di Giuseppe Morabito

L’Italia è il Paese dell’accoglienza e tutto il mondo lo riconosce. Anche se a volte, purtroppo, c’è qualche Paese che trae vantaggio dalla nostra generosità sottraendosi alla ripartizione delle “quote” di accoglienza concordate e a lui spettanti per assistere chi fugge dalle guerre.

In realtà, nonostante la relativa diminuzione, causata anche dall’emergenza pandemica, degli arrivi in Italia, negli anni ci sono stati problemi per la insufficienza dei posti disponibili nel sistema ordinario dell’accoglienza, tanto che la maggior parte dei migranti vengono spesso ospitati nei centri di accoglienza straordinaria. In Italia esistono infatti due sistemi di accoglienza: quella ordinaria e quella straordinaria.

Inizialmente, dopo una fase di prima assistenza e identificazione, i migranti che fanno ingresso nel nostro Paese vengono condotti in Centri di prima accoglienza (Cpa). Segue una fase di seconda accoglienza, il Sai (Sistema di accoglienza e integrazione). Si tratta dell’accoglienza ordinaria, organizzata in progetti di cui sono titolari i comuni.

Dallo scorso agosto, quando i talebani si sono reinsediati a Kabul, si è tornati a parlare di profughi afghani e di come l’Italia poteva gestirne l’accoglienza. Nel nostro Paese almeno una parte dei richiedenti asilo di nazionalità afghana ha avuto accesso diretto ai centri di accoglienza ordinaria. In particolare, le Forze Armate impegnate nell’operazione “Aquila Omnia”, immediatamente successiva all’ingresso dei talebani a Kabul, hanno portato circa 5.000 rifugiati in Italia. In questo caso si è trattato di persone particolarmente compromesse in attività di collaborazione con i vari contingenti NATO e dei loro familiari, possibile bersaglio di vendette da parte dei talebani stessi.

Da inizio anno alla data del 2 marzo 2022 circa 5500 sbarchi di immigrati sono stati contati dal Ministero degli Interni. Va indicato subito che i flussi verso l’Europa attraverso il Mediterraneo hanno avuto una progressiva e continua riduzione dal 2015 (quando ci fu il picco di arrivi, in gran parte dovuto ai profughi dall’ultima guerra nella regione, quella in Siria) al 2020. Il 2021 vede numeri circa in linea con quelli del 2020 con un probabile leggero rialzo dovuto al perdurare della crisi libica nella quale alcune delle fazioni in lotta continuano a sfruttare il business dell’immigrazione clandestina per finanziarsi. L’Italia rimane la nazione di arrivo principale, seguita dalla Spagna e, con numeri notevolmente ridotti (grazie agli accordi con la Turchia), la Grecia.  Chi arriva in Italia con i barconi della speranza sono soprattutto giovani maschi sotto i 30 anni e la percentuale di donne, anziani e giovanissimi, in fuga dalle aree di guerra, è minimale.

Il dramma di queste ore emerge dai numeri dei profughi dal conflitto in Ucraina che, secondo l’ultimo aggiornamento, per altro con cifre in continua evoluzione, sembrerebbero circa 900 mila persone (soprattutto donne, bambini e anziani) in movimento verso i Paesi confinanti. Il numero continua a crescere a ritmi rapidissimi e si suppone che stiamo per confrontarci con quella che potrebbe diventare la più grande crisi di rifugiati in Europa del secolo. L’UNHCR ha stimato che oltre quattro milioni di ucraini potrebbero cercare riparo ed assistenza nei Paesi confinanti e amici.

L’Italia è più vicina all’Ucraina di quanto si percepisca. Trieste è più vicina a Leopoli che a Reggio Calabria. Oltre la metà degli ucraini che hanno già lasciato il Paese sono entrati in Polonia: in gran parte donne e bambini perché’ gli uomini in buone condizioni fisiche si congedano dai loro familiari al confine e tornano a rischiare la vita per combattere la guerra contro l’invasore russo.

