di Giulio Maria Sibona

Chi scrive aveva già avvisato, in maniera scaramantica eppure veritiera, della possibilità che la coalizione di Centrodestra, sebbene disponesse di una maggiore quantità di Grandi Elettori, investiti del diritto e dovere di voto del Presidente della Repubblica, non ne avrebbe fatto tesoro. Sorvolando tutte le dietrologie su possibili tradimenti tra alleati e decisioni già prese sul risultato finale, una cosa è evidente: da quando c’è il sistema misto il Centrosinistra riesce, in un modo o nell’altro, a votare i proprii membri alla più alta Carica. Dalle particolari condizioni di questa ultima tornata è diventata ormai forte la discussione sulla possibile elezione diretta del Presidente della Repubblica.

Presidente eletto in regime di parlamentarismo (Austria, Portogallo, Finlandia)

Partiamo da un presupposto: l’elezione a suffragio universale di un organo gli conferisce la legittimazione piena e quindi i poteri che può esercitare. Ogni membro del Parlamento (organo collegiale) è eletto così, mentre tutto il Consiglio dei Ministri no, come pressoché in tutto il mondo. Quindi in Italia al Parlamento è affidata la fiducia all’esecutivo e l’elezione del Presidente della Repubblica; perciò noi siamo una Repubblica Parlamentare. Ciò significa che l’elezione diretta del Capo dello Stato (organo monocratico) apre una varietà di scenari su cui è opportuno soffermarsi attentamente.

Se volessimo fare questo “salto di qualità” non necessariamente saremmo tenuti ad ampliarne i poteri, nonostante che il Presidente avrebbe una legittimità anche per prendere decisioni più politiche, come hanno fatto alcuni Presidenti fin ora, senza godere però del voto diretto. Potremmo insomma scegliere un garante, un arbitro che si intrometta il meno possibile. Ciò succede in Austria, che elegge a voto diretto il suo Capo di Stato ma resta una Repubblica Parlamentare con un Cancelliere forte. Ordinamenti simili che mantengono la centralità del Parlamento con un Governo che prevale sul Presidente sono Portogallo e Finlandia.

Semipresidenzialismo (Francia, Polonia)

Se tuttavia da questa elezione volessimo far discendere un aumento di poteri, potremmo entrare in una categoria invero piuttosto ampia e nota al grande pubblico come “semipresidenzialismo”, il cui principale ma non unico modello è la attuale Quinta Repubblica Francese, la quale discende proprio dall’intuizione di De Gaulle che la repubblica parlamentare (la loro Quarta), fosse inefficiente. In realtà qui si configura una elezione diretta che aumenta i poteri del Presidente stesso, ma con i rapporti tra Parlamento e Governo si possono avere molte varianti, come quella polacco.

La caratteristica qui è che il Presidente non è arbitro garante, perché è eletto e portatore di una propria linea politica. Egli, tuttavia, piuttosto che esercitare in persona il proprio mandato politico nomina un vero e proprio Governo con tanto di Presidente del Consiglio, che sicuramente finisce in ombra a causa del ruolo preponderante del Presidente stesso. Il Consiglio dei Ministri è sottoposto alla fiducia del Parlamento, che ricalca la antica funzione del Parlamento di limitare i poteri del Sovrano, qui il Presidente. Il Sistema è misto e c’è una sorta di collaborazione e il Presidente può, in alcuni regimi, sciogliere le Camere.

Presidenzialismo (Stati Uniti d’America)

Il caso più interessante è quello del Presidenzialismo, ancora più ispirato alla contrapposizione tra Re e Parlamento, rappresentato al meglio dagli Stati Uniti e copiato da molte repubbliche americane. Qui il Capo dello Stato lo è anche del Governo. Il Consiglio dei ministri viene direttamente abolito e il Presidente detiene l’intero potere esecutivo e lui stesso può cambiare i suoi ministri (Segretari) a piacimento. Tuttavia si può creare uno scontro con l’organo legislativo, che è costituito da tante persone, quindi pensieri diversi, che sono rappresentanti locali, ognuno portatore di istanze e problemi diversi. Ciò che il Presidente fa e pensa può non raccogliere il sostegno di alcuni, la maggioranza o tutti i legislatori e quindi fermarsi bruscamente.

