di Daniele Scalea

Una Destra libertaria in Italia

Duecent’anni fa, Manzoni decise di “risciacquare i panni in Arno” della lingua italiana. Col suo Per una nuova Destra, Daniele Capezzone vuol risciacquare i panni della nostra area politica nel Tamigi e nel Potomac (o forse sarebbe più opportuno indicare il texano Brazos). Nelle 250 pagine prodotte dalla firma di punta de “La Verità”, ogni esempio indicato e ogni lettura consigliata proviene dalla “anglosfera”, da cui Capezzone trae numerose lezioni applicabili al nostro Paese. In nuce, questo libro si propone di lanciare anche in Italia una Destra libertaria di stampo americano: “antitasse, pro libertà, pro mercato”, per usare le parole ricorrenti nell’opera.

Sarò franco: il libertarismo propugnato da Capezzone è affascinante ma non corrisponde completamente alla Destra ideale di chi scrive questa recensione. Sarebbe però inelegante e ingiusto verso un libro di indubbio valore anteporre le mie opinioni alla sintesi dello stesso. Rimandando dunque alla chiusa dell’articolo le considerazioni più personali, cominciamo col riassumere perché questo libro sia prezioso e quali spunti di valore ci offra, a prescindere dalla concordanza di vedute con l’ideale capezzoniano.

Un complemento a conservatorismo e sovranismo

Un primo elemento molto apprezzabile nel testo è che la Destra libertaria non viene opposta antagonisticamente a quella conservatrice o “nazional-populista”. L’Autore è ovviamente convinto che quella da lui proposta sia la miglior versione di Destra (sarebbe insolito se così non fosse), ma ragiona in un’ottica di “campo largo” o, per usare ancora la terminologia anglosassone, di “big tent“. L’obiettivo non è quello di cestinare le altre, ma di aggiungere “un pezzo di destra”. E questo pezzo libertario, se va a discapito di qualcuno, lo fa dei “moderati”, che giustamente Capezzone bolla come elettoralmente ininfluenti e sempre pronti a cedere alla Sinistra.

Perché ci manca questo pezzo di Destra

La copertina

Che una Destra libertaria, che guarda – come indicato nel suo libro da Capezzone – a Clint Eastwood, Gregor Norqvist o Ronald Reagan, sia preferibile ai “moderati” che guardano a Renzi e Calenda, non è gran merito per la prima. Ciò che invece costituisce merito reale è che l’Autore propugni una Destra che abbia come valore fondamentale di riferimento la libertà, e non la protezione (come la Destra conservatrice) o i diritti (come la Sinistra). L’ultimo biennio di involuzione autoritaria pandemica ha palesato questa esigenza: la Destra ha risposto ai metodi cinesi di Conte invocando ancora più rigore, per poi distinguersi (soprattutto coi ministri di Forza Italia) per autoritarismo sotto Draghi.

Le incognite per il futuro sono tante e angoscianti. Capezzone nota che la pandemia ha avuto l’effetto socio-politico d’una guerra: ossia, apre a un ventaglio di possibilità prima inimmaginabili. Tra di esse c’è il pericolo, concreto, di un “nuovo socialismo”: la risposta alla duplice crisi sanitaria ed economica potrebbe portare a uno Stato che tutto controlla. Soprattutto perché la pandemia, spiega l’Autore, ha azzerato la propensione al rischio della società: oggi il miraggio prevalente è quello del “rischio zero” affidandosi al padre-padrone di Palazzo Chigi. Così, se la Sinistra cerca di rendere tutti dipendenti dallo Stato (o perché impiegati pubblici o perché sussidiati), la Destra al contrario dovrebbe lavorare per emancipare quante più persone possibili, facendosi campione del settore privato.

Scoprire la “base sociale”

Capezzone scrive che la Destra deve trovare una sua dimensione classista, come partito non dei ricchi ma di lavoratori e imprenditori, di chi vuole arricchirsi e non dipendere dallo Stato. Usa anche, provocatoriamente, la frase “lotta di classe” (non nuova neppure in ambienti non marxisti: si pensi a un libro di pochi anni fa di Michael Lind).

Forse si potrebbe discutere sugli esatti contorni di questa “base sociale”, ma è già un merito solo l’aver posto la questione all’attenzione dei nostri rappresentanti politici, che troppo spesso sembrano non accorgersi di prendere i voti da una parte e poi utilizzarli a vantaggio di altri (che votano PD…). La coalizione sociale interclassista di piccoli imprenditori, autonomi e dipendenti privati (ivi inclusi gli operai), vagheggiata da Capezzone, può già costituire un ottimo “promemoria” per detti leader, quando chiamati a compiere delle scelte sulle politiche da appoggiare o contrastare.

Come tenere tutti assieme

Ovviamente Capezzone si pone il problema di tenere assieme componenti tanto diverse come libertari, conservatori, sovranisti e populisti. E lo fa con una proposta coraggiosa: quella del grande partito unitario.