In Italia, dopo la forte e totale condanna dell’aggressione, atteso che non è facile nemmeno inviare tir di medicinali, cibo, beni di prima necessità e indumenti per la popolazione ucraina, si stanno organizzando piani di accoglienza regionali e comunali che saranno gestiti dalle Prefetture. Il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio ha lasciato intendere che la definizione dei piani di aiuto e accoglienza può variare in base allo scenario e ad accordi in evoluzione, al momento non ancora definiti. “Sicuramente le Regioni italiane avranno un ruolo di rilievo, ma dovranno raccordarsi con le Prefetture e con la filiera consolidata del Ministero”. Tutto quanto precede mette in risalto quanto dovranno considerare e cambiare gli addetti all’accoglienza italiani ai vari livelli.

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Per gli afghani si trattava di accogliere, per la maggior parte, nuclei familiari completi e chiusi che hanno bisogno di alloggiamenti modulo famiglia, un lavoro per il capo famiglia (spesso ad elevato livello di istruzione) o le donne che intendano/possano lavorare perché le condizioni familiari lo consentono, vitto rispettoso delle regole islamiche, luoghi di culto islamici, scuole per i giovani (compresa la lingua italiana) e assistenza sanitaria simile a quella tradizionale italiana.

Per gli immigrati dal Nord Africa si tratta di continuare, comunque, il consolidato iter di collocamento in strutture alloggiative, per lo più per soli uomini adulti e quindi senza problematiche per la separazione dei sessi, con pochissime complicanze sanitarie se non connesse alla pandemia, senza nessuna elevata necessità di istruzione scolastica se non per la lingua italiana (per chi lo desidera) e le citate necessità connesse con il culto islamico della maggior parte di chi approda in Italia.

Chi arriverà dall’Ucraina sarà, per la maggior parte, donne, anziani e giovani/bambini provenienti da uno Stato con buon livello di vita sociale che fuggono da un conflitto e che mantengono la speranza di rientrare in un tempo prossimo nel loro amato Paese. Questo li differenzia dagli afghani che, con il Paese in mano ai talebani, hanno pochissime possibilità di un rientro pacifico, e dagli immigrati dal Nord Africa che, nella maggior parte dei casi, aspirano a trovare di che vivere raggiungendo il Nord Europa o trovando una accoglienza duratura in Italia.

Tornando all’attuale tristissima diaspora ucraina ci sarà bisogno di strutture alloggiative per nuclei familiari, con assistenza sanitaria geriatrica, ginecologica e pediatrica. Sarà più facile l’integrazione religiosa e alimentare e, come nel caso degli afghani, è necessario attivare un sistema scolastico per i giovani. In un secondo tempo si passerà, in base allo sviluppo della crisi, a prevedere un sistema di integrazione nel mondo del lavoro di chi potrà farlo senza disconnettere i nuclei familiari in arrivo. Sono certo comunque, a seguito della mia prolungata frequentazione del Paese, che tutti i rifugiati ucraini vorranno, appena ce ne saranno le condizioni, tornare a casa.

L’attenta selezione degli afghani e la provenienza degli ucraini escludono quasi completamente problematiche di infiltrazioni, tra i rifugiati, di elementi pericolosi per la sicurezza nazionale italiana ed europea. La stessa cosa non vale per l’immigrazione attraverso il Mediterraneo, ma il Ministero degli Interni e i Servizi di Intelligence stanno lavorando egregiamente nel controllo delle attitudini e provenienza di chi sbarca e le azioni di espulsione continuano senza soluzione di continuità.

La collaudata logistica dell’ accoglienza italiana e la generosità del nostro popolo ci farà, come sempre, essere orgogliosi di noi stessi. Massimo appoggio quindi alla Protezione Civile Nazionale, alle nostre Forze Armate e a tutto il sistema di accoglienza regionale e comunale. Ad esempio, a Roma ci sono circa 20.000 ucraini censiti e regolari e moltissimi tra loro saranno pronti a collaborare per assistere sia direttamente sia indirettamente i loro connazionali. Gli amici ucraini sanno che l’Italia non intende voltarsi dall’altra parte.

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Senior Fellow del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Generale di Brigata (aus.) dell'Esercito Italiano, membro del Direttorato della NATO Defence College Foundation. Per anni direttore della Middle East Faculty all'interno del NATO Defence College.