di Daniele Scalea

La complessità e i suoi nemici

Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la geopolitica riconoscerà come si tratti di materia estremamente complessa. Storia, economia, cultura, società, politica, geografia, psicologia e tanti altri ambiti concorrono a formarla e sono perciò necessari per comprenderla. Ma sono tutti ambiti a loro volta incredibilmente complessi, che anni di studio e letture permettono a malapena di trattare con confidenza; pochissimi sono coloro che li padroneggiano davvero. La complessità che pervade il reale si manifesta in tutta la sua evidenza nella geopolitica.

La complessità, tuttavia, è nemica sia della nostra epoca sia di un fenomeno che epoca non ha, poiché appartiene a ogni tempo e ogni luogo: la propaganda.

Social network: meno (conoscenza) è più (successo)

È nemica del nostro tempo, la complessità, perché viviamo nell’epoca dei social network. L’epoca in cui il dibattito pubblico è uno, unitario e totale: che si parli di medicina o di geopolitica, di economia o di società, tutti partecipano ad un unico, universale dibattito che si muove nervosamente da un trending topic all’altro. In questo dibattito unitario ed universale non c’è vera distinzione tra esperto e inesperto: tutti dialogano, che lo vogliano o meno, con tutti. E in ciò l’inesperto è favorito, perché un messaggio semplice e breve avrà sempre la meglio, in seno alla massa, su uno lungo e complesso – malgrado il primo sia spesso falso e il secondo più spesso vicino al vero.

Non si può sovrastimare l’effetto che i social network hanno avuto sul nostro dibattito pubblico e sulla psiche individuale di ciascuno di noi. Ormai non siamo più esseri umani che ogni tanto si affacciano sui social, ma siamo utenti dei social che sporadicamente agiscono anche nella realtà. Quando lo facciamo, però, agiamo  secondo i modi e i metodi appresi in Internet: messaggi brevi, concisi e tanto più assertivi quanto meno si capisce dell’argomento in oggetto. Meno (conoscenza) è più (successo).

Propaganda: semplice ma sbagliata

La riduzione del dibattito pubblico a slogan è l’ambiente ideale per la propaganda. In esso i propagandisti nuotano come pesci nell’acqua. “La Russia si sta difendendo dal tentativo dei nazisti ucraini, in combutta con la NATO, di attaccarla proditoriamente con armi nucleari e batteriologiche”: il messaggio breve e d’impatto con cui la propaganda russa descrive la guerra in corso. “Putin è un dittatore pazzo che ha invaso senza motivo l’Ucraina”, o se un motivo lo aveva “è per paura che la democrazia ucraina contagi pure la Russia”. Questo invece è quanto ci viene raccontato qui.

Affermare che quest’ultima “spiegazione” della guerra russo-ucraina sia semplicistica e sbagliata non significa sostenere che sia vera quella della propaganda russa. Significa solo che è falsa anche quella della propaganda nostrana. Motivi per invadere l’Ucraina Putin li aveva: affermare ciò non corrisponde né a dire che tali motivi siano moralmente o strategicamente giusti, né tanto meno a condividerli. Tra tali motivi, però, non c’è certo quello del “contagio democratico”, anche perché l’Ucraina – con tutto il dovuto rispetto – assomiglia molto più al sistema politico russo che a quello occidentale pre-pandemico. L’Ucraina come la Russia ha una società corrotta dominata dagli oligarchi. La differenza è che in Russia esiste oggi un potere governativo che ha subordinato gli oligarchi, mentre in Ucraina essi si mantengono al di sopra dello Stato, con l’involontario effetto di fornire almeno una parvenza di pluralismo e alternanza democratica.

Conoscenza vs. pensiero unico

Conoscere e comprendere le motivazioni russe non significa, dunque, farle proprie. Sicuramente apre a una migliore consapevolezza del conflitto e dunque dei modi in cui si può risolverlo diplomaticamente. Ma, addirittura, tale conoscenza è utile anche per chi auspica una linea intransigente anti-russa e anti-Putin: non è forse il primo precetto del combattente quello di conoscere il nemico?

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Purtroppo la complessità è stata bandita dal “dibattito” in corso in Italia. Quando il professor Alessandro Orsini ha cercato di invitare a improntare il ragionamento alla complessità, è stato accolto non solo da reazioni isteriche nei suoi interlocutori, ma pure da una nota di censura della sua università. La quale, incredibilmente, affermava che i professori universitari dovrebbero limitarsi a esporre “fatti ed evidenza storica” astenendosi da “pareri di carattere personale”. In sostanza dovrebbero recitare a memoria la relativa pagina di “Wikipedia”, in attesa che si instauri un Ministero della Verità che possa fornire l’interpretazione autentica del partito unico?

In maniera tragicamente prevedibile, le voci “ufficialiste” hanno subito fatto ricorso alla trita e ritrita teoria del complotto russo, per cui chiunque di discosti dalla narrazione ufficiale è inevitabilmente un “filo Putin” o un “troll russo”. Parli di complessità? Sei complice di Putin, ci spiega Filippo Rossi (intellettuale di destra significativamente calcolato solo a sinistra). O più in generale sei complice di qualsiasi criminale, sembra affermare un giornalista che sulla banalità ha costruito una carriera di successo, ossia Massimo Gramellini.

Approfondire è sovversivo

Ve lo ricordate quando, pochi mesi fa, “filosofo” era divenuto un insulto perché due autorevoli filosofi, Cacciari e Agamben, avevano osato contestare la misura orwelliana e illiberale del Green Pass? Oggi è la parola “complessità” ad essere divenuta oggetto di ironie e contumelie. Solo stolti e traditori vogliono approfondire e comprendere la situazione: le persone rette e i buoni cittadini, invece, sono pronti a “credere, obbedire e combattere”, consci che “l’ignoranza è forza”.

Tutto ciò getta anche una luce rivelatrice su tutto il culto de “La Scienza”, la mistica della tecnocrazia e degli “esperti”. Esperti, tecnici e uomini di scienza divengono rapidamente nemici da eliminare, se provano a smentire o anche solo problematizzare il pensiero unico. Divengono esponenti di quella “cultura” cui i propagandisti pseudo-scientisti, emuli di Baldur Von Schirach, reagiscono sfoderando le pistole. Perché in realtà la scienza è solo strumento dell’ideologia e l’esperto è riverito solo nella misura in cui avvalora, da propagandista, la “verità” ideologica.

Tutto il resto, è roba da quinta colonna del nemico.

Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.