Chiaro che un simile schema susciti in Italia più di una perplessità. Ve ne sono di carattere meramente pratico: in un Paese in cui si vota con un sistema tendente al proporzionale, e noto per la sua capacità di dividersi in una marea di fazioni e sotto-fazioni, la proliferazione di partiti “identitari” appare pagante in termini elettorali. Altre perplessità sono dettate dall’esperienza: il Partito Democratico, che doveva federare le Sinistre, ha avuto una storia travagliata; il Popolo della Libertà, che doveva federare le Destre, è sopravvissuto pochi anni.

Che altri abbiano fallito non significa che la filosofia di fondo sia errata. Il PD non ha saputo modernizzarsi e includere prontamente nuove anime del “progressismo” che stavano emergendo, lasciando spazio al M5S; poi Renzi col suo piglio da “padrone” ha fatto il resto. Il PdL invece mancava della democrazia interna, ossia il meccanismo imprescindibile per tenere unite più anime.

Le primarie

Ed è proprio una democrazia interna all’americana, con primarie aperte a ogni livello, quella che Capezzone propone alla Destra per un progetto unitario e di successo. L’Autore ritiene si possa già avviare l’esperimento con un’elezione primaria per designare il capo della coalizione in vista delle prossime politiche: e ciò sarebbe indubbiamente meglio della competizione fratricida che parte un minuto dopo la chiusura dei seggi e finisce con la loro riapertura cinque anni dopo. Mi permetto di ricordare che chi scrive, pochi mesi fa, propose delle elezioni primarie anche per individuare i candidati sindaci.

Un sistema di primarie aperte darebbe il meglio di sé in un contesto più strutturato, quello di un partito unitario. Permettendo ad anime e correnti di sfidarsi e di competere, facendo emergere le istanze e le persone che realmente corrispondono al Paese reale: “[le primarie] servirebbero anche a salutari trasfusioni di sangue, a consentire non solo un fisiologico ricambio di leader e classi dirigenti (di per sé usurabili e usurate in tempi fatalmente brevi in questa era di «turbopolitica ipermediatizzata») ma anche iniezioni di nuovi contenuti”. E conclusa la fase della competizione interna, si andrebbe poi – tutti uniti – a quella esterna contro il vero avversario.

Forse è utopistico pensare si possa realizzarla in Italia, ma la proposta di Capezzone va strenuamente appoggiata.

Presidenzialismo e federalismo

Un’altra proposta della firma de “La Verità” è quella di modificare la Costituzione in senso presidenziale e federale. Oltre ad avere il pregio (non secondario) di poter mettere d’accordo sia l’anima centralista sia quella localista della Destra, potrebbe soddisfare nel contempo il bisogno di maggiore decisione e di una migliore gestione delle disomogeneità, due pecche della cosa pubblica italiana.

La critica alla UE

Infine, particolarmente apprezzabile è la critica che l’Autore rivolge all’Unione Europea. Questo perché la smonta proprio partendo da un piano “liberale e liberista”, che è quello (presunto) di molti suoi accesi sostenitori. Capezzone descrive l’UE come governata da interessi costituiti che difendono lo status quo: burocrazia, establishment mediatico-accademico, società civile che vive di sussidi. Questa UE vuole regolare ogni cosa e ha così indotto la stagnazione economica.

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L’UE andrebbe reimmaginata come una sorta di “piattaforma di servizi” di cui ciascuno Stato sceglie se e come usufruire. Ciò può avvenire rinegoziando i trattati per creare una UE a più livelli.

Da citare anche la critica alle tasse green: come nota acutamente Capezzone, le tasse sono finora sempre state il corrispettivo di un servizio da parte dello Stato. Coi nuovi balzelli “verdi”, diventano invece uno strumento punitivo o di rieducazione del cittadino.

Comunicazione politica

Capezzone è un grande esperto di comunicazione politica: la sua precedente opera, Likecrazia, era da questo punto di vista un vero gioiello. Alcune perle le ritroviamo però anche nell’ultimo suo libro. Tra le riflessioni che voglio segnalare c’è questa: nell’epoca del predominio del chiacchiericcio sui social e nei talk show, perché i capi politici della nostra area adottino una posizione politica bisogna saperla rendere “di moda”. Ormai le tendenze hanno soppiantato l’ideologia. Ciò richiede anche che si contrappongano propri influencer a quelli dei progressisti.

Sempre a proposito del (basso) livello attuale del dibattito politico, Capezzone spiega: non essendo oggi più allenati ad argomentare sviluppiamo un “complesso di inferiorità” che chiude al dialogo. Il dibattito regredisce perciò a messaggi istantanei e superficiali e tutto ciò si traduce in guerra di religione senza possibilità di sintesi e mediazioni.

Liberismo e monopoli

Siamo giunti al punto in cui debbo, con spirito costruttivo e amicale, marcare qualche differenza con la visione di Capezzone.

