di Massimiliano Carta
“Quando una ragazza smette di essere musulmana viene uccisa” tramite lapidazione. Queste le parole riportate da “Il Giornale” in un articolo del giorno 8 Giugno 2021, che cita “La Nazione”, riuscita ad entrare in possesso di stralci di ordinanza di applicazione coercitiva emessa nei confronti dei genitori e dei familiari coinvolti nella sparizione della giovane Saman Abbas, nei pressi di Novellara (provincia di Reggio Emilia). “Indubbio che nella famiglia della giovane” si può continuare a leggere del testo originale “la irrequietezza e inosservanza dei precetti tradizionali e religiosi fosse vissuta come estremamente problematica e offensiva dell’onore famigliare”.
A più di una riflessione induce il caso preso in considerazione nelle prime righe, indegno prologo di una questione culturale lasciata fermentare nel corso dei decenni e mai del tutto affrontata seriamente dalle classi politiche alternatesi nel corso delle varie legislature nei vari Paesi europei.
Seconde generazioni e gang criminali
Risale al 27 Aprile scorso l’appello lanciato dai rappresentati delle Forze Armate francesi al presidente Emmanuel Macron, che esortava la politica a lottare contro la “disintegrazione” del Paese, invitando quindi l’Eliseo alla difesa della Costituzione francese e dell’unità territoriale minate dalla diffusione capillare della religione islamica e dalle “orde di banlieu”. Appello lanciato non senza cognizione di causa, dato che la religione del Profeta occupa la seconda posizione tra quelle più praticate nel Paese, preceduta solo dal cristianesimo (assai ridimensionato nelle percentuali ufficiali), con porzioni di città totalmente fuori controllo e poste sotto l’egemonia di narco-banditi quasi esclusivamente di fede islamica.
Da quanto risulta emergere dalle analisi di Eurogang Program of Research, sono le seconde generazioni di immigrati islamici e anche non islamici ad alimentare le gang. Per esempio i marocchini in Olanda o i turchi e i palestinesi in Germania. In Svezia, delle numerose no-go-area forse la più tristemente nota è Rikenby, sobborgo nel nord di Stoccolma occupata in prevalenza da immigrati di origine islamica. Seguono Malmo e Gothenburg, ove le forze dell’ordine sono costrette ad entrare in assetto di guerra onde difendere la propria incolumità da lanci di bombe molotov. Proprio a Gothenburg il 9 dicembre 2017 una sinagoga è stata oggetto di lanci di materiali incendiari da parte di un gruppo di giovani completamente vestiti di nero.
L’islamizzazione dell’Inghilterra
Nel mese di marzo dello stesso anno l’autorevole quotidiano inglese “Daily Mail” pubblicava le fotografie di una chiesa e una moschea site a poca distanza l’una dall’altra, nel centro di Londra. Una mostra la chiesa di San Giorgio a Cannon Street Road: una decina o poco più di persone riunite per celebrare la messa. La vicina moschea Brune Street Estate ha, al contrario, un problema di sovraffollamento. Essa può contenere solo qualche centinaio di fedeli musulmani. Cosa impossibile nella realtà: il venerdì i numeri raddoppiano, triplicano costringendo i fedeli a riversarsi nelle strade per potere espletare la loro funzione religiosa. Da come si può dedurre, il cristianesimo e l’anglicanesimo, in Inghilterra, non sono quasi più le religioni dominanti. La chiesa di San Pietro su Waterloo Road, a Birmingham, è divenuta la moschea Madina. La Hyatt United Church è stata acquistata dalla comunità egiziana per essere convertita in moschea. La Brick Lane Mosque è stata costruita sui resti di un’ex chiesa metodista.
Non solo gli edifici sono convertiti, ma anche le persone. Il numero dei convertiti all’Islam è raddoppiato negli ultimi dieci anni, andando anche a rafforzare i ranghi del radicalismo (come Khalid Masood, il terrorista che il 22 Marzo 2017 colpì Westminster). Demograficamente il “Londonistan” (nome dato alla città dalla scrittrice Melanie Philipps) ha sempre più un volto islamico, i cui tratti somatici possono essere riscontrati minuziosamente anche a Birmingham, Bradford, Derby, Dewsbury, Leicester, Leeds, Luton, Liverpool, Waltham Forest, Sheffield.
