di Daniele Scalea

La tornata di ballottaggi delle elezioni amministrative di questo ottobre sembra confermare l’analisi che facemmo a seguito del primo turno di due settimane fa. Ripercorriamola aggiungendo le riflessioni ispirate dal voto di domenica e lunedì scorsi.

Una Destra senza narrazione è una Destra senza voto d’opinione

La debole prestazione del Centro-Destra non c’entra nulla col sovranismo o il populismo. Ovvero: vi riguarda nella misura in cui la Destra non ha saputo mobilitare il suo elettorato fedele tramite il voto d’opinione. La Sinistra ha uno zoccolo duro di elettori che spesso mugugna, si lamenta, talvolta persino si astiene, ma quando sa che il proprio voto può essere decisivo allora si tura il naso e al seggio ci va sempre. Soprattutto se i propagandisti di sinistra agitano lo spettro del “fascismo eterno”, rispetto al quale l’elettorato di sinistra ideologizzato ha una reazione pavloviana. Ma al di là di certi aspetti folkloristici e persino un po’ ridicoli, è una cosa buonissima per la Sinistra avere una base sempre pronta ad agire in favore dei propri valori-guida.

Questo a destra manca, tragicamente. Ci sono, ovviamente, persone di destra pronte a schierarsi ed agire ogni volta che serva ad arginare l’avversario, ma sono una pattuglia sparuta e, in genere, molto più schizzinosa di quella della parte avversa. Inutile sperare di mobilitarle agitando, specularmente alla Sinistra, lo spettro del comunismo: per quanto gli ideali neocomunisti siano di gran lunga più diffusi e influenti di quelli neofascisti, il militante di destra ha quasi una sorta di nostalgia irrazionale per il vecchio comunismo (quello dei gulag e delle chiavi inglesi in testa ai “fascisti”, notiamo en passant). Servono dunque motivazioni più profonde per chiamarlo alla pugna.

La differenza, in merito a ciò, la fa l’attenzione prestata (a sinistra) o meno (a destra) alla dimensione culturale, valoriale e narrativa della politica. A destra abbiamo relativamente pochissima gente mossa da valori e una visione del mondo; e questi pochissimi sovente non trovano una rispondenza ai loro valori e Weltanschauung nella narrazione offerta dalla Destra politica. Anche perché tale narrazione spesso non c’è o è superficiale. Superficiale era, ad esempio, la narrazione del “popolo contro l’élite“: mancavano miriadi di ore e pagine di riflessione ed approfondimento, ma almeno c’era un punto di partenza. Di recente si è abbandonata anche questa narrazione, perché il “populismo” sarebbe uscito di moda, e si è passati a fare scena muta quando bisognava spiegare ai militanti per quale motivo votare a destra. Limitatamente al voto d’opinione, “ideologico”, abbiamo avuto da un lato la Sinistra con un messaggio chiaro (“Votate noi per arginare il pericolo del fascismo eterno”), dall’altro la Destra priva di qualsiasi messaggio. Infatti gli elettori di sinistra sono tornati tutti al seggio, molti di quelli di destra che – già sotto numero – erano andati a votare al primo turno sono rimasti a casa per il ballottaggio.

La raccomandazione, insomma, è sempre quella: investire nell’ambito meta-politico, nell’elaborazione culturale, nella divulgazione di valori e temi caratterizzanti e identitari. Se la Destra politica da quest’orecchio non ci sente o fa poco, tocca a noi – la società civile – agire per primi. Il Centro Studi Machiavelli cerca di fare la sua parte (l’invito ai lettori è quello di unirsi alla nostra battaglia “per le idee” e/o di sostenerla materialmente).

Reintegrare i dissidenti

Oltre a crearsi uno zoccolo duro militante e saperlo mobilitare, serve anche reintegrare nel corpo votante, ossia nella politica democratica, quelle fasce di società che si stanno rifugiando nel disimpegno e nell’astensionismo. Ciò è tanto più urgente dopo elezioni che hanno visto sindaci eletti col voto (al ballottaggio!) di 1 avente diritto su 4.

