di Nathan Greppi

La scuola “politicamente corretta”: una distopia che si fa realtà

Nel suo video satirico del 2015 Modern Educayshun, il comico australiano di origini indiane Neel Kolhatkar immaginava una distopia (facendo evidentemente il verso a una tendenza purtroppo non immaginaria) in cui un lavoro scientifico veniva giudicato non sulla base della sua validità oggettiva, bensì su quanto fosse in linea con l’inclusione delle “minoranze”.

Sei anni dopo, qualcosa di simile succede davvero nel “progressista” Canada, come testimoniato da un altro personaggio d’origine indiano, ossia il chimico americano Patanjali Kambhampati, che lavora all’Università McGill di Montreal. Abituato in passato a ottenere fondi di ricerca milionari, da due anni si vede rifiutare finanziamenti per un progetto di ricerca scientifico in quanto non abbastanza in sintonia con le regole che promuovono “equità, diversità e inclusione” (identificate con la sigla EDI).

In Canada gli scienziati devono giurare fedeltà a “equità, diversità e inclusione”

“Mi occupo di sviluppare laser e strumentazioni per misurare il moto di elettroni e atomi in materiali che potrebbero essere usati per ogni genere di cose, dai pannelli solari a schermi piatti e laser per i computer di prossima generazione”, ha raccontato Kambhampati al sito americano “The College Fix”. Negli ultimi quindici anni ha ottenuto circa sette milioni di dollari di finanziamenti, provenienti sia dal governo canadese sia da altri enti e organizzazioni. “Ma tutto è cambiato circa uno o due anni fa”, ha spiegato. “Nell’ultimo biennio le sovvenzioni federali hanno iniziato a richiedere dichiarazioni di equità, diversità e inclusione”.

“Inizialmente ci hanno chiesto di definire la nostra posizione in merito, ed era una novità. Ma qualcosa di ancora più nuovo è accaduto nell’ultimo anno, quando le agenzie federali hanno detto che avrebbero guardato alle nostre dichiarazioni EDI prima di ogni altra cosa”. In pratica, se un ricercatore non compila e sottoscrive una convincente dichiarazione di “inclusività”, il suo progetto non sarà nemmeno preso in considerazione, a prescindere dai meriti scientifici e dall’utilità pratica.

Se non sei abbastanza “inclusivo”, il tuo progetto di ricerca non viene nemmeno considerato

Per illustrare la situazione, Kambhampati ha mostrato nell’intervista la dichiarazione che ha sottoscritto per ottenere dei fondi da parte del Comitato per le Scienze Naturali e la Ricerca Ingegneristica del Canada. In essa ha sottolineato la diversità etnica e culturale degli studenti che lo aiutano in laboratorio, oltre a far notare che lui stesso appartiene ad una minoranza, è un immigrato, e che avrebbe potuto usare la sua esperienza personale per rendere più “inclusivo” l’ambiente di lavoro. Non ha mancato inoltre di sottolineare la grande partecipazione femminile al progetto, tanto che una sua ex-collaboratrice oggi è una fisica con incarichi di prestigio che lavora in Germania.

Ma nonostante tutte queste dichiarazioni di apertura e inclusione, il Comitato non lo ha ritenuto sufficientemente in linea con le loro politiche e i fondi gli sono stati rifiutati. Per essere precisi, nella mail ricevuta a novembre (e di cui nell’intervista originale si può vedere l’immagine), gli veniva spiegato che: “Le considerazioni su equità, diversità e inclusione nella domanda sono insufficienti. Il piano formativo non descrive adeguatamente pratiche specifiche e concrete da mettere in atto per assicurare che le EDI vengano attivamente supportate. Dichiarazioni vaghe e generiche non sono sufficienti, e pertanto la domanda viene respinta”.

Il ricercatore è rimasto stupito dalla risposta:

Ho dovuto subire parecchio razzismo nella mia vita, e come risultato cerco di trattare tutti allo stesso modo, eppure questo non sembra bastare […] Sapete, ho seguito personalmente quindici dottorandi e tre studenti di master, tutti provenienti da percorsi di vita diversi, e apparentemente questo traguardo non è buono abbastanza. Quello che ci stanno chiedendo di fare nelle politiche di EDI mi sembra il contrario di ciò che ci ha insegnato Martin Luther King negli anni ’60.

Uno scenario da regime totalitario

Secondo Kambhampati, la questione presenta principalmente due tipi di problemi: il primo è continuare a ricevere fondi, anche se lui è riuscito a vincere un bando privato (che non richiedeva dichiarazioni ideologiche ma guardava solo ai meriti scientifici). L’altro, più spinoso, riguarda la divergenza di vedute politiche: “Uno potrebbe non essere sempre d’accordo. È quello il punto. Uno potrebbe avere opinioni e vedute diverse. E quelle differenze non saranno tollerate. Devi giurare fedeltà a tutto ciò che è stato creato per promuovere l’EDI. Non puoi dissentire”.

Dove, se non in un regime totalitario, i finanziamenti alla scienza sono subordinati all’adesione del ricercatore all’ideologia al potere? Nel “progressista” Canada, per giunta, non è sufficiente che quest’adesione sia solo proclamata: se i commissari politici non percepiscono un sufficiente “impegno”, lo scienziato potrà comunque rimanere a bocca asciutta.

Giornalista pubblicista, ha scritto per le testate MosaicoCultweek e Il Giornale Off. Laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e laureato magistrale in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università di Parma).

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