L’islamizzazione ci ciba di Stato sociale
Il Londonistan si ciba di welfare, come affermato da Terri Nicholson, vicecomandante dell’unità antiterrorismo della polizia di Londra. Il denaro dei contribuenti viene abitualmente utilizzato dai jihadisti: Anjem Choudary, l’imam radicale, ha esortato i seguaci a lasciare il lavoro e a chiedere la disoccupazione per pianificare la guerra agli “infedeli”. I contribuenti pagano l’affitto a Hani al Sibai, il mentore di Mohammed Emwazi (meglio conosciuto come “Jihadi John”, kuwatiano naturalizzato britannico ed assassino di alcuni prigionieri stranieri per conto dello Stato Islamico, tra cui il corrispondente di guerra James Wright Foley e il giornalista Steven Sotloff, entrambi di nazionalità americana). Abu Hamza, il predicatore egiziano, è costato 338 mila sterline in benefit. L’imam palestinese Abu Qatada 500 mila sterline e Omar Bakri, il siriano, ha ottenuto benefit per 300 mila sterline prima del suo esilio in Libano.
Sharia in the UK
Ma c’è un fenomeno che, sotto gli occhi del governo della Corona, delle forze dell’ordine e dei media stessi, ha preso pian piano forma, radicandosi e consolidandosi nel tessuto sociale: la legge della Sharia. Se ne possono contare più di cento, a Londra, di corti di giustizia islamiche ufficiali.
Tale fenomeno è stato reso possibile dal British Arbitration Act e dal sistema dell’Alternative Dispute Resolution. Questi tribunali si fondano sul rifiuto del principio di inviolabilità dei diritti umani, dei valori di libertà e di uguaglianza che sono alla base della Common Law inglese. Molte personalità inglesi hanno aperto all’introduzione della sharia. Uno dei più alti in grado fra i giudici britannici, Sir James Munby, ha affermato che la cristianità non influenza più i tribunali e le corti devono anch’esse aprirsi al multiculturalismo. Forse vorrà dire “essere più islamiche”? Rowan Williams, ex arcivescovo di Canterbury, e il presidente della Corte suprema, Lord Phillips, hanno affermato che il diritto inglese dovrebbe assorbire elementi stessi della sharia, accettando le richieste dei “nuovi inglesi”.
Il tradimento dei chierici
Ovviamente i centri culturali non sono esenti dall’avanzare di questa nuova forma mentis sociale: alla Queen’s Mary University di Londra le donne di religione islamica sono costrette ad entrare e sedersi nel fondo della sala, se in presenza di uomini islamici. La Società Islamica, alla London School of Economics, nel contesto di una serata di gala ha preteso l’installazione di un pannello divisorio di sette metri tra donne e uomini. È doveroso ricordare che tale istituzione di cultura economica è stata lautamente sovvenzionata da Emirati Arabi, Kuwait e Turchia. La King Fahd Academy di Londra, con i suoi cinquecento allievi, è la più prestigiosa accademia islamica del Regno Unito ma è stata travolta da uno scandalo, quando si è scoperto che nella scuola si usano manuali in cui gli ebrei sono definiti “figli di maiali e scimmie”. Addirittura l’ambasciatore inglese in Arabia Saudita, Simon Collis, si è convertito all’islam e ha compiuto l’hajj, il pellegrinaggio alla Mecca. Ora si fa chiamare “Haji” Collis.
Come non possono mancare all’appello i media televisivi? Come stabilito dal direttore del servizio pubblico della BBC, Mark Thompson, è severamente vietato fare battute su di ogni cosa inerente all’islam. Seguono a ruota lo “Indipendent” e il “Telegraph”.
Il ruolo del CERF
Una realtà che è un frutto degenere dell’ideologia del multiculturalismo che, dopo aver scardinato la società dividendola in ghetti urbanistici, scolastici, etnici e confessionali in conflitto con gli autoctoni sul piano dei valori e dell’identità, ha permesso che si creasse un doppio binario giuridico con la sharia.
Il primo tribunale islamico in Gran Bretagna fu istituito nel 1982 a Leyton, a est di Londra, con il nome di “Consiglio della sharia islamica”. Il segretario generale è Suhaib Hasan, membro del CERF, Consiglio Europeo per le Ricerche e la Fatwa, organismo presieduto dall’apologeta del terrorismo islamico Youssef Qaradawi, leader spirituale e giuridico dei Fratelli Musulmani in Europa, cui la Gran Bretagna ha poi negato il visto d’ingresso. Nel suo statuto il CERF sancisce che
la sharia incarna, inequivocabilmente ed inesorabilmente, le leggi supreme della vita. La sharia pertanto deve essere rispettata come superiore alla stessa legge civile e, addirittura, alla democrazia. La sharia non può essere emendata per conformarsi all’evoluzione dei valori e dei comportamenti umani. La sharia è in assoluto la norma a cui devono sottomettersi tutti i valori e i comportamenti umani, è il contesto cui essi devono fare riferimento ed è il parametro con cui essi devono essere vagliati.
Tale tribunale, dal 1982 al 2008, ha emesso 7.000 sentenze di divorzio islamico: le cause più comuni sono state per la formalizzazione del talaq, il ripudio della donna da parte dell’uomo, e del faskh, annullamento del matrimonio con restituzione della dote, per esplicita richiesta della donna maltrattata dal marito.
