di Nathan Greppi

L’annuncio dell’uscita al cinema il 25 novembre del film Resident Evil: Welcome to Raccoon City, tratto dai primi due titoli della saga di videogiochi iniziata nel 1996, ha creato forti aspettative. Questo perché “Resident Evil” è la serie dell’orrore di maggior successo nella storia del settore: ad oggi sono state vendute oltre 120 milioni di copie dei suoi titoli, mentre la prima saga cinematografica che ha ispirato, uscita tra il 2002 e il 2016, è quella con i maggiori incassi tra tutte quelle basate su videogiochi (288 milioni di dollari).

La trama

La storia, ambientata principalmente negli Stati Uniti, comincia quando Chris Redfield e Jill Valentine, due agenti della squadra speciale di polizia S.T.A.R.S., vengono mandati in missione in una villa abbandonata sulle montagne che scopriranno essere infestata da zombi e mostri artificiali, risultati di esperimenti condotti da un’importante azienda farmaceutica nota come “Umbrella Corporation” per creare armi biologiche. La vicenda prosegue a Raccoon City, città dove ha sede la Umbrella, dove la fuga di un virus trasforma gran parte degli abitanti in morti viventi, costringendo il poliziotto Leon Kennedy a cercare di salvare sé stesso e la sorella di Chris, Claire.

Sebbene si presenti come il classico horror dove i protagonisti devono sopravvivere ad un’apocalisse zombi, nel corso degli anni la saga ha affrontato diverse tematiche politiche, filosofiche e sociali.

Eugenetica e transumanesimo

Innanzitutto, a motivare gli esperimenti dei cattivi per creare le cosiddette “armi bio-organiche” (note con la sigla inglese BOW, ossia mostri creati a scopi militari) non vi è solo il profitto economico: vi è anche l’idea, che fu alla base dell’eugenetica nazista, che si possano creare individui con geni “superiori” a quelli delle persone normali per migliorare l’uomo, senza preoccuparsi dell’etica. Un misto di darwinismo sociale mischiato con il desiderio portato all’estremo di creare una sorta di super-uomo di Nietzsche.

Questo si vede ad esempio nel titolo del 2000 Resident Evil – Code: Veronica, dove i principali antagonisti sono due gemelli creati clonando una loro antenata, nota per possedere un’intelligenza superiore alla media, al fine di ricreare una nuova bimba prodigio. Mentre in Resident Evil 5, uscito nel 2009, il fondatore della Umbrella Oswell Spencer racconta come alla base del suo progetto vi fosse l’ambizione di cambiare il mondo, tanto da convincersi che creare uomini geneticamente modificati gli desse “il diritto di essere un Dio”. Nello stesso gioco Albert Wesker, tra i principali antagonisti di tutta la serie, fa propria la fissazione di Spencer cercando di diffondere un virus che avrebbe sterminato gran parte dell’umanità, nella convinzione che dovessero sopravvivere solo i pochi capaci di evolversi.

È interessante notare come, nel corso della serie, vi sia quasi sempre una percezione negativa della vita organica artificiale, vista come il frutto del desiderio contorto di porsi al di sopra delle leggi della natura: quando un essere umano si trasforma in uno zombi o in un altro tipo di mostro, non ha più importanza se prima era buono o cattivo, perché una volta trasformato diventa solo un nemico da uccidere prima che sia lui ad ucciderti. Fanno eccezione solo rari casi in cui i protagonisti vengono infettati ma riescono a trovare una cura prima di superare il punto di non ritorno.

Guerra e terrorismo

I titoli usciti dopo gli attentati alle Torri Gemelle spesso hanno trattato anche il tema della lotta al terrorismo e dei dilemmi etici in ambito militare. Nel primo caso si può dire che c’è un prima e un dopo l’11 settembre: nel senso che, mentre nei titoli usciti tra il 1996 e il 2002 i protagonisti sono perlopiù poliziotti o semplici civili, in quelli successivi il registro cambia. In Resident Evil 4, pubblicato nel 2005, Leon è diventato un agente governativo che deve salvare la figlia del Presidente dopo che questa è stata rapita in Spagna da una setta di fanatici religiosi, noti come “Los Illuminados”. Costoro soggiogano i pacifici abitanti di un villaggio rurale tramite parassiti chiamati “las plagas” che li trasformano in pazzi assassini e, dato il contesto globale in cui è stato realizzato il gioco, potrebbero essere un riferimento agli integralisti islamici. Siccome questo è il primo gioco della serie realizzato in piena guerra al terrore, salta all’occhio una scena in cui Leon accusa uno dei capi della setta, Ramon Salazar, di praticare il terrorismo, al che questi risponde con tono beffardo: “Una parola molto di moda, di questi tempi”.

