di Fabio Bozzo

Ci sono due personaggi, uno storico ed uno vivente, che a prima vista non condividono praticamente nulla. Sto parlando di Benito Mussolini e di Vladimir Putin. Inutile elencare le differenze trai i due, poiché esse sono così evidenti da non necessitare di alcuna descrizione. Vi sono, tuttavia, anche delle similitudini che, col passare delle settimane, appaiono sempre più interessanti e, da un certo punto vista, inquietanti.

Partiamo dalla premessa che si tratta di due uomini straordinari, uno dei quali ha fatto la storia e l’altro la sta ancora facendo. Questa considerazione, banale ma necessaria, esula da qualunque simpatia o antipatia che si possa avere verso gli statisti in oggetto. Cerchiamo ora, ripercorrendo storia ed attualità, di capire quali siano le similitudini tra i due.

Due capi emersi dal caos

Entrambi ebbero una gioventù dura, in quanto Mussolini si fece le ossa in un partito socialista che ai tempi era ai limiti dall’essere rivoluzionario bolscevico, mentre Putin è stato formato dalla severa gavetta nel KGB. Due persone serie, che dopo gli anni di formazione vissero in prima persona due immani tragedie che sconvolsero i loro Paesi ed il mondo intero: Mussolini la Prima Guerra Mondiale, Putin il crollo del blocco comunista e la fine della Guerra Fredda. Da questi eventi sia la Russia sia l’Italia emersero economicamente a pezzi e politicamente instabili.

Certo per il nostro Paese il conflitto si concluse con una vittoria ed un’espansione territoriale, ma il prezzo umano e finanziario non giustificò la scommessa del 1915. Pertanto iniziò la retorica della “vittoria mutilata”, mentre il dissesto sociale convinse i comunisti a tentare la rivoluzione che poi la storiografia nazionale (con uno dei classici esempi di furbesca italica ipocrisia) ha derubricato come “Biennio Rosso”. Da questo caos emerse l’uomo forte, Mussolini. Il futuro Duce creò un partito dall’ideologia confusamente a cavallo tra l’estrema destra e l’estrema sinistra, per poi presentarsi come il difensore dell’ordine costituito reso più originale da una retorica rivoluzionaria. Una strategia al contempo geniale, rischiosissima e spregiudicata che lo portò al potere pur con una forza elettorale di secondo piano.

Putin invece nel Natale del 1991 vide il suo mondo scomparire nella vergogna e nell’umiliazione geopolitica. La fragile democrazia russa creata da El’cin durò dieci anni, ma alla fine la disastrosa economia (frutto di 70 anni di comunismo che non si cancellano in un baleno) creò un tale senso frustrazione ed una tale povertà diffusa che, anche in Russia, si cominciò a desiderare l’uomo forte. Come in Italia il futuro dittatore non venne portato al potere dal popolo. Nel nostro Paese Mussolini fu nominato Presidente del Consiglio da una manovra di corridoio dei partiti e della monarchia, mentre in Russia furono gli oligarchi a convincere un refrattario El’cin a nominare Putin suo successore. Entrambi i nostri protagonisti furono abili a farsi sottovalutare e, in pochi anni, trasformarono la loro leadership costituzionale in una dittatura de facto incentrata sulla loro persona.

Nemmeno l’ideologia del potere risulta eccessivamente diversa, poiché quella mussoliniana aveva sì una forte caratura ideologica, ma il fascismo era un’ideologia divisa in varie correnti spesso contraddittorie; quindi alla fine tutto ruotava intorno alla figura del Duce. Putin, vivendo in un’epoca post ideologica, non ha avuto nemmeno bisogno di ideare un suo credo politico, poiché gli è bastato puntare sul secolare nazionalismo russo.

Successi e logorio

Una volta al potere sia Mussolini sia Putin hanno dovuto gestire e ricostruire due Paesi esausti. Entrambi, sia detto con onestà, hanno avuto un relativo successo nell’impresa. Tuttavia questo successo nascondeva sotto la vernice nuova enormi problemi strutturali, nascosti con qualche oggettivo traguardo e tanta propaganda. Quest’ultima si basava essenzialmente sul riscatto nazionale dovuto ai due leader, al vanto di una presunta potenza militare e su un acceso nazionalismo. A livello internazionale entrambi i personaggi hanno iniziato all’insegna della prudenza e con una relativa vicinanza alle democrazie occidentali, un po’ perché costretti dalla disparità delle forze ed un po’ per l’assenza di particolari contrasti internazionali.