Il nuovo ordine mondiale islamico
“Con le vostre leggi democratiche vi invaderemo; con le nostre leggi religiose vi domineremo”: non sono parole da prendere con leggerezza quelle proferite al monsignor Bernardini, vescovo di Smirne, da un autorevole personaggio musulmano nel corso dell’assemblea speciale del sinodo dei Vescovi per il dialogo islamico-cristiano in ambito europeo, tenutasi a Città del Vaticano il 13 Ottobre 1999.
Il dominio è già cominciato con i petrodollari, usati non per creare lavoro nei Paesi poveri dell’Africa e del Medio Oriente, ma per costruire moschee e centri culturali nei paesi dell’immigrazione islamica, compresa Roma, centro della cristianità. Come non vedere in tutto questo un chiaro programma di espansione e di riconquista? È un fatto che termini come “dialogo”, “giustizia”, “reciprocità” o concetti come “diritti dell’uomo”, “democrazia” abbiamo per i musulmani un significato completamente diverso dal nostro.
Alla luce di tutto ciò come non citare un passo dell’opera di carattere storico The Islamic Law of Nations: Shaybani’s Siyar dell’accademico iracheno (naturalizzato statunitense) Majid Khadduri, ove vengono narrate le conquiste islamiche del VII secolo d.C: le regioni che l’islam aveva, passo dopo passo, conquistato o dove dominava su popolazioni tributarie non musulmane erano concepite come un’unica entità politica, denominata “dar al-Islam”, la “casa dell’islam”, ossia il regno della pace. Esse erano dominate dal califfato, un’istituzione a carattere religioso definita dalla legittima successione all’autorità politica terrena che il Profeta Maometto aveva esercitato fino alla sua morte. La terra al di fuori di tale unità era denominata invece “dar al-harb”, la “casa della guerra”, da incorporare e sottomettere al proprio ordine mondiale per avere una sorta di pax islamica universale.
La strategia da adottare per realizzare questo sistema totalitario sarebbe stata chiamata “jihad”, un obbligo che vincolava i credenti ad espandere la loro fede mediante la lotta (non solo armata, ma anche culturale o spirituale). A seconda delle circostanze e della varie epoche, il credente poteva adempiere la jihad “con il cuore, con la lingua, con il cervello, con le mani e con la spada”. Per l’islam dell’epoca l’obiettivo finale era il mondo intero. L’ordine pubblico della pax islamica avrebbe sostituito tutti gli altri, e le comunità non musulmane o sarebbero divenute parte di un’unica entità o si sarebbero sottomesse alla sua sovranità come comunità religiose tollerate o come entità autonome aventi con essa rapporti regolati da trattati.
Qualche secolo più tardi, nel 1947, un orologiaio egiziano, insegnante ed attivista religioso autodidatta con ampio seguito, tale Hasan Al-Banna, indirizzò al re d’Egitto Faruq una critica delle istituzioni del Paese, intitolata Nahwa al-Nur, tradotto “Verso la Luce”. Il testo proponeva un’alternativa islamica allo Stato nazionale laico, delineando i princìpi e le aspirazioni di quella comunità da lui fondata nel 1928 e chiamata “Fratellanza Musulmana”, utile per combattere quelli che giudicava gli effetti degradanti dell’influenza straniera e dei modi di vita secolari. L’Occidente, affermava Al-Banna,
che per un lungo periodo ha brillato in virtù della sua perfezione scientifica, adesso è alla bancarotta ed in declino. Le sue fondamenta si stanno sgretolando [la Seconda Guerra Mondiale era alle porte n.d.r], le sue istituzioni così come i suoi princìpi guida stanno cadendo a pezzi. Questo è il periodo giusto per ricominciare ad organizzare il Nuovo Ordine Mondiale basato sull’Islam.
Secondo lui, se si fossero ristabiliti gli antichi precetti dell’islam, i credenti avrebbero seguito l’onda che si sarebbe formata, sostenendo con la volontà e con lo spirito la “nuova nazione islamica”: ne sarebbe derivata “l’unità araba” e, alla fine, “l’unità islamica”. Il nuovo musulmano sarebbe stato fedele all’idea di molteplici sfere sovrapposte, alla sommità delle quali stava un sistema islamico unificato il cui dominio avrebbe, infine, abbracciato il mondo intero. La sua patria sarebbe stata, inizialmente, un particolare Paese. Poi tutto questo si sarebbe esteso ad altri Paesi, perché “tutti sono una patria ed una dimora per il musulmano”. Infine, dopo aver messo radici, si sarebbe passati ad un impero islamico globale.
Semplice profezia?
Laureato in Media Digitali presso l'Università degli Studi di Roma Tre, è autore di vari scritti di natura storico-culturale per diverse riviste.
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