Un discorso simile vale per Resident Evil 5, a partire dal quale Chris combatte in corpi speciali contro il bioterrorismo, noti come BSAA. Curiosamente, già quando uscì il primo trailer nel 2007, questo titolo venne preso di mira da polemisti politicamente corretti: essendo ambientato in uno Stato africano fittizio, fu accusato di promuovere il razzismo e il colonialismo, dato che bisogna combattere contro gente di colore posseduta dalle “plagas” del precedente titolo. Ma l’azienda che l’ha prodotto, la giapponese “Capcom”, non si è fatta piegare dalle pressioni che chiedevano di ritoccare il gioco.

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In quelli successivi, invece, vi è anche una critica esplicita alla politica estera americana: in Resident Evil 6, del 2012, emerge che anche il governo americano in passato era coinvolto negli affari della Umbrella poiché interessato alle armi bio-organiche. Quando il Presidente decide di fare ammenda pubblicamente per combattere la minaccia che si è creata, viene eliminato in quello che viene fatto passare per un attentato terroristico; in realtà è stato pianificato dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale Derek Simmons, che per non compromettere il ruolo dell’America come Paese leader cerca di insabbiare tutte le loro colpe.

Siccome la serie è di produzione giapponese, c’è chi ha ipotizzato che fosse ispirata alle vicende dell’Unità 731, una divisione dell’esercito nipponico, realmente esistita durante la Seconda Guerra Mondiale, che sperimentava armi biologiche su civili e prigionieri di guerra nella Cina occupata.

Famiglia

Infine, negli ultimi due titoli della serie principale il tema cardine può essere considerato la famiglia: in Resident Evil 7, uscito nel 2017, il nuovo protagonista Ethan Winters deve salvare la moglie Mia che per anni ha creduto morta, mentre nel successivo Resident Evil Village, pubblicato nel maggio 2021, deve salvare la loro figlia Rose, rapita e portata in uno sperduto villaggio dell’Europa orientale.

In entrambi i casi, chi le ha rapite lo ha fatto per crearsi una famiglia a tavolino, ma così facendo ha distrutto tante famiglie vere. Nel primo caso, Mia è stata soggiogata da Eveline, un mostro artificiale dall’aspetto di una bambina che infetta le persone per manipolarne la mente; in tal modo ha corrotto i Baker, una normale famiglia di campagnoli della Louisiana, tramutandoli in spietati cannibali. Nel secondo titolo, Rose viene presa da Madre Miranda, la matriarca del villaggio che, avendo perso la figlia decenni prima, spera di farla rinascere reincarnandola nel corpo di Rose. Per colmare il vuoto lasciato dalla morte della prima figlia, ha soggiogato varie persone tramite un parassita chiamandole “figli”, quando in realtà li considera solo degli schiavi. Una di loro, Alcina Dimitrescu, per crearsi a sua volta delle finte figlie inietta lo stesso parassita nei cadaveri di tre ragazze, facendole rinascere come creature assetate di sangue.

Conclusioni

In conclusione, quelli di “Resident Evil” sono molto più di semplici giochi, e dimostrano come questa sia una forma d’arte a tutti gli effetti, in grado di raccontarci molto su noi stessi e su come cambiano la politica e la società. Come ha spiegato lo scrittore Fabrizio Venerandi nel saggio Guida all’immaginario nerd, i videogiochi non sono solo la versione digitale di giochi preesistenti: “I videogiochi sono qualcosa di assolutamente nuovo, sono una nuova arte, un nuovo linguaggio, un nuovo modo di immaginare e di sognare, un nuovo modo di pensare, progettare e realizzare le cose”.

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Giornalista pubblicista, ha scritto per le testate MosaicoCultweek e Il Giornale Off. Laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e laureato magistrale in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università di Parma).