Tra coloro che possono essere reintegrati ci sono sicuramente i contestatori del Green Pass e dell’obbligo vaccinale surrettizio. Certo: servirà anche uno sforzo da parte loro, visto che molti hanno una visione radicale e oltranzista che li spinge a rifiutare come “tradimento” ogni discorso che si discosti anche solo per una virgola da quello che vorrebbero sentirsi dire. Questa tendenza potenziata all’Aventino la si è vista, ad esempio, col mancato voto persino per liste mono-tematiche anti-Green Pass presenti sulla scheda al primo turno.

Qualcuno si preoccupa che ogni apertura alla minoranza anti-GP si tradurrà in una perdita di consensi tra la maggioranza pro-GP. Forse sarà così o forse no. La maggioranza pro-GP tra gli elettori di centro-destra non sembra mossa da quella smania di sentire sul proprio collo il tallone dell’onnipotente Stato burocratico e autoritario: simili sentimenti sono senz’altro più presenti tra gli elettori di sinistra. La maggioranza di chi a destra apprezza il GP lo fa perché lo vive come unica alternativa possibile al lockdown e, dunque, strumento d’emergenza per uscire dall’emergenza. Il primo passo dovrebbe essere quello di smantellare tale narrativa fallace spinta dai media.

Lo so che è difficile per chi, durante il lockdown, non ha avuto il coraggio di contestarlo ma addirittura cercava facili consensi chiedendo chiusure più dure: ma l’unica “svolta liberale” di cui la Destra avrebbe bisogno sarebbe quella di spiegare che misure autoritarie di provenienza cinese non sono la ricetta giusta per l’Occidente. E che comunque il lockdown è ormai uno spettro del recente passato, perché l’emergenza sanitaria appare finita in tutto il mondo. Grazie ai vaccini, certo, ma non al GP: mentre il resto del mondo riapre noi imponiamo regole sempre più stringenti, umilianti e liberticide. Il popolo di centro-destra questo ragionamento può capirlo, se qualcuno si prenderà la briga di spiegarglielo. Ogni volta che a un entusiasta del GP si scaricherà inavvertitamente il cellulare, rendendolo un pariah fino alla prima presa di corrente raggiungibile, allora il GP perderà un sostenitore.

L’importante è spingere sul messaggio del rapido ritorno alla normalità, di contro alla Sinistra che ambisce alla “nuova normalità”. Qui si può trovare la sintesi tra pro-GP non “sinofili” e anti-GP desiderosi di essere reintegrati nella società.

Non ascoltare le sirene del centrismo

Una coalizione di destra che sia maggioritaria e vincente deve includere anche una componente moderata e più centrista. Detto ciò, non si può che trasalire di fronte alle tante sirene, mediatiche e politiche, che invitano Lega e Fratelli d’Italia ad abbandonare destra, sovranismo e valori conservatori per abbracciare il centro, il globalismo e i valori progressisti. Dico “trasalire” perché ciò è in contrasto sia con le risultanze delle elezioni amministrative, sia con le tendenze di medio-lungo periodo della politica italiana, sia infine col panorama contingente.

Partiamo dal fondo, da quest’ultimo. Oggi c’è un oggettivo sovraffollamento di soggetti politici che competono per il voto “centrista”. Abbiamo da sinistra “Italia Viva” di Renzi, “Azione” di Calenda e “+ Europa”. Abbiamo da destra “Coraggio Italia” di Toti e Brugnaro. Anche Forza Italia da un decennio a questa parte si è spostata progressivamente più al centro, tanto che oggi è persino difficile distinguerla dal PD: lo hanno ben capito personaggi come Renzi, che cercano di sfruttare il naturale declino di Berlusconi per lanciare Opa su quel che resta del suo partito. E persino il Movimento 5 Stelle, ex capofila della demagogia anti-politica, ricettacolo d’ogni radicalismo più o meno razionale, si sta “normalizzando” come partito di centro-sinistra, ma alla destra del PD. Il progetto di Giuseppe Conte è evidentemente quello d’una formazione che faccia le veci della vecchia “Margherita” nel nuovo “Ulivo” progressista. Infine, anche la Lega nel corso dell’ultimo anno e mezzo ha mostrato una crescente trazione centrista.

