di Giuseppe Morabito

“Il dado è tratto”: frase proverbiale già presso gli antichi romani, che si ripete tuttora nell’intraprendere un’azione irrevocabile. Secondo Svetonio l’avrebbe pronunciata Cesare al passaggio del Rubicone. Questa frase diede inizio a una importante guerra civile nella storia di Roma, ma ciò non è paragonabile con quanto accade ai giorni nostri.

In queste ore, ogni volta che commento la situazione russo-ucraina, ripeto che non avrei mai pensato a una invasione generale del Paese da parte di Mosca. Così come non avrei mai creduto che il Presidente Putin riuscisse a “ingannare” tutti, ossia a nascondere fino all’ultimo momento possibile le sue reali intenzioni.

La reazione europea

Prima di tutto, al di là dell’esplicita condanna all’inaccettabile azione militare russa, due considerazioni sono obbligate.
La prima è che ancora una volta l’Europa (unita?) ha dimostrato la sua debolezza e la sua incapacità di avere una politica estera o di una difesa comune.
La seconda è che, proprio per questa debolezza congenita europea, continuo a nutrire forti dubbi sulla efficacia e sulla reale applicazione delle sanzioni che sono state e saranno decise, anche perché in parte si ritorceranno contro chi le implementa. Ad esempio, al momento in cui si scrive (domenica 27 febbraio) non si parla con certezza di sanzioni alla vendita di gas russo perché l’Europa ne ha notevole bisogno (con l’Italia assolutamente compresa nella lista dei bisognosi a causa delle pregresse folli e ideologiche politiche energetiche).

Il nostro Paese, nella sua visione sia atlantica sia europea, vuole fare la sua parte e muoversi compatta con il resto dell’Europa; tanto è vero che venerdì sera, nel vertice della NATO, il Presidente Draghi ha dichiarato:

Abbiamo condannato con la massima fermezza l’attacco, di una brutalità ingiustificata, della Russia all’Ucraina. Il comportamento russo è la più grave minaccia alla sicurezza euro-atlantica da decenni e soprattutto alla nostra democrazia e libertà. La nostra unità è e sarà sempre la risposta più forte. Manteniamo una posizione coesa e decisa. L’Italia è uno dei più importanti contributori di truppe alle operazioni NATO. Siamo pronti a fare la nostra parte, come sempre, per mettere a disposizione le forze necessarie. La reazione deve essere determinata per evitare qualsiasi ambiguità.

Le prospettive negoziali

In queste ore le notizie da Kiev si rincorrono ma parrebbe scontato l’epilogo degli scontri. Anche il presidente bielorusso Lukashenko ha chiesto di porre fine al conflitto attraverso negoziati prima che sia troppo tardi. “Domani ci sarà la guerra e dopodomani sarà un massacro. Perciò, se hanno cervello, quei pazzi, prendano una decisione e si seggano al tavolo”, ha detto Lukashenko. “Può succedere che, domani, nessuno avrà più bisogno di negoziati perché il vincitore non vorrà parlare con nessuno”. Ora Kiev e Mosca si stanno preparando a tenere un negoziato presso il confine bielorusso. Forse c’è una speranza.

La Turchia (Paese membro della NATO) non collabora alla politica sanzionatoria. Infatti la Russia non ha ricevuto alcuna notifica ufficiale da Ankara sulla chiusura alle sue navi da guerra degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, attraverso cui si accede al Mar Nero dal Mediterraneo. Questo nonostante il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky avesse annunciato la chiusura degli stretti a seguito di una telefonata con l’omologo turco Erdogan. Nei giorni scorsi, Ankara aveva comunque escluso l’ipotesi, come se la questione ucraina-russa non la riguardasse, ma oggi con opportunismo si segnala come volontario mediatore. Credo che fidarsi di Erdogan come mediatore sarebbe folle, attesa la sua “amicizia ideologica” con il Presidente Putin.

La situazione militare

In queste ore la capitale ucraina Kiev è sotto assedio. Conoscendo bene la topografia della città è prevedibile una strenua resistenza, perché la stessa si presta ad essere difesa casa per casa: è molto urbanizzata, con ampi spazi e punti di osservazione. Altre città ucraine saranno veramente difficili da conquistare proprio per la loro intensa urbanizzazione. Non deve sorprendere, nel contempo, la voglia di resistere degli ucraini a fronte di una preponderanza delle forze russe e della capacità soprattutto delle forze speciali del Cremlino, tra l’altro elogiate pubblicamente dal loro Presidente.

Dal punto di vista militare bisogna sottolineare che le forze armate russe non stanno distruggendo il sistema economico ucraino. La corrente elettrica non manca quasi mai, il sistema internet non è bloccato e le linee ferroviarie nell’ovest del Paese funzionano. Solo per questo abbiamo ora per ora le notizie da chi è sul posto e la possibilità di seguire le dichiarazioni del governo ucraino. Questo accade perché la Russia non può non pensare a quello che sarà il dopoguerra in Ucraina e alla necessità di riprendere rapporti cordiali con il suo popolo. Mosca non può permettersi di distruggere e disarticolare completamente il sistema Ucraina perché comunque dovrà cooperare in qualche modo con Kiev.

