definisce nascosta (“hidden”), è pari complessivamente alla cospicua somma di 385 miliardi di dollari !

L’atteggiamento talvolta predatorio ha comunque creato diversi problemi, dato che ben il 35% dei progetti infrastrutturali posti in essere nell’ambito della Belt and Road Initiative è stato coinvolto in casi di corruzione, violazioni dei diritti dei lavoratori, tematiche ambientali e proteste pubbliche.

L’analisi svolta da “AidData” ha l’indubbio pregio di fornire un chiaro quadro dell’entità dell’intervento cinese e delle sue tipiche modalità operative. Rimane poi al decisore politico una valutazione complessiva, anche al fine di sfruttare le opportunità che in tale quadro si possono intravedere.

+ post

Ricercatore senior del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Economia, ha lavorato per oltre venti anni presso una grande banca italiana ed attualmente svolge la propria attività quale direttore generale presso un investitore istituzionale.