Si dirà: per trovarsi tanto affollamento, dev’esserci un ricco e abbondante bacino di voti su cui banchettare. Ehm …no. Guardiamo (e qui si passa all’analisi delle tendenze di medio periodo) alle ultime elezioni politiche, quelle del 2018. Sono passati tre anni da allora, è vero, ma a votare furono 34 milioni di cittadini e non 6 milioni come nelle recenti amministrative: quindi sono un metro di paragone ben rappresentativo. Sommando i consensi ricevuti da “Noi con l’Italia – UDC”, “+ Europa”, “Civica Popolare”, arriviamo al 4,4% dei voti. Aggiungiamo quelli ottenuti da Forza Italia e siamo al 18,4%. Di contro, se sommassimo i voti ottenuti dalle forze contestatrici del sistema (Lega, FdI, M5S – lasciamo fuori partiti estremisti di destra e sinistra perché hanno elettorati difficilmente coniugabili), arriveremmo al 54,38% dei voti. Dove stava dunque la fetta più ricca: tra l’elettorato moderato o tra quello in cerca di alternative “forti”?

Tutta la storia politica recente ci dimostra una frenetica ricerca da parte della maggioranza degli italiani del fatidico “uomo forte” che si opponga all’establishment e a un sistema ormai delegittimato: si è così assistito alle montagne russe che hanno visto avvicendarsi in cima il “rottamatore” Matteo Renzi (41% alle europee del 2014), il “rivoluzionario” Beppe Grillo (32% alle politiche del 2018) e il “populista” Matteo Salvini (34% alle europee del 2019). E che oggi sembrano premiare Giorgia Meloni.

Come sono andate veramente le amministrative

Eh sì: perché la narrazione mainstream di come siano andate queste amministrative non è del tutto coerente con la realtà dei fatti. Secondo le stime di “YouTrend” nei 118 comuni al voto con più 15.000 abitanti il PD è primo partito (si sa che ha il suo nerbo elettorale nei centri urbani), ma ha perso 210.000 elettori rispetto alle comunali del 2016. Non è andata meglio alla colonna “destra” del Centro politico, ossia Forza Italia, che ne ha perduti 180.000 (scendendo dal 7,2% al 4,8%). Un autentico disastro quello del nuovo M5S “moderato” di Giuseppe Conte: – 640.000 elettori (dal 17,4% al 6,3%). Indovinate quali sono gli unici due partiti che fanno meglio oggi che nel 2016? La Lega (+ 30.000 voti, dal 5,2% al 7,4%) e FdI (+ 200.000 voti, dal 4,6% all’11%). Ciò in uno scenario fortemente astensionistico.

Si può dunque notare come:

  • a dispetto della narrazione del “crollo dei sovranisti”, i due partiti di destra e “sovranisti/populisti” siano gli unici a crescere;
  • a dispetto della narrazione della “linea d’opposizione che non paga”, FdI sia, per la prima volta in un’elezione e non solo nei sondaggi, partito maggioritario del Centro-Destra;
  • a dispetto della narrazione della “vittoria al centro”, i partiti moderati siano tutti in calo;
  • a dispetto della narrazione di “FI unica che tiene nel centro-destra”, malgrado le vittorie dei suoi candidati in Calabria e a Trieste, a livello nazionale il partito di Berlusconi faccia una netta marcia indietro.

