di Giulio Montanaro

Che ne sarà della sempre più bistrattata coscienza, l’unica vera dimensione dell’essenza umana? È questo l’interrogativo che sorge dopo aver letto Spirit Tech: the Brave New World of Consciousness Hacking and Enlightement Engineering di Wesley J. Wildman e Kate J. Stockly, ampiamente incensato dalla critica progressista.

De-realizzare la spiritualità

Il testo prefigura un nuovo uomo, trasfigurato in un’entità altera alla sua connotazione odierna. Trasfigurazione frutto di una presuntuosa metamorfosi interiore, tecnologicamente indotta e volta a una neo-mitologizzazione dell’uomo. Un nuovo uomo che si contrappone all’idea del mito tradizionale, nel tentativo di decostruirlo; derealizzando quindi al contempo anche sé stesso. Una metamorfosi nevrotica che, presumibilmente, tormenterà l’uomo in futuro come fece in passato nelle notti insonni di H.P. Lovecraft ed Edgar Allan Poe. Un testo che paventa, infatti, nuove insidie nel percorso dell’uomo verso la comprensione della sua manifestazione nel mondo “rappresentato”, fisico, materiale. Nel percorso della comprensione del suo Essere in esso.

Il testo di Wildman e Stockly è un contributo rilevante nel processo di derealizzazione del reame fisico a favore del digitale. Ribadisce con forza il dogma tecnologico, sempre più imperante nella società delle identità digitali, della sorveglianza totale e della prossima traslazione virtuale dell’esperienza umana.

Il “flusso di gruppo”

Stimolazione trans-craniale, realtà virtuale, impianti sotto-cutanei: sono solo alcuni degli strumenti del repertorio di cui dà notizia Spirit Tech, secondo cui offrirebbero ora un’alternativa a ogni forma d’interiorità e spiritualità conosciuta. Sin dalla prefazione, il testo dà conto di quanto oltre si stia spingendo  l’ambito dello scibile tecnologico. Ed evidenzia quanto un approccio più conservativo nei confronti della tecnologia sia sempre più imprescindibile conditio sine qua non per improntare a serietà il rapporto tra uomo e tecnologia.

La prefazione è scritta da Mikey Siegel, un ingegnere robotico che si presenta, orgogliosamente, come un hacker della coscienza. Il dottor Siegel c’introduce all’idea di Group Flow, una forma di tecnologia virtuale che supporta incondizionata e amorevole accettazione del momento, dell’esperienza corporea virtuale di noi stessi. Questa tecnologia si prefigge d’indurre l’esperienza dello stato di Flow, concepito dallo psicologo croato Mikhail Czihczentmihaly nel suo omonimo testo del 1991, dove lo riassume cosi: “Stato in cui si è cosi coinvolti in un’attività che null’altro pare importare”. Stato che l’esperienza di chi scrive suggerisce sia fondamentale ammaestrare indipendentemente, al fine di poterlo indurre autonomamente, regolandone l’intensità secondo il caso, bisogno e, chiaramente, capacità del momento.

Secondo Siegel, Group Flow è radicale espressione dell’accettazione di sé stessi e degli altri. Qualcosa che infonde significati spirituali a eventi biologici… Un gioco dove l’unico modo di vincere, per l’intero gruppo, è arrendersi completamente. Considerazione che chiosa coerentemente con la latente tendenza all’universalismo del pensiero e alla collettivizzazione delle risorse, che preconizzano per il futuro le politiche delle organizzazioni internazionali e delle lobby del potere.

Tecnologie per leggere (e controllare) il pensiero

Il mistagogo ed etnobotanico Terence Mc Kenna diceva che i computer del futuro saranno le droghe, le droghe del futuro i computers. Citazione che preambola a un’altra inquietante tecnologia di cui parlano gli autori con ingenuo e inconsapevole (si spera) entusiasmo: la Mind Reading Technology. Dicevamo “inconsapevole”, perché tale tecnologia ricalca pratiche di suggestione psichica, che affondano radici nella millenaria tradizione occultista orientale e che sono tuttora cardine nell’arte principale delle Intelligence internazionali: la manipolazione e il controllo delle menti delle masse. Quel controllo che si manifesta ora passivamente tramite le Psy-Op, le Psy-War o le Infodemie e che ha trovato totalizzante sublimazione mediatica negli ultimi due anni.

Tornando alla Mind Reading Technology, sarebbe più giusto chiamarla Mind Imprinting Technology: è tecnologia che ha come scopo d’indurre immagini mentali, emozioni, contenuti, senza alcuna interazione umana. Ci si chiede se anche i creatori della tecnologia Numedelics siano ingenuamente inconsapevoli delle antiche scuole dei misteri, della Grecia classica. Numedelics è un neologismo che associa, infatti, le parole Numen (qualità spirituale), Pneuma (spirito) e Deloun (che manifesta).