Premierato

Qui corre l’obbligo di citare una ulteriore possibile alternativa, proposta da qualche esponente di sinistra, del “premierato”. Con ciò si indica l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Israele fu l’unico a sperimentarla e ad abbandonarla dopo due sole legislature: da ciò dovremmo chiederci se valga veramente la pena, considerando che spiazzerebbe qualsiasi ulteriore proposta riformatrice istituzionale. Il Capo del Governo verrebbe eletto a suffragio universale, quindi avrebbe pieni poteri, come Presidente del Consiglio; il Presidente della Repubblica avrebbe pochissimo o alcun senso (tipo sciogliere le camere, ma sarebbe a scadenza naturale). Per il Parlamento sarebbe quasi impossibile una sfiducia, tutt’al più quella costruttiva, tedesca, che si compie solo se c’è un’altra maggioranza già costruita. Ipotesi questa che però non richiede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Sembra più teorica che pratica.

LEGGI ANCHE
SONDAGGIO: chi vorresti come Presidente della Repubblica?
Il sistema politico è fluido e si evolve

La teoria giuridica in realtà comprende essenzialmente un regime parlamentare e uno presidenziale, con tutte le forme ibride al centro, laddove le costituzioni non esplicitino tutte le prerogative presidenziali, lasciando allo sviluppo materiale del sistema politico e alle contingenti occasioni. In questo senso ogni Nazione è unica, a modo suo, e l’Italia è passata dal puro parlamentarismo a un rafforzamento significativo del Gabinetto e finanche a intrusioni (non esplicitamente vietate) del Capo dello Stato nel perimetro dei rapporti politici istituzionali.

Dobbiamo intanto riflettere sulla evoluzione materiale delle nostre istituzioni. L’Esecutivo è pensato per collaborare con la maggioranza parlamentare, con tutte le difficoltà di instabilità politica. Il nostro sistema ha visto un progressivo rafforzamento patologico del Governo che ha devitalizzato il Parlamento, lasciandogli spesso solo il ruolo di ratificatore delle sue decisioni. Inoltre dobbiamo prendere in considerazione la possibilità del Presidente della Repubblica di intervenire nelle crisi istituzionali tra Parlamento e Governo. Possiamo rinforzare o indebolire le due direttive e ottenere risultati diversi, tenendo presente che la funzione di esecutivo possa essere spostata su un Presidente o un Capo del Governo. La terza funzione, dello scioglimento anticipato delle Camere, può essere vietata, come negli USA, o essere lasciata (sentiti i pareri dei Presidenti delle Camere).

Le alternative in campo

Questa breve rappresentazione ci potrebbe fornire qualche idea su come si possa voler trasformare la nostra Repubblica. Il massimo rispetto per le nostre istituzioni forse sarebbe l’elezione diretta del Presidente senza modifica dei poteri, lasciando il libero rafforzamento del Governo sul Parlamento. Il Presidente, eletto a suffragio, interverrebbe solo in caso di crisi politica. Se volessimo aumentarli lasciando un organo di funzione esecutiva, passeremo a una variante di repubblica semi-presidenziale in cui investiamo un Presidente del mandato di formare i Governi che ritiene per svolgere il mandato e mantenere le “promesse elettorali”.

L’ultima alternativa, in considerazione del primato assoluto del nostro numero di governi dal 1945, è che forse un Presidente forte ci permetterebbe di prendere – ed eseguire – decisioni e fare finalmente politica in maniera seria senza tentennamenti e ricatti di micropartiti. Tuttavia, mettendo a confronto gli Stati Uniti con le repubbliche sudamericane partiticamente frammentate (come Brasile e Cile), vediamo quali effetti accadrebbero se rispettivamente rinforzassimo le coalizioni col bipolarismo o tornassimo definitivamente al previgente sistema proporzionale. Saremmo tuttavia un unicum nell’esperienza europea, tra le poche repubbliche e le tante monarchie.

Laureato in Giurisprudenza, specializzato in Diritto agroalimentare quale settore strategico italiano di economia reale. Appassionato di politica, storia, filosofia, spiritualità. Da oltre 10 anni scrive di politica nazionale e internazionale, sulle trasformazioni che il mondo sta vivendo.