Certo: si obietterà che dal 2016 a oggi ci sono state altre elezioni, ossia le politiche del 2018 e le europee del 2019, e che rispetto a quelle la Lega ha perso voti. Vero. Ma si risponda a questi quesiti: la Lega degli exploit del 2018 e del 2019 era più o meno moderata/centrista di quella del 2021? E FdI, la cui crescita lineare dal 2016 a oggi è indisputabile, si è forse moderata/accentrata per ottenere questo risultato?

E se pensassimo alle primarie?

L’ultimo punto riguarda la scelta dei candidati. Il ballottaggio ha confermato le osservazioni post-primo turno in merito ai candidati prescelti, perciò non le ripeteremo. Si è aperto ora un dibattito su come sceglierli in futuro. Questo dibattito si sta aprendo anche in merito alla scelta del candidato premier della coalizione, dal momento che la regola del “chi prende un voto in più è il candidato” sta mostrando qualche limite. Il primo è che così il candidato salta fuori solo ex post (cosa molto svantaggiosa in epoca di personalizzazione lideristica della politica); il secondo è che la competizione interna raggiunge livelli tali da poter essere deleteria per tutti. Una possibile risposta a tali questioni? Adottare il sistema delle primarie, preferibilmente “aperte”, all’americana. Il confronto tra le diverse anime e i diversi candidati si sposta alla luce del sole, lasciando da parte i sotterfugi e le pugnalate alle spalle. Viene confinato nel tempo, al momento elettorale delle primarie, anziché essere una guerra di logoramento senza fine. La dialettica interna si vivacizza, permettendo d’emergere liberamente a tante istanze e persone che non troverebbero un loro corso se dovessero passare per la rigida gerarchia partitica. Last but not least, il nominato è qualcuno che piace quanto meno alla base. E chissà? Con un po’ di fortuna piacerà alla maggioranza degli elettori.

Conclusioni

Uno dei vantaggi d’avere l’egemonia culturale è quello di controllare il discorso mediatico. Se è oggettivo che il Centro-Destra abbia preso una scoppola nelle grandi città, lo è altrettanto che prendendo in considerazione tutti i comuni al voto esso sia persino cresciuto. Meno delle attese, ma è cresciuto. I media invece raccontano di un trionfo della Sinistra e di un’esiziale sconfitta della Destra. Ed offrono i loro suggerimenti, per nulla disinteressati, ai presunti sconfitti.

Vi ricordate quando, nei mesi successivi alle elezioni del 2018, giornalisti, intellettuali e spin doctor raccontavano all’unisono al M5S che, se perdeva consensi, era perché si allineava troppo a Salvini? Il M5S si lasciò persuadere, scatenò una guerriglia interna al governo gialloblu contro la Lega, e alle europee del 2019 si prese una batosta ancor più pesante. I medesimi giornalisti e intellettuali, imperterriti, continuarono a spiegare a Di Maio & Co. che il problema stava nell’eccessiva condiscendenza a Salvini (in quel momento il politico più popolare d’Italia). I grillini intensificarono le schermaglie fino a spingere la Lega a rompere l’accordo di governo. Casualmente, quelle voci vicine e leali al PD consigliavano – in maniera del tutto disinteressata – al M5S di diventare il più possibile simile al PD nonché suo alleato.

Oggi assistiamo a un copione molto simile. Mentre FdI cresce alla destra della Lega raccogliendo quegli stendardi nazional-populisti che il partito di Salvini lascia cadere, i soliti opinionisti, giornalisti e intellettuali – vicini e leali al PD – consigliano suadenti ai maggiorenti della Lega che, per tornare ai fasti di un tempo, debbono farla finita coi temi e le prassi che a quei fasti l’avevano portata. Ed ora, dopo la presunta sconfitta delle amministrative, si sono messi a sussurrare le stesse cose anche alle orecchie della Meloni e dei suoi colonnelli.

Serve che lo precisi? Ascoltare simili sirene porterà solo a schiantarsi sugli scogli. Rimanendo fedele a sé stessa la Destra approderà sana e salva al porto delle prossime elezioni politiche.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

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Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.