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Da parte russa si sostiene che si è arrivati all’invasione di un Paese (sovrano) perché il Presidente Putin ha fatto delle proposte di appeasement che sono state rifiutate. Sono ancora convinto che il Presidente russo non avesse l’interesse ad arrivare al punto attuale, ossia a un intervento militare.

Dall’Ucraina a Taiwan

Senza mettere mai in secondo piano l’evidenza che la diplomazia ha fallito, a maggior ragione sarà ora difficile trovare una soluzione apparentemente senza né vinti né vincitori e, soprattutto, che non costituisca un precedente per analoghe rivendicazioni, come ad esempio quella della Cina Popolare nei confronti della democratica Repubblica di Cina – Taiwan. Pechino “deplora” e non “condanna” l’invasione dell’Ucraina e a febbraio, prima delle Olimpiadi Invernali, ha firmato un accordo strategico con la Federazione Russa. Si è astenuta alle Nazioni Unite in quanto il veto alla risoluzione contro l’invasione era stato già posto dalla Russia e non c’era bisogno di quello della Cina Popolare. A dimostrazione di quanto appena scritto, ha affermato mercoledì il ministero degli Esteri cinese: “Taiwan non è l’Ucraina ma è sempre stata una parte inalienabile della Cina Popolare”. Come pronta e logica risposta la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen ha chiesto all’isola di rafforzare la vigilanza sulle attività militari in relazione alla crisi in Europa.

Ciò non significa che un attacco cinese a Taiwan sia imminente. È impossibile prevedere con certezza cosa penserà Xi per Taiwan all’indomani della guerra del suo nuovo alleato strategico Putin in Ucraina. A differenza di Putin quando si trattava dell’Ucraina, però, Xi non sta accumulando una forza d’invasione sullo stretto che separa Taiwan dalla Cina Popolare e continentale. Inoltre, per Xi l’ascesa della Cina Popolare è inevitabile e il tempo è dalla sua parte. Non ha bisogno di seguire Putin sulla via della guerra (almeno per ora…). Un eventuale ulteriore conflitto nell’Indo-Pacifico metterebbe in crisi ancora una volta l’economia mondiale.

Come indicato, la crisi ucraina investe la problematica energetica essendo la Russia il Paese con le maggiori riserve di gas mondiale, ma in parallelo un attacco della Cina Popolare a Taiwan bloccherebbe la produzione dei microchip essenziali per ogni strumento tecnologico (auto, telefonia, computer, aerei, ecc.) di cui l’isola democratica è il primo produttore mondiale per qualità e quantità. Se la Cina Popolare procedesse a questa invasione avrebbe il controllo dell’industria mondiale, senza contare che già detiene la seconda aliquota del debito pubblico Usa dopo il Giappone.

Le opzioni per le democrazie occidentali

Quindi l’aggressione militare di Putin è un indicatore di ciò che potrebbe accadere. Le potenze autoritarie potrebbero convincersi e credere che sia arrivato il momento di respingere gli Stati Uniti e rimodellare il mondo approfittando della debolezza mostrata dal governo Biden in Afghanistan, in Medio Oriente e oggi nell’Est Europa.

A fine febbraio 2022 non è affatto chiaro se gli “Alleati democratici” abbiano la volontà, le risorse o l’unità per combattere un’altra battaglia con l’autocrazia. La crisi ucraina ha mostrato che sia gli Stati Uniti sia i loro alleati europei si battono per uno scopo comune, pur non essendo all’altezza in termini di risultati. I leader europei vogliono tracciare la propria rotta, ma la loro tanto decantata “autonomia strategica” sembra sempre più simile a una “indecisione strategica”, in cui i guadagni economici e politici a breve termine hanno la precedenza sugli interessi strategici a lungo termine. Nel contempo, l’opinione pubblica statunitense parrebbe stanca di combattere le battaglie del mondo. I leader comunisti della Corea del Nord e della Cina Popolare e quelli religiosi sciiti in Iran stanno arrivando a vedere il declino americano come inevitabile, tanto quanto la loro stessa ascesa.

La crisi ucraina potrebbe sembrare aggiungere ulteriore forza a questa funesta teoria e certo serpeggia il timore che gli Stati Uniti e i loro partner non combatteranno per i loro ideali o per il loro ordine mondiale. Giungono alcune notizie, da confermare, che anche in Russia iniziano proteste e accaparramento di cibo e materie prime e questo indica che c’è ancora la possibilità di fermare la Russia sul piano economico. Se l’Occidente vuole dimostrare che i Paesi democratici sono uniti è il momento di gettare i dadi. Non certo con una guerra di eserciti ma con una grande offensiva diplomatica e commerciale.

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Senior Fellow del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Generale di Brigata (aus.) dell'Esercito Italiano, membro del Direttorato della NATO Defence College Foundation. Per anni direttore della Middle East Faculty all'interno del NATO Defence College.