Due giorni fa, in un commento sulla crisi ucraina, invitavo a lasciare da parte le argomentazioni storiche, morali o giuridiche per focalizzarsi sul nocciolo della questione. Questione che è essenzialmente strategica e riassumibile in: l’Ucraina sarà mai nella NATO? Mosca ritiene ciò una minaccia esistenziale (a torto o a ragione, poco importa) e sta agendo di conseguenza. E noi?
Le diplomazie atlantiche hanno cercato di eludere la questione, o dicendo che non era all’ordine del giorno (di questo; ma dei prossimi?) oppure trincerandosi dietro la vuota e ipocrita formula del “ogni Stato dev’essere libero di scegliere le sue alleanze” (ma le alleanze possono sempre rifiutarsi d’accoglierlo…). E la stanno eludendo da decenni, in realtà.
Prima nel 2004-05 (“Rivoluzione arancione”) poi nel 2013-2014 (“Euromaidan”) i media e i politici di casa nostra si sono esaltati per i moti popolari ucraini che spingevano il Paese verso l’UE e la NATO. Sono andati anche oltre il tifo: un supporto tangibile fu dato al successo di quei moti e alla loro organizzazione. Quando però i nuovi dirigenti “filo-occidentali” di Kiev si sono rivolti ai loro tifosi a Washington, Roma, Berlino, Londra, Parigi, chiedendo di poter effettivamente unirsi a loro nell’UE e nella NATO, la risposta è stata negativa.
Peccato che, nel frattempo, si fosse così spezzato il delicato equilibrio che per tutti gli anni ’90 aveva fatto dell’Ucraina uno “Stato cuscinetto” tra la NATO e la Federazione Russa. Povero, ma abbastanza neutrale da non temere invasioni e abbastanza a metà del guado da poter cercare d’incassare il più possibile dai due corteggiatori. Noi, Paesi della NATO, abbiamo aiutato e incoraggiato gli Ucraini a rinunciare alla neutralità e inimicarsi la Russia, ma sempre a metà del guado li abbiamo lasciati. Così, quando nel 2014 Mosca reagì al cambio di regime a Kiev annettendosi la Crimea e occupando per interposta persona mezzo Donbass, la NATO non ha mosso un dito. Negli otto anni successivi, l’Ucraina non è stata ammessa né nella NATO né nell’UE. Il premio di consolazione sono stati aiuti militari, che oggi serviranno ad esigere un costo più elevato dall’invasore russo, ma non certo a salvare l’Ucraina dalla sconfitta.
Quando si è palesata, settimane fa, la volontà russa di minacciare l’Ucraina, i Paesi europei e gli USA si sono affrettati a denunciarla, a deprecarla, a solidarizzare con Kiev e …ad assicurare che non avrebbero difeso l’Ucraina. “Nessun intervento militare da parte della NATO”. Così è stata ricompensata Kiev, dopo averla spinta al muro-contro-muro con Mosca.
Tutto ciò viene ricapitolato non solo per meglio chiarire i termini della questione, né per evidenziare il terribile torto che abbiamo fatto agli Ucraini – sedotti e abbandonati. Serve anche a comprendere l’errore strategico compiuto da noi e il danno che ne stiamo ricevendo.
Il primo danno è la probabile perdita dell’Ucraina. Putin non vorrà occuparla e annetterla per intero, ma si prenderà una fetta di quella sud-orientale e praticherà una sorta di regime change a Kiev.
Il secondo è la rottura con la Russia stessa. Le sanzioni e contro-sanzioni faranno più male alla Russia, ma lo faranno anche a noi. Avere un nemico conclamato a est imporrà alla NATO di concentrare là le sue risorse, lasciandone poche per lo scacchiere mediterraneo che più ci interessa come italiani. Inoltre, consegnerà la Russia di Putin (lo stesso che intorno all’anno 2000 avrebbe voluto portarla nella NATO) alla piena alleanza con la Cina, ossia il vero rivale strategico dell’Occidente.
Molti in queste ore accusano Putin di essere “fermo all’Ottocento”, di isolare la Russia ed esporla a dure sanzioni. Sfugge però loro un dettaglio: e cioè che mentre si sono preoccupati d’occupare il moral high ground, l’impalpabile altipiano morale, nella pianura della realtà Putin si sta prendendo l’Ucraina. Ossia lui ha vinto e loro hanno perso.
Una sconfitta dovrebbe essere occasione per ripensare la nostra strategia complessiva.
Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.
Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).
Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.
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