di Marco Malaguti

Le restrizioni anti-covid sono hegeliane?

“La libertà è il riconoscimento della necessità”. Così si è espresso, citando G.W.F. Hegel, lo scorso 26 Gennaio in un intervento al Bundestag il ministro della sanità tedesco Karl Lauterbach, in un accorato intervento a favore dell’imposizione dell’obbligo vaccinale a tutti i cittadini tedeschi maggiorenni.

Terra di filosofi, la Germania è abituata a sentirne citare i nomi all’interno dell’agone politico. Udire, nella Germania di oggi, menzionare Hegel a supporto di un’azione di governo è, invece, qualcosa di abbastanza inusuale ed è certamente segno dei tempi che cambiano.

Hegel e Confucio: la riscoperta degli antichi maestri

Nei lunghi anni di denazificazione Hegel ha rappresentato, in Germania, un cattivo maestro simbolo di quella Deutschtum acritica e prona all’autorità che aveva reso possibile la tragedia della Shoah. La stretta parentela tra il pensiero marxista, dottrina ufficiale nella ex rivale DDR, e quello hegeliano, non ha aiutato a rendere popolare il più antiliberale di tutti i filosofi tedeschi, simbolo per eccellenza dell’autoritarismo prussiano.

Che Hegel torni fuori in piena pandemia, celebrato da una delle più alte autorità dello Stato tedesco, è senza dubbio sintomo dei tempi: non solo perché ciò accade nella locomotiva d’Europa e non nella presuntamente illiberale Ungheria, quanto piuttosto perché l’evento sembra essere in sintonia con una generale tendenza globale. La Cina, per esempio, da circa un decennio ha cominciato una sempre più massiccia riabilitazione di Confucio e del pensiero legista (primo tra tutti quello del filosofo Han Fei), la cui commistione, già molto popolare durante il regno di molte dinastie imperiali cinesi, presenta diversi punti in comune con la visione politica di Hegel.

Lo spirito del tempo pandemico

La riabilitazione europea di quest’ultimo, sostanzialmente bandito a causa del suo illiberalismo, e quella cinese di Confucio, messo all’indice dalla Rivoluzione Culturale di Mao Tse-Tung, non sono casuali in un’epoca in cui lo Stato sembra essere tornato prepotentemente protagonista, rimangiandosi, almeno nel Vecchio Continente, decenni di conquiste liberali nel campo dei diritti della persona.

La celebre dottrina confuciana secondo la quale la vera libertà risiede nella conoscenza della “volontà del cielo”, ossia nell’accettazione della realtà data e delle sue regole, e al perseguimento dei desideri dell’anima all’interno di una cornice di regole date, si raccorda perfettamente alla citazione di Hegel riportata da Lauterbach.

Il raccordo in questione si carica ancora di più di significato se si considera che la citazione hegeliana non è tratta di peso da un’opera del filosofo tedesco, quanto da una sua parafrasi contenuta nel Anti-Dühring di Friedrich Engels, un classico della filosofia politica marxista. Ce n’è abbastanza per comprendere come il triangolo Confucio-Hegel-Marx non sia esattamente quanto di più rassicurante possibile per un’Europa che si pretenderebbe liberale o liberaldemocratica.

L’avanzamento tecnologico, la necessità di tutelare una popolazione sempre più anziana ha reso possibile, tanto in Occidente quanto in Estremo Oriente, l’affermazione progressiva di una società della sorveglianza di cui a stento popolazioni e classi dirigenti europee sembrano quantificare la pervasività. La riproposizione acefala del pensiero hegeliano, peraltro a lungo supportata da elementi organici alla stessa scena culturale di destra, si qualifica quindi come perfettamente organica allo Zeitgeist pandemico.

L’idea tipicamente hegeliana di una volontà soggettiva che trova pieno significato soltanto nella dimensione universale di uno Stato che sia, esso e solo esso, “sostanza etica consapevole di sé”, si sposa a pennello con la nuova normalità pandemica e, forse, post-pandemica. In Hegel l’uomo è debitore totale ed eterno nei confronti dell’entità statale; gli deve “ogni valore, ogni realtà spirituale” e, benché il filosofo tedesco teorizzasse uno stato di diritto e non una tecnocrazia autoritaria, viene realmente da chiedersi se oggi il pensiero di chi si oppone, da destra, allo stato d’emergenza pandemica, abbia realmente bisogno di Hegel. Al contrario, c’è da scommetterci, Hegel sarà sempre più riscoperto, sia in sede politica sia in ambito accademico, come puntello per la nuova società della sorveglianza.

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Un nuovo Stato scientista ed hegeliano

Lungi dal fossilizzarsi sullo stilema fusariano dell’individuo “monadico”, che invece sarebbe stato patrocinato dal liberalismo classico, la politica moderna sembra marciare a falcate sempre più ampie e veloci verso un nuovo collettivismo di matrice autoritaria che vede nello Stato il suo architrave e nella tecnologia (in particolare internet) i suoi muri portanti. La stessa idea hegeliana di necessità storica che si serve della politica, degli Stati e delle scienze per autorealizzarsi risulta perfettamente compatibile con la prospettiva scientista contemporanea, secondo la quale la politica non sarebbe altro che la reiterata attuazione di decisioni obbligate dettate dalla necessità.

In questo il filosofo hegeliano, il materialista dialettico e l’antico saggio confuciano si danno armonicamente la mano con il moderno tecnocrate. Leitmotiv di fondo è l’idea di una natura immanente, la cui trama è perfettamente conoscibile dalla ragione e sulla quale le decisioni politiche dell’uomo devono armonizzarsi razionalmente. Poco importa, in questa prospettiva, lo strumento che si adoperi per tale fine, se lo studio della storia o l’economia politica, se l’epidemiologia o l’antichissima pratica divinatoria dell’I Ching.

L’idea, tanto illiberale quanto utopica e costruttivistica, della società perfetta si nutre, in estrema sintesi, alla fonte della prospettiva razionalista secondo la quale tutto ciò che esiste sarebbe conoscibile, traendo da questa conoscibilità un imperativo etico a cui l’uomo dovrebbe uniformarsi, pena la sua infelicità.

L’individuo può realizzarsi fuori dallo Stato?

In quest’ottica, vale la pena tornare alle origini del pensiero liberale, al concetto di persona e alla riflessione sulla vera felicità (ed al diritto di conseguirla) che non sfuggì ai padri della rivoluzione americana. Se, come Hegel dava forse troppo per scontato, un uomo può realizzarsi solo all’interno di uno Stato che lo identifichi a pieno sia etnicamente sia religiosamente, è altresì vero che ciò non è possibile per quanto riguarda lo Stato moderno spogliato di ogni trascendenza, né è a sua volta possibile in uno scenario in cui la filosofia non abbia ancora risposto in maniera esauriente a innumerevoli interrogativi a proposito della vita umana.

A cominciare da quello che si chiede se sia ancora un uomo quello che, ormai incapace di decidere persino delle libertà più basilari del proprio corpo, si sia ridotto in una condizione di dipendenza patologica dallo Stato.

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.