Gli eventi del futuro non possiamo arguirli dagli eventi presenti.
La credenza nel nesso causale è la superstizione.
II libero arbitrio consiste nell’impossibilita di conoscere ora azioni future.
– Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus (1921)
“Ce lo dice la Scienza”. Sì: ma chi è “la Scienza”?
“Lo dice la Scienza”, oppure, “ce lo chiede la Scienza”; quante volte abbiamo sentito queste due sentenze, nell’ultimo anno e mezzo di pandemia?
Abbiamo però metabolizzato completamente il significato e la profondità di tali affermazioni? Quando la Scienza afferma qualcosa sappiamo come afferma e cosa significa, per la Scienza, affermare? E che cosa intendiamo per Scienza? La comunità scientifica, i nudi dati ottenuti da osservazioni e sperimentazioni o qualcosa di ancora diverso? La Scienza, prima di affermare qualcosa, pensa? E se sì, come pensa?
Sono domande ancora in gran parte inevase, sulle quali occorrerebbe riflettere prima di trarre conclusioni affrettate di qualsiasi segno sulla Scienza e la sua influenza nel nostro modo di vivere in tempi pandemici. Varrà dunque la pena cominciare a riflettere su cosa sia la Scienza per l’uomo della strada.
“La Scienza” non è una scatola aperta, né tantomeno è Dio
Solitamente con “la Scienza” si intende, in maniera molto vaga e imprecisa, l’insieme di scienze particolari che si occupano di conoscere i diversi ambiti dell’universo fisico nel quale viviamo. Il fatto che essa possa essere letta e studiata, e che, dopo anni di studio, ci si possa permettere di dirsi scienziati, fa sì che la gran parte degli uomini occidentali oggi consideri la Scienza come una disciplina. Nella mentalità comune la Scienza è dunque un oggetto che si può conoscere studiando, esattamente come si possono conoscere le tabelline, la Bibbia o la geografia della penisola italiana, con la differenza che la Scienza, almeno in apparenza, sembra poter dare risposte sempre nuove ai problemi dell’uomo. Ma come può un oggetto di studio, nominalmente al pari della storia, della geografia e della grammatica, dare, a differenza di queste, risposte sempre nuove?
È evidente che siamo di fronte ad una contraddizione: se un oggetto può essere studiato e compreso nella sua essenza non può fornirmi continuamente risposte diverse, né tantomeno risposte definitive. La Scienza dunque non è, evidentemente, un qualcosa di conoscibile, non è il contenuto di una scatola che siamo finalmente riusciti ad aprire e di cui, dopo numerosi tentativi andati a vuoto, stiamo studiando il contenuto. Se l’uomo pensa la Scienza in questo modo significa semplicemente che ha sostituito l’idea di Dio con la Scienza. Che cos’è l’Immutabile nascosto che dà tutte risposte, ultime e non sindacabili, se non Dio? Conoscere Dio tramite l’uso della ragione è da sempre la chimera di tutti i filosofi, dall’Antica Grecia fino a Cartesio e oltre, ma ci muoviamo ancora in questo orizzonte? Dio è conoscibile razionalmente? E soprattutto, la Scienza può essere Dio? Può, cioè, fornirci le risposte definitive ad ogni interrogativo e dotarci di un’etica? Può, per tornare alle frasi iniziali, dirci cosa dobbiamo fare?
La Scienza è un metodo per trovare risposte
Come abbiamo detto, la Scienza, intesa come patrimonio dei saperi, fornisce risposte sempre diverse. La mutata concezione del sistema solare, da geocentrico ad eliocentrico e, ancora di più, lo spalancamento degli orizzonti quantistici, hanno reso manifesto che la Scienza non possiede una verità, ma ne possiede diverse, tante quante sono le domande che vengono poste. Se la Scienza risponde in modo diverso anche nel caso della stessa domanda (ad esempio come avvenuto nel caso dell’eliocentrismo), è evidente che l’essenza di ciò che noi chiamiamo Scienza non va cercata nell’altro da noi, ma nell’uomo stesso.
Sono dunque le domande, o più correttamente i problemi, che creano la Scienza e non, come erroneamente ritenuto da molti, l’inverso. La Scienza non sarebbe quindi un corpus in grado di rispondere ai nostri innumerevoli interrogativi, quanto piuttosto il metodo che l’uomo usa per darsi autonomamente delle risposte. Un metodo, chiaramente, non può costituire una risposta definitiva in sé, non può venire ipostatizzato, può soltanto essere adoperato a risolvere problemi che l’uomo si è già posto ex ante a seconda delle sue esigenze. Chiedere alla Scienza di farci da bussola etica non avrebbe dunque più senso del chiederlo al teorema di Pitagora, alla legge di gravitazione universale o alla tabellina del tre.
Chi decide a quali domande rispondere?
Secondo il filosofo della Scienza David Eliezer Deutsch, e prima di lui secondo Karl Popper, la Scienza si configurerebbe dunque come un problem solving. Poiché essa ed il suo metodo funzionano sempre secondo lo schema di osservazioni e sperimentazioni, potremmo definirla induttiva, ma è lapalissiano il fatto che la raccolta di innumerevoli dati, ancorché smisurata, non significherebbe nulla se tali dati non fossero sistematizzati a priori nell’ottica di un problema da risolvere. Ma il problema da risolvere è, nella sua essenza, fondamentalmente arbitrario. Chi ha deciso che fosse il problema A, a dover essere risolto, e non il B?