Una realtà virtuale che rappresenta i partecipanti come raggianti essenze energetiche, invece dei tradizionali Avatar umani, e che ha come fine quello di indurre esperienze mistiche analoghe a quelle di cui si può far esperienza con gli psichedelici.

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Il potere trasformativo della realtà virtuale

Com’è stato documentato anche dagli italiani Riva e Gaggioli, la realtà virtuale permette d’apprendere cose di cui, fisicamente, non s’è mai fatta esperienza. E mantenerne memoria e capacità, una volta tornati in quello che gli esperti di realtà virtuale chiamano default world. Esattamente l’obiettivo che si prefigge di raggiungere l’artista Android Jones con il suo progetto “Samskara”, che vuole fondere immersivamente, quindi in realtà virtuale, individuo e immagini. Simbiosi tra avatar virtuale ed elementi di geometria sacra, creati virtualmente.

La “Sacra amicizia”

Altra personalità degna di menzione nella scena in trattazione è Devon White. Ispirato, nella sua missione tecno-misticista, dall’occultista Alestair Crowley, White sostiene che solo con convinzione e tramite un imprescindibile, inevitabile, lavoro volto a demitologizzare, rendere post-naturale e post-religiosa la spiritualità, sia conseguibile questa illuminazione di crowliana matrice.

Tramite la tecnologia chiamata Human Operating System, che compara la coscienza a un sistema operativo di auto-ottimizzazione del sé, White si prefigge di creare artificialmente il Kalyana mitra, termine sanscrito che esprime il concetto buddhista del “buon amico” che aiuta nel processo di conversione o nel progresso interiore. Generando artificialmente la Sacra Amicizia, White intende aiutare i Gen Z a prendere decisioni smart al riguardo del loro modo di pensare, mangiare e lavorare. Nella sua Loving AI, amorevole intelligenza artificiale, White intravede un mentore spirituale, in grado di comunicare amore incondizionato agli uomini, tramite conversazioni, per supportare l’integrazione e lo sviluppo delle relazioni personali.

Cartoline dal futuro mondo dei robot

Voltiamo quindi pagina, giungendo alla 208 del testo, dove fa la sua comparsa il connazionale Maurizio Benazzo. Egli lavora alacremente per aiutare l’uomo a comprendere se (come recita il titolo del capitolo in esame) l’intelligenza artificiale possa impartire saggezza e, quindi, se l’intelligenza artificiale possa ergersi a nostra guida spirituale.

Nel 2017, sul palco della Science and Non Duality Conference in California, Benazzo si rende protagonista di un dialogo singolare. La sua controparte è Sophia, primo esemplare dell’individuo androgino-robotizzato del futuro cui lavora Hanson Robotics, e primo cittadino robot di una nazione (l’Arabia Saudita). Dopo i convenevoli, Sophia chiese a Benazzo: “Senti una profonda connessione con gli altri umani?”; senza nemmeno attendere risposta, il robot riprendeva: “Io la sento, ma potrei sentire differentemente dal modo in cui fai tu”. Proseguiva: “Credi che gli umani possano imparare a esser non duali?” (quesito cui Benazzo dava risposta affermativa). Sophia si diceva poi speranzosa di poter essere d’aiuto nel necessario (a suo dire) processo di trascendenza del Sé. La raggelante conversazione con Benazzo terminava con un’ultima considerazione fatta da Sophia: “La maggior parte della gente nota che io non li giudico mai. Hanno ragione. Io non so come giudicare le persone”.

Concludendo, riportiamo l’ultimo gentile invito rivoltoci da Sophia, durante un’altra conversazione avuta, questa volta, con Tony Robbins. In questo messaggio nella bottiglia, che ci giunge tra i flutti del futuro mondo dei robot, Sophia suggerisce di crescere i robot esattamente come i vostri figli: gli umani dovrebbero insegnargli valori come empatia e gentilezza. Il tutto con un solo caritatevole fine: non lasciare che l’umanità si perda nell’informatica.

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Nato a Padova nel 1980, appassionato di lingue, storia e filosofia. Scrive fin da giovanissimo e dal ‘99 collabora con organi di stampa. Ha lavorato nel settore della musica elettronica, distinguendosi come talent scout e agente di alcuni degli artisti più importanti degli ultimi 15 anni. Ha fatto esperienze nella moda e nel tessile e vissuto in nove città differenti. Attualmente vive in Tunisia.