di Silvio Pittori

I due anni trascorsi dall’inizio della pandemia hanno contribuito a porre in evidenza con maggior forza quanto sta accadendo intorno a noi, nel silenzio generale, da almeno un decennio. Potremmo definirla la dissimulazione onesta del radicalismo presente nella nostra società, mediante il ricorso alla simulazione di una utopistica ricerca del benessere collettivo. Detta ricerca passa attraverso una rieducazione del pensiero che trova la propria apoteosi nel pensiero unico calato dall’alto, con l’appoggio di giornalisti dal ciuffo bianco, appartenenti a  certi ambienti culturali d’élite, ambienti interdetti a chi non goda di una genealogia radical chic. Chi dissente o, meglio, chi ha il coraggio di dissentire, vive una imposta stagione di sudditanza psicologica, deriso, emarginato, tacciato di eresia.

Ciò è accaduto durante la pandemia, anche tra gli amici; ciò sta accadendo con la attuale guerra in Ucraina: una lettura ortodossa dei fatti, scevra da qualsiasi analisi approfondita, diretta a formare un pensiero unico gradito all’autocrate di turno, spesso etero-nominato rispetto alla elezione diretta dei rappresentanti del popolo, portatore di una apparente responsabilità in forma paternalistica in funzione della amorevole protezione dei rappresentati sudditi. Al cospetto del tentativo costante di sottrazione di potestà genitoriale in ambito familiare, si assiste ad una nuova figura di stampo paternalistico che decide quale debba essere la rotta da seguire, nel silenzio generale e nella proclamata eresia dei pericolosi dissenzienti.

Condotta tipica dell’utopista che, nell’affermare l’utopia di turno, cade inevitabilmente nel radicalismo che si traduce nella negazione di qualsiasi dialettica. Da ciò la caccia al pensiero difforme da quello imposto dalla dottrina utopista di turno che, saltando di volta in volta da una emergenza ad una nuova emergenza (clima, pandemia, guerra), portate sempre alle estreme conseguenze, non può accettare voci dissonanti, voci che si tramuterebbero in corruzione ideale.

In funzione di detta costrizione della normale dialettica cui ci avevano abituato la nostra civiltà, la cultura occidentale e la stessa Politica, si rende ora necessaria, come detto, la perpetuazione di eventi emergenziali che giustifichino gli interventi dell’autocrate, l’esautorazione degli organi elettivi, chiamati soltanto ad assecondare il volere dell’uomo invocato dal circolo elitario dei radical chic, quale panacea di tutti i mali, imponendo alla collettività l’accettazione di una tutela calata dall’alto, in nome di un benessere collettivo da raggiungere e di una salute sul cui altare rinunciare  anche alla libertà.

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Tale atteggiamento paternalistico, di un padre però padrone, spinge ad una rinuncia dei diritti acquisiti in secoli di storia, dei diritti costituzionalmente garantiti. Rinuncia cui ha dato icastica evidenza la pandemia, diritti pacificamente negati e sulla cui illegittima negazione, seppure in forte ritardo, la stessa Magistratura sta iniziando a fare chiarezza. Come quindi non comprendere la sempre più avvertita diffidenza di quei cittadini, che non appartenendo per legami genealogici o per una sorta di cursus honorum interno ai salotti della sinistra, al mondo elitario del politicamente corretto (intenzionato quest’ultimo a recidere ogni legame con il passato, origine e fondamento della nostra civiltà), si rivolgono a quel conservatorismo tipico dei cosiddetti partiti “di destra”. Conservatorismo che, come in precedenza evidenziato, altro non è che contrarietà ad un utopismo di maniera disancorato da quella realtà, quale vita di tutti i giorni, in cui i cittadini sono costretti a vivere, e legame profondo con quel pessimismo moderato che vede nella mera illusione un approdo pericoloso anche per coloro che verranno, figli e nipoti.

Di fronte a quanto sta accadendo possiamo soltanto impegnarci per creare i presupposti per un ritorno alla dialettica di un tempo, capace di formare un pensiero libero, combattendo un linguaggio ed un pensiero eteroimposti, di natura fintamente paternalistica, funzionali all’autocrate di turno, che impediscono la riflessione banalizzando la comunicazione. L’unica salvezza contro espressioni del tipo: “Vogliamo il condizionatore o la pace?”.

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Avvocato cassazionista con sede a Firenze, esperto in diritto civile societario e in diritto penale di impresa e contrattualistica. Laureato in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Firenze.