Questa decisione è stata presa scientificamente o sono forse pesati fattori arbitrari come ad esempio i nostri valori, i nostri interessi economici o la nostra mera curiosità? E se la Scienza procede per induzione, chi e dopo quante osservazioni può stabilire che la risposta ad un dato esperimento esce dal campo delle possibilità per entrare in quello dell’assoluto, facendosi così dogma scientifico?
La Scienza è superstizione (parola di Wittgenstein)
Di questo tema si era occupato Ludwig Wittgenstein, allorché nel suo Tractatus logico-philosophicus, riflettendo proprio sul problema dell’induzione, aveva concluso che la convinzione ferrea che un fenomeno che è sempre accaduto si verificherà anche domani non ha alcuna base razionale ma soltanto psicologica. Si tratta di una vera rivoluzione epistemologica che disarticola il nocciolo della teoria induttiva, e dunque della scienza moderna, ovvero quella del nesso causale. Il fatto che “gli alberi si muovono perché c’è vento”, per esempio, deriva dalla nostra credenza in un nesso causale tra il vento ed il movimento degli alberi, con il primo che costringerebbe a muoversi i secondi. Ma la credenza in tale costrizione non avrebbe, secondo Wittgenstein, alcun fondamento. Il fatto che da un certo momento della storia umana il vento abbia cominciato a muovere gli alberi come legge e non più come coincidenza, altro non sarebbe che una decisione dell’uomo. L’uomo non può sapere se anche domani il vento muoverà le foglie degli alberi, può soltanto ipotizzarlo, ma ipotizzare non è scientifico in quanto un’ipotesi non riposa su alcuna raccolta di dati o sperimentazioni proprio per il fatto che tali raccolte ed esperimenti devono giocoforza ancora avvenire; la logica scientifica dell’induzione, in poche parole, non sta in piedi secondo i suoi medesimi presupposti.
Wittgenstein si spinge oltre, sottolineando come la costrizione dei nessi causali non sia solo una superstizione ma la superstizione (T, 5.1261.b). Secondo il Tractatus, il mondo è semplicemente “tutto ciò che accade” (T, 1); la legge di causalità altro non sarebbe che il tentativo umano di dare al mondo una descrizione “in forma unitaria” (T, 6.341a), e tale descrizione (ossia, alla fin dei conti, la stessa Scienza), secondo Chon Tejedor, non sarebbe afferente al descritto, cioè all’universo, ma alla forma della descrizione.
La Scienza non descrive il mondo ma la psiche di chi la pratica
Non è una precisazione di poco conto: la Scienza non sarebbe quindi la descrizione sistematica e oggettiva del mondo, ma piuttosto dello schema psicologico con il quale l’uomo sistematizza i fatti di esso, per loro natura assolutamente casuali, in una visione organica. Tale visione organica dipende però, in ultima analisi, da qualcosa che l’uomo ha già al suo interno, esattamente come il pittore realizza un’opera d’arte raffigurandosela prima nella sua mente e poi mettendola sulla tela, e questo qualcosa altro non sarebbe che la sua Weltanschauung.
Prendiamo, per esempio, una pandemia, e notiamo induttivamente che dopo circa tre anni tutte le pandemie di solito si esauriscono. Poniamo il caso che durante tutte le pandemie avessimo a disposizione i vaccini contro i morbi in questione, ed al contempo poniamo anche il caso che abbiamo sempre pregato Dio affinché le pandemie cessassero. I fiduciosi nella prassi scientifica potrebbero affermare che le pandemie sarebbero andate avanti all’infinito senza i vaccini, così come i fedeli alla Chiesa potrebbero affermare senza problemi che ciò sarebbe accaduto senza le loro preghiere. Il nesso causale è e rimane sempre arbitrario, poiché entrambi gli schieramenti hanno già deciso prima, inconsciamente o meno, quale nesso causale cercare.
Per la Scienza come strumento, contro lo scientismo come fede
È per questo motivo che la scienza non potrà mai fornirci risposte etiche oggettive e “scientifiche”; essa contiene tutti gli strumenti per fornire delle risposte, ma le domande che evocano tali risposte non hanno alcun fondamento scientifico, laddove con tale parola intendiamo un’oggettività presuntamente altra dal nostro modo di pensare e dai suoi condizionamenti psicologici.
La Scienza non può quindi dare pareri oggettivi perché, in quanto prodotto delle esistenze umane, non può che essere soggettiva, e dunque sommamente mutevole e cangiante, ossia tutto l’opposto della connotazione assiale e perenne che i suoi moderni sacerdoti vorrebbero, consapevolmente o meno, affibbiarle.
Pensare la Scienza come strumento e non come assoluto risulta dunque assolutamente prioritario in un’epoca in cui un nuovo oscurantismo si annuncia nel suo nome.
Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.
La scienza, panacea scivolata nello scientismo, regno della verità o “delle verità” che navigano nella direzione del vento che tira, indispensabile proprio perché tra le tante rotte scientificamente (non) valide, non sappiamo quale scegliere per continuare a smarrirci. Nei secoli passati chi praticava la “scienza” rischiava il rogo. Ai nostri tempi rischiano l’ostracismo tutti coloro che a torto o a ragione hanno un atteggiamento critico verso scienza e scienziati, assunti a detentori esclusivi e arroganti della verità assoluta.