di Stefano Graziosi

La questione migratoria torna a perseguitare l’amministrazione Biden. Secondo quanto riferito dalla Customs and Border Protection, lo scorso marzo sono stati intercettati 221.303 clandestini alla frontiera meridionale degli Stati Uniti: si tratta del 28% in più rispetto a marzo dell’anno scorso e di un numero superiore a quello di luglio 2021, quando – con 213.953 migranti irregolari – era stata raggiunta la quota di arrivi più alta nell’arco di vent’anni. Numeri come quelli del mese scorso non si registravano invece addirittura dal marzo 2000.

Insomma, il nodo migratorio continua a rivelarsi una spina nel fianco dell’attuale presidente americano. Un presidente che si trova al momento in una posizione notevolmente scomoda, soprattutto dopo che, a inizio aprile, ha annunciato l’imminente revoca del Titolo 42: un provvedimento, messo in campo da Donald Trump nel marzo 2020, che consente di accelerare i rimpatri a causa della pandemia. Un provvedimento che, da quando è entrato in vigore, ha consentito quasi due milioni di espulsioni. I repubblicani sono sul piede di guerra, sostenendo che un tale annuncio è destinato a incrementare ulteriormente gli arrivi.

Il problema per il presidente risiede nel fatto che non è soltanto l’Elefantino ad opporsi alla revoca. Un sondaggio di Morning Consult ha rilevato che il 56% degli americani la pensa come i repubblicani su questo tema, mentre malumori sempre più evidenti stanno emergendo all’interno dello stesso Partito Democratico. Ben cinque senatori dell’Asinello (Kyrsten Sinema, Mark Kelly, Maggie Hassan, Jon Tester e Joe Manchin) hanno già fatto sapere che sosterranno un emendamento dei repubblicani, volto a bloccare provvisoriamente la revoca del Titolo 42. Non è del resto escluso che, davanti a simili pressioni, la Casa Bianca possa decidere di fare retromarcia nei prossimi giorni. Il punto è che, se ciò dovesse accadere, Biden si ritroverebbe impallinato dall’ala sinistra del suo stesso partito, che gli rimprovera da tempo una discontinuità troppo scarsa rispetto alle politiche migratorie del predecessore.

Va notato che questa situazione, politicamente senza via d’uscita, è stato Biden in un certo senso a crearsela. Ai tempi della campagna elettorale del 2020 cavalcò il tema migratorio strumentalmente, attaccando Trump molto spesso per partito preso e alimentando le speranze di una linea aperturista. Poi, quando si è insediato alla Casa Bianca, sono iniziati i problemi. I flussi migratori verso la frontiera degli Stati Uniti sono aumentati proprio a causa delle speranze che Biden aveva suscitato in campagna elettorale. La crisi non ha tardato a manifestarsi, tanto che il presidente – già a marzo 2021 – esortò in televisione i migranti a non recarsi negli USA. Una posizione ribadita a giugno da Kamala Harris in Guatemala: una Kamala Harris che, proprio per questo, fu duramente criticata dall’ala sinistra del Partito Democratico.

LEGGI ANCHE
Elezioni Usa e aborto --- Daniele Scalea a "Pro Vita e Famiglia"

In tutto questo, il nodo è anche politico. Innanzitutto, la crisi migratoria rischia di avere impatti negativi sulla performance dell’Asinello in vista delle elezioni di metà mandato del prossimo novembre. Ricordiamo, per inciso, che il tema migratorio fu al centro della campagna elettorale per le Midterm del 2018. Un secondo problema si scorge per la stessa Kamala Harris che, a marzo 2021, era stata incaricata da Biden di gestire i flussi diretti verso la frontiera meridionale, lavorando a livello politico-diplomatico con i Paesi del Centro America. Un impegno che la diretta interessata non è stata evidentemente in grado di mantenere. Per la Casa Bianca il dossier immigrazione rischia insomma di deflagrare in una situazione già di per sé abbastanza caotica (tra crisi ucraina e inflazione alle stelle). E, con i veti incrociati che si registrano all’interno dell’Asinello, è tutto da dimostrare che il presidente sarà in grado di uscire da questo (ennesimo) pantano politico.

+ post

Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Filosofia politica (Università Cattolica di Milano) con una tesi su Leo Strauss. Si occupa di politica internazionale collaborando con "La Verità" e "Panorama". Il suo ultimo libro è Trump contro tutti. L'America (e l'Occidente) al bivio (2020), scritto con Daniele Scalea.