Questa situazione è andata avanti sia per Mussolini sia per Putin per circa quindici anni, duranti i quali entrambi hanno subito tre identici problemi.
Il primo è stato l’invecchiamento fisico. Il potere è logorante per chiunque, ed il potere assoluto impone orari estenuanti (specie per due maschi alfa che non si sono particolarmente risparmiati nemmeno nei piaceri della vita).
Il secondo problema è stato il logorio del potere. Il regime fascista nel 1935 e quello putiniano nel 2014 avevano essenzialmente vinto su tutta la linea. Proprio questa vittoria li aveva privati della loro spinta propulsiva iniziale: ormai non avevano più niente da dire o da offrire oltre a quello che avevano già detto ed offerto. Mancando l’innovazione politica e con l’economia reale meno florida di quanto si volesse far credere, inevitabilmente, per entrambi i regimi sono iniziate le prime crepe nel consenso (consenso che, sia detto fuor di metafora, era maggioritario in entrambe le popolazioni).
Si può dire che questi due mali siano stati inevitabili per entrambi i personaggi, in quanto il tempo marcia inesorabile per tutti noi.

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La scena rubata

Il terzo problema invece li ha colpiti come una nemesi storica in modo incredibilmente simile. Tale difficoltà è arrivata dalla geopolitica. Sia Mussolini sia Putin, pur con alti e bassi, nella prima parte delle rispettive dittature si relazionarono in modo tutto sommato positivo con l’Occidente, anche perché forti del loro status (vero o presunto) di “potenze restaurate” e di “dittature buone”. Finché per entrambi non è emersa una nuova potenza, ben più forte e più spregiudicata delle loro. Parliamo ovviamente della Germania nazista sul collo di Mussolini e della Cina imperial-comunista su quello di Putin. Queste due potenze in breve tempo hanno rubato la scena ai due leader in oggetto, concentrando le speranze e le paure internazionali su di loro. In breve i due non più giovani dittatori stavano diventando dei rispettati comprimari.

Arriviamo quindi alle ultime e più inquietanti similitudini tra i due personaggi, che a simili problemi hanno dato altrettanto simili risposte. Entrambi hanno cercato di mantenersi equidistanti dall’Occidente e dalla dittatura più forte di loro, tentando anzi di divenire l’ago della bilancia geopolitico. Invece entrambi si sono trovati essenzialmente isolati, per quanto la forza relativa di Italia e Russia non ne mettesse in discussione l’indipendenza. Con l’economia non propriamente florida, l’età non più giovane, la società civile che iniziava a porsi troppe domande ed una congiuntura geopolitica negativa i due statisti hanno iniziato a scalciare. Uno ha scatenato la Guerra d’Etiopia, l’altro l’occupazione della Crimea. I due scenari hanno genesi e caratteristiche incomparabili e non confrontabili, ma i loro risultati sono stati identici: un’iniziale ubriacatura nazionalista, sanzioni economiche che hanno rivelato molti bluff dei due regimi, allontanamento di Italia e Russia dalle democrazie occidentali e loro caduta nel mortale abbraccio dei novelli “leader di maggioranza”, Hitler per Mussolini e Xi Jinping per Putin.

Il punto di non ritorno

A questo punto i nostri due protagonisti hanno superato il punto di non ritorno. Difficile dire se lo abbiano capito, ma ormai il dado era tratto. In pochi anni dopo le suddette “linee rosse” i due statisti sono divenuti sempre più dipendenti dai rispettivi falsi amici, mentre le due economie mostravano sempre più crepe. Anche stavolta la risposta è stata la medesima: una nuova e più rischiosa guerra. Se nel doppio scenario Etiopia-Crimea Mussolini ebbe molte meno giustificazioni di Putin all’avventura, in quello Seconda Guerra Mondiale-Invasione dell’Ucraina la situazione è rovesciata. Ma le motivazioni non cambiano il risultato: due guerre che dovevano essere facili e veloci si sono trasformate in quella che abbiamo studiato ed in quella che stiamo vedendo oggigiorno.

Le dittature, mancando della valvola di sicurezza elettorale, sono costrette alla prestazionalità positiva. Se questa viene a mancare il malcontento cresce, così come la repressione che crea nuovo malcontento. Quasi sempre il risultato è il rovesciamento del regime. La sfida di Putin all’Occidente ricorda da vicino l’ingresso di Mussolini nella Seconda Guerra Mondiale e, nel particolare dei due contesti, l’invasione dell’Ucraina si sta dimostrando per il russo ciò che fu la campagna di Grecia per l’italiano.

Putin sulla strada di Dongo?

Le sconfitte del Duce portarono al golpe (de facto seppur non de iure) che lo depose. Le difficoltà nate con l’impantanamento in Ucraina stanno rendendo plausibile un evento simile a Mosca.
Un nuovo von Stauffenberg si sta preparando a colpire?  O vedremo un Putin fucilato al confine con la Mongolia?

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Laureato in Storia con indirizzo moderno e contemporaneo presso l'Università di Genova. Saggista, è autore di Ucraina in fiamme. Le radici di una crisi annunciata (2016), Dal Regno Unito alla Brexit (2017), Scosse d'assestamento. "Piccoli" conflitti dopo la Grande Guerra (2020) e Da Pontida a Roma. Storia della Lega (2020, con prefazione di Matteo Salvini).