di Massimiliano Carta

L’ipse dixit scientista

Noti fatti moderni hanno portato alla luce l’instaurarsi dell’ipse dixit della Scienza (nuovo Credo sostituivo a quello che per secoli fu ispirato dalle cosiddette religioni del Libro), della sua presa simil-golpistica del potere sulle menti umane ed all’interno dei palazzi amministrativi della cosa pubblica.  Intorno a essa sembra ruotare la forma mentis della politica non solo italiana ma anche racchiusa all’interno di ogni cunicolo culturale di questo scorcio di terra chiamato Occidente.

Alla luce di ciò crediamo che sia necessario anteporre ad esso alcune riflessioni di carattere fondativo. Soprattutto dinanzi l’acredine – a dir poco incoerente e contradditoria per la natura stessa del fenomeno scientifico – che viene cosparsa sui corpi e sulla dignità di quelle figure che tentano di avanzare (o proporre) una sorta di pensiero critico sulle diffuse e molteplici verità/non-verità che goffamente tentano di inserirsi nel dibattito pubblico; soprattutto dinanzi a ciò, si diceva, crediamo che sia nostro dovere qui esporre, in questo saggio breve ma ragionato, alcune considerazioni velatamente epistemologiche.

Il pensiero mitico come difesa dall’ignoto

Considerazioni che si crede possano condurre, per nostro più sentito auspicio, a più nobili sentimenti di comprensione del significato profondo del termine “Scienza”, partendo dalla radice intellettuale del concetto stesso, in fondo alla quale vi è concentrata l’essenza che funse da moto propulsivo verso ciò che più caratterizza il mondo moderno, a nostra opinione il cosiddetto “pensiero mitico primitivo”.

Concentrando la nostra attenzione, per l’appunto, sul concetto specifico del “mito”, risale con forza al nostro intelletto come esso abbia ricevuto, attraverso i secoli, le più diverse definizioni. Eviteremo, però, di non soffermarci solamente sulle caratteristiche intrinseche del “pensiero mitico” in sé, ma utilizzeremo tale concetto come metro di riferimento e paragone con ciò che viene definito “pensiero scientifico”, con la consapevolezza implicita che, allo sguardo del lettore esigente, l’assunto che prenderà forma nelle prossime righe potrebbe risultare moderatamente rudimentale. Partiremo con una breve analisi.

Il pensiero mitico, nella sua forma più introspettiva, nasce dall’espressione di un’emozione generata nell’Uomo primitivo, emozione prodotta da una situazione a lui esterna. Dinanzi al mistero della Natura, della vita, della nascita e della morte l’Uomo primitivo arriva gradualmente a congegnare delle rappresentazioni – spesso ritualistiche – di ciò che sente, di ciò che vorrebbe sapere, di ciò a cui assiste. I misteri della Natura, che egli si sforza di comprendere appieno, vengono in un secondo momento riprodotti attraverso il filtro della propria personale interpretazione e di molteplici nessi di causalità. Attraverso lo strumento del pensiero mitico egli riesce a darsi delle risposte alle sue domande, giungendo in taluni casi all’antropomorfizzazione deistica della Natura stessa, ricercando in essa la sua immagine speculare ma non riuscendo, purtroppo, a scavare troppo in profondità, a tentare una sorta di frattura esistenziale da essa. Egli si sente un tutt’uno con la Natura, e non vi è una razionalità alcune che possa essere in grado di separarlo dall’ambiente in cui vive.

Giocoforza il mito assume la funzione di difendere l’Uomo primitivo dall’ignoto, dall’inconsapevolezza sui perché del Creato e dei fenomeni naturali ad esso ascritti, non permettendogli però di tentare tutte quelle azioni utili che possano, in modi diversi, indirizzarsi contro di esso.

Il pensiero scientifico

Al contrario il pensiero scientifico – ossia l’analisi del mondo attraverso la cognizione della propria separatezza e delle propria razionalità – permette all’Uomo moderno di agire direttamente alla fonte dell’ignoto stesso, conducendolo intellettivamente ed a tentoni verso la conseguenziale dipartita di tutto quel che può generare in lui quella classica irrequietezza nei confronti della natura del mistero e dell’inspiegabile, arrivando lentamente a scemarne l’intrinseca intensità emotiva. Il chiedersi finalmente il “perché”; quello specifico perché che possa in qualche modo condurlo verso una via illuminata diretta verso una più profonda consapevolezza e percezione delle cose a lui circostanti.

Da quanto appena detto risulta ovvio ai più come la vera innovazione epistemologica sia la domanda, con assieme la capacità di pensarla e la facoltà di porla. Ossia la comprensione di quanto essa rappresenti una forma di potere attraverso cui sottoporre il mondo alla propria autorità, alla propria curiosità, riuscendo definitivamente nell’intento di modificarlo a passi piccoli o giganti.

A questo punto crediamo che risulti chiaro che il più grande limite, purtroppo, del mito primitivo è quello di mantenere tali domande ad un livello basso, superficiale, al contrario di quelle formulate da quel tipo di Uomo moderno che, compiuta l’opera fondamentale di conoscenza e consapevolezza di sé, arriva ad immaginarne di più incisive e concrete da porre al mondo. Domande che possano costruire edifici concettuali complessi ed articolati, e che vadano oltre alla ritualizzazione o alla difesa puntuale ed isolata dal singolo fenomeno.

Tale procedimento accentua maggiormente quella primigenia necessità di trovare le cause vere del fenomeno naturale rivelato, in quanto è attraverso tale conoscenza che è possibile intervenire su e contro di esso (arrivando così ad attivare il classico procedimento scientifico). Consapevolmente o meno i nessi di causalità si affinano e si comincia, appunto, a sviluppare in maniera esponenziale quello che poi diverrà un sistema più complesso, corposo ed articolato di conoscenze.

