di Luca Ruggeri

Che cosa hanno scritto Draghi e Macron

Il Presidente del Consiglio Draghi ed il Presidente francese Macron hanno rilasciato, il 23 dicembre, un intervento congiunto sul “Financial Times” (The EU’s fiscal rules must be reformed if we are to secure the recovery); il testo dell’intervento, con traduzione in italiano, è agevolmente disponibile sul sito istituzionale del governo.

Lo scritto rivendica il successo dell’Europa nella crisi della covid-19 e rimarca la necessità di una “strategia di crescita dell’UE per il prossimo decennio”, la quale “dobbiamo essere pronti ad attuarla attraverso investimenti comuni, regole più adatte e un miglior coordinamento, non solo durante le crisi”. A tal fine è necessario rivedere le regole di bilancio dell’UE reputate “troppo opache ed eccessivamente complesse. Hanno limitato il campo d’azione dei Governi durante le crisi e sovraccaricato di responsabilità la politica monetaria”.

In questo quadro “le nuove proposte meriteranno una discussione approfondita, non offuscata da ideologie, con l’obiettivo di servire al meglio gli interessi dell’UE nel suo insieme”. Ciò che sorprende è la presenza sul sito governativo, in quel punto, di un link al documento Revising the European Fiscal Framework redatto da Francesco Giavazzi, professore e consulente del governo, V. Guerrieri, G. Lorenzoni, C.-H. Weymuller.

Cosa propongono Giavazzi & Co.

Il paper linkato alla pagina dell’articolo sul “Financial Times” non sembra aver attirato la benché minima attenzione; assai ingiustamente ad opinione di chi scrive dato che esplicita una proposta con un significativo grado di dettaglio.

Nel documento si propone una strategia di revisione delle regole europee basata su due pilastri.

Il primo pilastro, che giustifica l’ostentato ottimismo dell’intervento, è costituito dal superamento dell’attuale (obsoleto e ormai impraticabile) meccanismo, dettato dal Patto di stabilità e crescita e dal Fiscal Compact, che prevede un tetto del deficit/PIL al 3% e la riduzione di un ventesimo all’anno del debito/PIL superiore al 60%. La proposta vede invece una limitazione della crescita della spesa pubblica entro un tetto massimo e la diminuzione dell’indebitamento, quale rapporto tra debito/PIL in dieci anni ad un ritmo variabile legato alla tipologia di debito, con una minore velocità qualora si tratti di debito “buono”, inteso come spesa per investimenti, fermo l’obiettivo di lungo termine del 60%. Al fine di determinare quali siano gli investimenti “per il futuro”, meritevoli di un trattamento di favore, il paper si richiama al programma “Next Generation” con i relativi controlli e condizioni.

Il secondo pilastro del progetto è la costituzione di una agenzia europea per la gestione del debito (European Debt Management Agency) che acquisterebbe parte del debito dei singoli Paesi – si ipotizza quello creatosi in forza della crisi della covid (per l’Italia stimato nel 19% del debito totale) – dalla Banca Centrale Europea che ora lo detiene. L’Agenzia manterrebbe nel tempo invariata la percentuale di detenzione del debito pubblico attribuendo a ciascun Paese un costo in funzione del tasso pagato per l’approvvigionamento sui mercati finanziari e della crescita economica del singolo Paese.

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Il documento evidenzia la riduzione dei costi, in termini di tasso pagato, per gli Stati partecipanti, il vantaggio per la gestione della Banca Centrale nonché la creazione di un ampio mercato di titoli europei privi di rischio.

Il MES rientra dalla finestra?

Questo secondo pilastro già alla prima lettura fa sorgere qualche dubbio a partire dalla “European Debt Management Agency” che, si afferma, potrebbe identificarsi nell’ESM (European Stability Mechanism) in Italia meglio nota come MES (Meccanismo Europeo di Stabilità).

Attualmente il MES è di fatto inattivo, si limita a seguire il recupero di quanto prestato; nemmeno la crisi pandemica ha portato i governi a chiedere il suo intervento nonostante i bassi tassi offerti, ben memori del trattamento inferto dalla Grecia.

Aldilà della “opportunità lavorativa” offerta al MES, la sua scelta, anche se nulla si dice nel paper, è sostenuta dal fatto che solo parte del capitale del MES stesso è stato effettivamente richiamato e quindi si potrebbe chiedere ai singoli Stati di versare quanto mancante (per l’Italia circa € 111 miliardi) per finanziare l’acquisto iniziale da parte del MES del debito presso la BCE.

Perché non è una buona idea

La conseguenza sarebbe una ulteriore spesa per il nostro Paese solo per spostare il debito da un soggetto all’altro.

Nel paper si dimentica inoltre di scrivere che attualmente gli interessi sui titoli detenuti in forza dei vari programmi della Banca Centrale Europea vanno ai Paesi emittenti attraverso le proprie banche centrali nazionali. Quindi il sia pur basso tasso da pagarsi sui titoli oggetto dell’operazione descritta è comunque un aggravio al bilancio pubblico.

I titoli emessi dal MES sui mercati finanziari da chi verrebbero acquistati? in buona misura dalla BCE stessa che però potrebbe affermare di detenere non titoli di singoli Paesi bensì titoli di un emittente sovranazionale.

Va poi ricordato che lo statuto del MES prevede comunque condizionalità per i debitori e la modifica dello statuto stesso, tuttora in itinere, non rassicura minimamente circa questo aspetto.

Conclusivamente si tratta di una proposta assai strutturata da analizzarsi in dettaglio evitando di limitarsi ad apodittiche affermazioni circa il “debito buono”.

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Ricercatore senior del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Economia, ha lavorato per oltre venti anni presso una grande banca italiana ed attualmente svolge la propria attività quale direttore generale presso un investitore istituzionale.