di Marco Malaguti

“Il prezzo della libertà non ha prezzo”

Il primo Marzo scorso, a sei giorni dallo scoppio della guerra tra Ucraina e Federazione Russa, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si produceva, di fronte alle telecamere riunitesi a Bruxelles per ascoltarla, in uno pseudo-sillogismo rivelatore:

Sì, proteggere la nostra libertà ha un prezzo. Ma questo è un momento decisivo. [Le sanzioni] sono un costo che siamo disposti a pagare. Perché la libertà non ha prezzo.

Si tratta di una capriola retorica notevole. La libertà ha un prezzo, come la presidente rimarca ad inizio della frase, oppure non ne ha, come invece viene affermato alla fine?

Chiaramente, quando si afferma che la libertà ha “un prezzo” si intende qui un prezzo economico, in particolare quello che implica la sua difesa, mentre dove si rimarca che “non ha prezzo” ci si riferisce chiaramente al piano dei valori non negoziabili. Eppure, siamo di nuovo di fronte a una sorta di involontaria e rivelatrice antifrasi, perché qui quel “non ha prezzo” in realtà significa che per il bene in questione siamo pronti a pagare qualsiasi costo, quindi, evidentemente, la libertà un prezzo ce l’ha eccome.

Valori morali ed economia

Torna alla mente un proverbio, diffusosi nella galassia di internet a proposito della gratuità di molti servizi: “Quando una servizio è gratis significa che la merce in vendita sei tu”. Lo slogan della Von der Leyen sembra, lungi dall’essere un ossimoro privo di senso, andare in quella direzione. A ben vedere è l’uomo che, in economia come in tutto, decide a quale prezzo un bene possa essere acquisito o acquistato. Se un oggetto, per il soggetto giudicante, non ha prezzo, ciò significa che esso semplicemente è già nelle sue mani. Al contrario, il “non ha prezzo” di Von der Leyen significa più semplicemente che il prezzo del bene in questione, la libertà, al momento non è noto e che proprio in virtù di ciò occorre essere pronti a pagare qualsiasi prezzo.

L’utilizzo di categorie prese a prestito dall’ambito economico, quale ad esempio quella del prezzo, per riferirsi a qualcosa che afferisce al piano dei valori, non deve farci pensare ad un artificio retorico. La stessa parola valore è un prestito dal lessico dell’economia.

Il valore come desiderabile

Il sociologo Hans Joas ha definito i valori come “nozioni emotivamente cariche di ciò che è desiderabile […] idee soggettivamente evidenti ed emotivamente accattivanti”. Per Joas, ma non solo, una delle caratteristiche fondamentali di un valore è che esso non incarna solo qualcosa di desiderato, quanto piuttosto di desiderabile. Si tratta di una distinzione di non poco conto, poiché implica necessariamente la discriminazione tra preferenza personale, ovvero ciò che desideriamo perché ci appaga soggettivamente, e ciò che è desiderabile, ossia ciò che tutti i membri di una comunità desiderano in quanto tale aspirazione è coessenziale alla loro stessa identità.

Il cerchio comincia a chiudersi: se la libertà non ha prezzo, come affermato implicitamente da Von der Leyen, significa che la possediamo già interiormente, perlomeno a livello di desiderabilità, e ciò significa che è un valore.

Ora, il problema essenzialmente politico che emerge è che porre la libertà, o perlomeno la libertà così come intesa da Ursula von der Leyen, al rango di valore, designa quest’ultima come qualcosa di desiderabile da tutti gli europei, qualcosa per il quale tutti gli europei sono e saranno disponibili a pagare il prezzo più alto.

Nichilismo e irruzione dei valori

Emerge qui la condizione, già evidenziata da Nietzsche, nella quale gli antichi valori sono caduti, ma sono rimaste intatte le posizioni da essi un tempo ricoperte, pronte per essere occupate da nuovi valori. Prezzo e valore infatti sono sinonimi, e ciò non soltanto nel gergo economico: ciò che l’uomo contemporaneo dimentica, dimenticando al contempo sia la lezione di Nietzsche sia quella di Weber, è che non solo il prezzo monetario è arbitrariamente deciso da un soggetto venditore, ma anche i valori, tutt’altro che coessenziali a chicchessia, sono posti in essere (Setzungen) da parte di soggetti. In una simile epoca di tensioni tra civiltà, una riflessione su chi abbia dato a tali soggetti politici il diritto di porre valori a nome di tutti dovrebbe essere perlomeno calendarizzata.

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Che il concetto di valore si facesse carsicamente strada nell’ambito politico fino ad incistarvisi era una problematica già nota a Carl Schmitt, il quale nel 1979 aveva messo in guardia da tale processo. Per Schmitt l’irruzione dei valori nell’ambito politico rappresentava uno dei più squisiti sintomi della crisi nichilistica dell’Ottocento, dalla quale l’Occidente sarebbe ancora ben lungi dall’emanciparsi. Dietro all’ansia europea di riempirsi la bocca di amorevole libertà ed eguaglianza, rimane sottesa la nostalgia inconfessabile verso il vecchio Dio caduto, dei quali i valori moderni di tolleranza politicamente corretta farebbero le veci. Dal Dio morto per parricidio, il funerale del quale era già stato celebrato da Nietzsche, i valori ereditano, oltre alla logica aggressiva dei vecchi monoteismi, supposti detentori della Verità ultima e custodi della verità su ciò che renderebbe realmente felice l’uomo, anche le medesime posizioni di vertice e di normazione tanto etica quanto morale.

Le nuove crociate

È in questa fase che i valori si pongono di fronte all’Europa flagellata dal nichilismo come nient’altro che un surrogato positivistico dell’antica metafisica. Se ciò dovesse avvenire, come avviene, in concomitanza con un evento bellico la cosa si farebbe altamente pericolosa. Se il valore ha occupato la posizione suprema riservata al vecchio Dio, risulta chiaro che tutto ciò che ad esso si oppone sarà spogliato di ogni legittimità: la posizione altra viene qui retrocessa a mera irrazionalità (nel caso di valori dai connotati scientifico-positivistici, come ad esempio la libertà di scelta sul proprio corpo durante la pandemia) oppure a mera malignità (nel caso di valori dai connotati para-religiosi e messianici, come l’oltranzismo liberal del politicamente corretto).

Se il valore è di per sé coessenziale a una comunità o ad uno schieramento, ne consegue che ciò che gli si oppone assume i connotati di un disvalore da combattere a prescindere, in quanto minaccia mortale per l’esistenza stessa della comunità che non vi si riconosce. In questo senso, l’amoralità (da distinguere dalla ben diversa immoralità) del nichilismo rappresenta un porto ben più sicuro, il quale, pur non togliendo nulla all’uomo del suo moderno spaesamento esistenziale, lo mette però al riparo da nuove crociate umanitarie che, in epoca nucleare, si configurano come decisamente pericolose.

Tornano alla mente le parole di Nietzsche ne La volontà di potenza:

Ciò che narro è la storia dei prossimi due secoli.

Viene da augurarsi che avesse ragione, poiché se gli antichi valori sono crollati, il loro seggio è sempre più insidiato da Proci assai meno prudenti del defunto Dio.

Marco Malaguti

Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.