Partiamo dalla questione fiscale. La proposta dell’Autore è quella di uno choc fiscale (ovviamente al ribasso) per tutti. Nulla da eccepire ma qualcosa da aggiungere: ossia il pendant del problema dell’elusione fiscale da parte delle grandi multinazionali. L’attuale regime fiscale è terribilmente iniquo, con lavoratori, autonomi e piccoli-medi imprenditori massacrati di tasse, e grandi imprese che sfruttano la concorrenza fiscale tra Stati per pagare poco o nulla. Col risultato di riavere una fiscalità da Ancien Regime: ricchi “feudatari” esenti e i poveri costretti a sopportare tutto il fardello.

In ciò la divergenza dalla visione di Capezzone è chiara, dal momento ch’egli elogia come virtuosa quella dinamica di concorrenza fiscale (ma si potrebbe dire anche “costituzionale”) tra nazioni per garantire le migliori condizioni possibili al Big Business. Il vantaggio dato da economie di scala, nuove tecnologie (che richiedono investimenti sempre più fuori portata per i “piccoli”), rendite di posizione dominante, elusione fiscale e privilegi accordati dagli Stati è tale che, anche diminuendo il gap fiscale con un taglio choc delle tasse come quello suggerito da Capezzone, difficilmente il piccolo negoziante potrebbe reggere la concorrenza di “Amazon”.

Meno tasse per tutti è una ricetta che, se non contemperata da aggiustamenti relativi a queste grandi multinazionali, rischia d’accelerare o quanto meno di non modificare la tendenza in corso verso ampi monopoli. E un mercato caratterizzato da monopoli od oligopoli è, ovviamente, negativo e disfunzionale agli occhi di un liberale (da Adam Smith, che ne parlò ne La ricchezza delle nazioni, in poi).

Lo Stato al minimo

Il secondo punto riguarda il ruolo dello Stato. Capezzone è per la sua riduzione ai minimi termini. Pur convenendo sulla necessità di un suo ridimensionamento, lo Stato mantiene, a mio avviso, almeno due fondamentali funzioni oltre a quella di garantire ordine pubblico e proprietà privata. La prima è garantire l’interesse nazionale nei confronti del resto del mondo. La seconda è svolgere un ruolo “equilibratore” nella società: se in ambito economico i “grandi” possono prevalere e schiacciare i “piccoli”, in quello politico – dove il voto d’ogni cittadino vale in eguale misura – ciò è più difficile che avvenga. Per tale ragione la politica deve conservare una propria sfera di azione (o, se vogliamo, “di sovranità”) entro il corpo sociale.

Politica, cultura e coscienza

Coerentemente con l’impostazione libertaria, Capezzone propone di rimanere il più possibile al di fuori delle questioni di “coscienza”. Da un lato, per focalizzarsi sul nucleo economico del messaggio (meno tasse, meno regole), lasciando da parte temi più “divisivi”. Dall’altro, perché egli crede che l’elettorato liberale in economia lo sia tendenzialmente anche sui costumi.

Il primo argomento stride, in qualche modo, con le eccellenti pagine del libro dedicate alla dimensione fondamentale delle idee: Capezzone ammonisce su come la politica necessiti di una semina profonda, affinché le proposte pratiche si possano sempre ricondurre a idee di fondo. Monito condivisibilissimo e attuale, nell’era dell’istantaneità e superficialità “social”. L’Autore ha ragione da vendere quando denuncia la “debolezza culturale” della Destra, incapace di organizzare battaglie civili o dettare l’agenda. Appare però arduo, a chi scrive, riuscire a immaginare una dimensione culturale della politica che non entri mai anche nel piano dei costumi: pur rimanendo scevra da intenti regolatori, non può (anzi, deve) forse la Destra indicare un proprio modello di “buona vita” a chi la segue?

Sul secondo argomento, è possibile Capezzone abbia ragione e che davvero imprenditori, autonomi e dipendenti privati vogliano la massima libertà dei costumi. Il quadro potrebbe però essere più complesso. Facciamo ad esempio riferimento alla quadripartizione sociale proposta da Thibault Muzergues in un libro recensito su queste stesse pagine. Ad avviso dell’autore francese vi sono due diverse classi accomunate da una visione relativamente “liberale” in economia: quella dei “creativi” e ciò che resta della classe media. Tuttavia, mentre la prima è all’avanguardia nella costruzione dei “nuovi diritti”, la seconda è quella socialmente più conservatrice di tutte.

Conclusioni

Al di là di questi temi, su cui la mia visione si discosta in certa misura da quella di Daniele Capezzone, non ci sono dubbi che Per una nuova destra sia libro da leggere, meditare e dibattere.

In primis, perché la notorietà ed esperienza dell’Autore ne hanno fatto un successo commerciale e, dunque, un’opera influente.

In secondo luogo, perché ci sono proposte – come quella del partito unitario della Destra con sistema di primarie interne – che meritano il massimo appoggio.

In ultimo, perché una componente libertaria non solo sarebbe utile per raccogliere voti che, oggi come oggi, non andrebbero all’attuale Centro-Destra, ma soprattutto perché serve come il pane, l’acqua e l’aria qualcuno che raccolga il vessillo della libertà, abbattuto dall’emergenza pandemica, e lo sventoli in faccia agli odierni “comitati di salute pubblica” che nulla hanno da invidiare ai precursori giacobini.

Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.