Piazza Venezia transennata. Solo i militari schierati, un parcheggio d’auto blu di scocciatissimi politici costretti a far passerella sperando che non piova prima che termini la seccatura, e il popolo assente. Che poi, anche se fosse presente, sarebbe comunque tenuto a distanza.
Cento anni fa, gli italiani
Quando cento anni fa il re Vittorio Emanuele III accompagnò il Milite Ignoto, seguendo a piedi il feretro, dalla basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri all’Altare della Patria, c’era oltre un milione di persone a far ala, a riempire le strade e le piazze, a piangere e gettar fiori. E si era in piena guerra civile: solo sei mesi prima un attentato anarchico aveva ucciso 21 persone a Milano. Eppure il popolo non era tenuto a distanza dal potere. Era a portata di braccio. A portata di coltello o di pistolettata, volendo. Nessuno dimenticava che Vittorio Emanuele era orfano di un padre – Umberto I – ucciso 21 anni prima in un attentato. Eppure il popolo non stava dietro le transenne. Né a casa a giocare sui social o in fila a mostrare un salvacondotto di regime per andare al ristorante o al cinematografo. Era accanto al Re a omaggiare il Soldato senza nome.
Cento anni dopo, cosa resta?
Questo centenario del Milite Ignoto, nel 103° anniversario della Vittoria nella Grande Guerra, sembra in realtà aver riportato l’Italia indietro di 200 anni, al 1821. Un’Italia ridotta a «espressione geografica», i patrioti perseguitati e incarcerati, gli sbirri dei governicchi italiani asserviti al potere sovranazionale proveniente d’oltralpe pronti ad arrestare, esiliare, imprigionare, torturare e se necessario impiccare. Unica vistosa differenza, le bandiere gialle-e-nere allora sostituivano quelle attuali blu.
Storia del Milite Ignoto
Se dalla sua cassa di legno ai piedi della Dea Roma il Soldato Sconosciuto potesse parlare, non avrebbe che parole d’amaro sarcasmo, d’italico aceto per il popolo italiano: “Guarda com’eri, guarda come ti sei ridotto”. L’Italia del 1921 – ripetiamo, in piena guerra civile – riuscì in soli sedici mesi ad allestire la cerimonia pubblica più grandiosa della sua storia. Dall’idea di traslare un caduto ignoto a Roma, lanciata dal colonnello Giulio Douhet nel luglio 1921, all’approvazione della legge, passarono nemmeno 11 mesi di dibattito pubblico. Undici mesi di rivoluzione, di elezioni, di cannonate e bombe fra italiani. Eppure il dibattito andò avanti.
Alla fine di giugno 1921 fu stabilita la data del 4 novembre di quell’anno. In quattro mesi le salme furono cercate fra gli sconosciuti negli undici teatri di battaglia sulla ex linea del fronte, venne ideato il cerimoniale, assegnato a Maria Maddalena Blasizza, coniugata Bergamas, madre di un irredentista volontario – Antonio – caduto nel 1916, il ruolo centrale di scegliere fra gli 11 feretri ignoti quello che lei sentiva come «suo» figlio. Al contrario, alla fine, scelse quella che le sembrava la meno probabile fra le 11 bare, perché fosse davvero il figlio di tutte le italiane.
La cerimonia si tenne ad Aquileia il 28 ottobre. La bara fu scelta da Maria e portata con un treno speciale a Roma, in un viaggio epico di quattro giorni. Durante quel viaggio milioni di italiani attesero lungo le massicciate ferroviarie il transito del convoglio, in ginocchio a capo scoperto, portando bandiere, labari, fiori, e i bambini a vedere quello che poteva essere il loro padre, il loro fratello maggiore. Perfino le amministrazioni comunali socialiste – contravvenendo alla linea ufficiale del partito – parteciparono a quel momento di unità nazionale, inchinando i gonfaloni municipali al passaggio della locomotiva. A Roma la salma fu accolta da Vittorio Emanuele III alla Stazione Termini e portata alla basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri. Il cerimoniale solenne, terribile, della traslazione finale fu concepito anche seguendo le indicazioni del Re: il Soldato Ignoto entrava simbolicamente a far parte della famiglia reale, perché Vittorio Emanuele volle per lui lo stesso rituale che si tributava ai funerali dei membri di Casa Savoia. Un silenzio tombale, suggestivo, suggellò il momento finale dell’arrivo all’Altare della Patria. La cassa, fatta scendere dall’affusto di cannone che lo condusse dalla Basilica a Piazza Venezia, fu trasportata da sei Medaglie d’Oro fin sotto i piedi della Dea Roma e là tumulata.
Ricominciare da capo, rifare l’Italia
Ora l’Italia sembra ridotta a quel sacello di marmo. Sembra tutta là dentro. Fuori c’è solo l’«Espressione Geografica». Se all’Italia del 1921 bastarono quattro mesi per allestire la più grande e suggestiva cerimonia della sua storia, all’Italia del 2021 non è bastato il sapere che c’era un centenario (e i centenari si sa da un secolo prima che devono arrivare…) per organizzare qualcosa di appena decente. Uno sceneggiato RAI (con «qualche licenza poetica» di troppo, e ovviamente strizzate d’occhio al pacifismo e alla retorica dell’«inutile strage» che non appartenne di sicuro a Maria Bergamas), un comunicato della Presidenza del Consiglio, con tanto di errori blu (soldati sbagliati, cartine fuori contesto…). La stanca cerimonia di oggi, ignorata dai giornali se non per la presenza delle alte cariche istituzionali (quasi che la festa fosse la loro, e non del Soldato Sconosciuto e della Vittoria). Il popolo lontano, dietro le transenne, distratto, avvilito.
E mentre sentiamo il ghigno di Metternich dalla sua tomba a Vienna prendersi una rivincita sull’Italia, ci tremano le vene ai polsi, pensando a quanta fatica ci costerà dover ricostruire tutto da capo, tutto da quel 1821 quando i primi patrioti insorsero contro l’oppressione.
Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è redattore capo di "CulturaIdentità" ed è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa dellacancel cultureche sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).
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