di Emanuele Mastrangelo
Con Biden la cancel culture è arrivata alla Casa Bianca
Come volevasi dimostrare, la vittoria democratica alle elezioni presidenziali USA si è rivelata un volano formidabile al tritacarne della cancel culture.
Così, poche settimane fa la Corte Suprema della Virginia autorizzava la distruzione del monumento al generale Lee a Richmond, al centro di un annoso tira-e-molla fra autorità locali di matrice liberal e comitati di cittadini non disposti a perdere uno dei più pregevoli pezzi dell’arte e dell’identità locale. E con l’arrivo dell’autunno e dell’anniversario della scoperta dell’America (12 ottobre 1492) è direttamente l’inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, ad avallare quella che è una delle campagne più feroci e odiose della cancel culture: la guerra al Columbus Day, il giorno di Cristoforo Colombo, simbolo della comunità italoamericana.
Biden ha proclamato ufficialmente il “Giorno dei Popoli Indigeni” nella stessa data del tradizionale Columbus Day, lo scorso lunedì. Viene così sanzionata dalla Casa Bianca la pretesa degli attivisti liberal e dei rappresentanti di alcune comunità pellirossa di eliminare o quantomeno ridimensionare il giorno della scoperta dell’America come festività nazionale statunitense.
Le parole di Biden e della Harris
Da diversi anni la celebrazione di Cristoforo Colombo è divenuta controversa e le sue statue sono state spesso vandalizzate, dopo una martellante propaganda sui lati meno gloriosi della colonizzazione europea, spesso e volentieri ingigantiti e sempre decontestualizzati. In alcune città e in alcuni Stati americani la ricorrenza è già stata affiancata o addirittura sostituita da un Indigenous Peoples’ day locale. Ora arriva un riconoscimento anche dalla Casa Bianca. “Per generazioni, le politiche federali hanno cercato di assimilare e rimuovere il popolo nativo e sradicare le sue culture: oggi riconosciamo la resilienza e la forza dei popoli indigeni, come l’incommensurabile impatto positivo che hanno avuto su ogni aspetto della società Usa”, scrive Biden nella motivazione. “Non dobbiamo mai dimenticare – prosegue – le campagne secolari di violenza, rimozione, assimilazione, e il terrore esercitato sulle comunità native e le nazioni tribali nel nostro Paese”. Nel ricordare in subordine e quasi perché non ne poteva fare a meno anche il Columbus Day e le comunità italoamericane, Biden ha avvertito che la celebrazione deve comunque essere “giorno di riflessione”.
Non meno aggressive sono state le parole della vicepresidente Kamala Harris che, il giorno seguente, ha presenziato al 78° Congresso degli indiani d’America. Nel suo discorso la Harris ha dichiarato che “dal 1934, ogni ottobre, gli Stati Uniti riconoscono il viaggio degli esploratori europei che per primi approdarono sulle coste delle Americhe. Quegli esploratori hanno inaugurato un’ondata di devastazione per le nazioni tribali, perpetrando violenze, rubando terre e diffondendo malattie”. Come se, prima dell’arrivo degli europei, nel Nuovo Mondo non vi fossero violenze, conquiste territoriali e malattie… La Harris è convinta che le radici delle attuali ineguaglianze nel suo Paese siano integralmente da ascrivere alla colonizzazione europea, definita un “passato vergognoso”.
Gli italo-americani perdono un simbolo
Il clima che si respira in America in questi giorni è facilmente intuibile da diversi episodi. A Philadelphia, dove i simboli della folta comunità italoamericana sono sotto attacco da parte dei vandali fin dall’inizio di questa ondata iconoclasta, un tribunale ha dato torto ai cittadini che chiedevano la rimozione di uno scatolone di legno che occulta la statua di Cristoforo Colombo. La barriera era stata fatta erigere dal sindaco liberal della città, Jim Kenney, allo scopo di “proteggere” il monumento e impedire assembramenti potenzialmente forieri di scontri fra opposte fazioni, ma ai fatti è servito come finestra di Overton per abituare la cittadinanza alla sua assenza dal paesaggio urbano. Una tecnica usata spesso e volentieri dalle amministrazioni favorevoli alla cancel culture per procedere gradualmente alla distruzione dei monumenti. Kenney è infatti un nemico dichiarato della memoria di Colombo, ha rinominato il Columbus Day come Indigenous People’s Day e ha più volte manifestato la propria volontà di far rimuovere la statua, finora ostacolato da sentenze di tribunale che hanno definito “sconcertante” la sua foga iconoclasta.
La comunità italoamericana è stata così privata del suo simbolo durante le celebrazioni della festa con cui più si identifica. Alle voci secondo cui dei privati cittadini avrebbero potuto rimuovere di loro iniziativa lo scatolone di legno ha risposto minacciosamente il portavoce del sindaco di Philadelphia: “Qualsiasi distruzione di proprietà pubblica sarebbe un crimine”. Una solerzia che gli stessi amministratori pubblici non mettono in campo quando le “proprietà pubbliche” distrutte sono i monumenti fatti oggetto di azioni vandaliche da parte dei teppisti di Black Lives Matter.
“Colombo = Hitler”
Moltissime università e college americani hanno ufficializzato la sostituzione della giornata dei popoli indigeni a quella della scoperta dell’America, prime in fila la prestigiosa Stanford, la Buffalo e quella di Boston, deprecando l’epopea degli esploratori europei. Sulla stessa linea è l’enorme spazio concesso sui media alle dichiarazioni di un allenatore di pallacanestro dell’NBA, il settantaduenne Gregg Popovich: “Gli italiani onorano Colombo perché era italiano? È come se i tedeschi onorassero Hitler”. Per Popovich il fatto che vi siano scuole che ancora celebrano il Columbus Day è qualcosa “da arretrati”. Tuttavia, nella sua intemerata contro Cristoforo Colombo e la storia delle esplorazioni, al culmine dell’indignazione, una cosa giusta riesce a dirla: “Forse c’è qualcosa che mi sfugge e sono ignorante”.
Ma, ahinoi, di questi tempi sembra essere in numerosa compagnia.
Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è redattore capo di "CulturaIdentità" ed è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa dellacancel cultureche sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).
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