Domandare è dominare

L’Uomo moderno arriva così a soddisfare quella sua antropologica necessità di riporre all’interno del proprio corredo mentale un sistema logico e concettuale che gli permetta anche di plasmare manu propria il mondo, di prevederne addirittura le successive modifiche. Alla causalità emotiva, alla causalità magica, ai confusi segni divinatori a cui attenersi rigidamente senza apporre dinanzi ad essi alcuna forma di dubbio o confutazione si sostituisce una più fluida ed elastica causalità meccanica, fisica, scientificamente misurabile, che comporta in maniera conseguenziale un’affinazione della capacità interrogativa, della precisione dell’individuazione delle domande da porre alla realtà circostante e, con esse, una maggior capacità di agire sul mondo, di saper discernere e distaccarsi in maniera dinamica dalla spesso incoerente e volubile volontà divina.

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In questo specifico frangente il filosofo greco Socrate fu strictu sensu pioniere dell’arte del domandare. Conosciuto è il suo profondo ed acre disprezzo verso ogni forma consueta di potere, da cui tentava di tenersi ben lontano, soprattutto da tutto ciò che potesse ricordarlo (cosa che lo condurrà a morte inevitabile). Chiunque lo volesse poteva procurarsi presso di lui quella saggezza che determinava la sua superiorità, limitandosi però a porre agli astanti delle domande specifiche (cosa simile che possiamo osservare nei dialoghi di Platone).

In conclusione è possibile intuire come sia per merito della domanda che l’uomo riesce a tagliare la realtà in frammenti a lui comprensibili, marcandone le distinzioni e le classificazioni non per come appaiono attraverso i nessi di causalità magica ed emotivi tipicamente mitici, ma attraverso il modo in cui la realtà reagisce alla stimolazione provocata dall’interrogazione. Dai lombi fatali di questa nuova presa di coscienza è possibile a tutti noi assistere al parto della “classificazione scientifica” sulla base dei nessi di causalità prettamente scientifici, con la capacità per l’Uomo moderno di comprendere la Natura da un punto di vista esterno ad essa, attraverso soprattutto un rapporto di potere che permette lui di agire su di essa, arrivando ad erigere categorie interpretative nel modo a lui più comprensibile, senza attendere che esse si esplichino casualmente come fatti isolati e non relazionabili tra di loro all’interno di un sistema causale.

Teoria razionale dello Stato

È però altrettanto importante sottolineare che il problema del mito non è correlato solo ed esclusivamente al pensiero scientifico, attraverso l’individuazione dei limiti che intercorrono tra esso e quello primitivo. È altresì importante sottolineare come esso sia correlato anche e soprattutto alla teoria dello Stato.

Le prime teorie razionali dello Stato vennero sviluppate all’interno della filosofia greca. Tucidide, ad esempio, attaccò la concezione mitica della storia, eliminando da essa la parte fantastica e cercando di basarla sul pensiero razionale. Non a caso affermò:

La mia storia, mai indulgente al fiabesco, suonerà forse scabra all’orecchio: basterà che stimino feconda la mia opera quanti vogliono penetrare il reale senso delle vicende, delle già avvenute e di quelle che, somiglianti e affini per la loro qualità di fatti umani, si potranno ancora attuare in un tempo futuro. Possesso per ogni tempo: è la sostanza dell’opera mia. Non un pezzo che strappi, all’ascolto, l’applauso effimero.

Parole d’ordine caratteristiche del pensiero scientifico e razionale si possono già cominciare a sentir risuonare, in opposizione a quelle del pensiero mitico. Possibilità di penetrare il reale senso delle cose, la possibilità di prevedere il futuro, eternità di quelle che sono le conclusioni della ragione, contrapposte alle conclusioni parziali e temporalmente limitate del pensiero mitico primitivo.

Inerente in seguito alla filosofia della natura, molto filosofi greci cercano un principio che non sia assolutamente accidentale, evenemenziale, mitico, ma un principio causale sostanziale, logico. Lo sviluppo del Tutto viene sottratto alla casualità dei capricci degli agenti soprannaturali e consegnato alla causalità delle regole generali inviolabili ed inalterabili, ovverosia un concetto radicalmente diverso da quello del mondo mitico, dove gli dèi potevano infrangere le leggi e modificare la realtà.

Per quel che riguarda la società, invece, e più nello specifico l’influsso del pensiero mitico al suo interno, Socrate sviluppò il potere positivo della “conoscenza di sé”: il problema del bene e del male non può essere risolto dal pensiero mitico, ma va risolto da un punto di vista etico. Non ha senso razionalizzare il mito, cercando di trovare le leggi all’interno delle antiche leggende, ma esse vanno riscritte dagli uomini del presente sulla base dell’etica del presente. L’uomo in questo modo si slega ed assume la responsabilità diretta della propria società.

Nella Repubblica di Platone è possibile osservare come si dichiari che la politica fornisce la chiave d’accesso all’interpretazione della psicologia (ascritta al campo mitico fino a quel momento). Questo nuovo postulato fondativo di una teoria razionale dello Stato pervenne – al termine della conquista della Natura e delle norme e dei criteri che regolano la vita etica – da parte della ragione. Ovviamente questa ragione viene sempre rappresentata in grado di individuare la verità, diventando così in grado di reggere lo Stato.

Laureato in Media Digitali presso l'Università degli Studi di Roma Tre, è autore di vari scritti di natura storico-culturale per diverse riviste.