Il processo che ha visto il celebre attore Johnny Depp affrontare la ex-moglie Amber Heard, iniziato l’11 aprile e conclusosi il 1 giugno con la vittoria del primo e la condanna per diffamazione della seconda, è stato seguito giorno per giorno da milioni di persone in tutto il mondo, in particolare sui social come YouTube e TikTok. La sua vittoria rappresenta una sconfitta non solo per la Heard (condannata a pagargli oltre 15 milioni di dollari), ma anche e forse soprattutto del movimento #Metoo, e in generale di tutti coloro che avevano decretato la condanna di Depp in quanto uomo, prima ancora che venisse giudicato in tribunale.
Gli antefatti
Tutto ebbe inizio nel maggio 2016, quando la Heard, dopo poco più di un anno di matrimonio, chiese il divorzio accusando Depp di essere un marito violento. Il divorzio fu finalizzato nel 2017, anno in cui nasceva il movimento #Metoo dopo le accuse di molestie a Harvey Weinstein. Fu solo l’inizio di una crescente esclusione di Depp dal mondo di Hollywood: in un primo processo nel novembre 2020, in cui aveva citato in giudizio il quotidiano britannico “The Sun” per averlo definito un picchiatore di donne, l’Alta Corte di Giustizia a Londra stabilì che la maggior parte delle accuse della Heard fossero vere.
In seguito a ciò, Depp venne espulso dal cast della saga cinematografica “Animali Fantastici e dove trovarli”, spin-off di Harry Potter in cui interpretava il cattivo Grindenwaldt. A sostituirlo fu chiamato l’attore danese Mads Mikkelsen (il quale, curiosamente, ha interpretato un ruolo che richiama alla mente situazione di Depp nel film Il sospetto, dove faceva un insegnante accusato ingiustamente di pedofilia). La stessa cosa avvenne con la Disney, per la quale da anni vestiva i panni del Capitano Jack Sparrow nella saga dei “Pirati dei Caraibi”: nell’aprile 2022 l’azienda recise i rapporti perché temeva un possibile danno reputazionale.
Il processo
Il processo di quest’anno ha avuto inizio con l’accusa, mossa da Depp all’ex moglie, di averlo diffamato nel 2018 con un editoriale sul “Washington Post”, in cui la Heard si definiva “un personaggio pubblico simbolo di violenza domestica”. Nell’articolo affermava di avere subito violenze e, anche se Depp non veniva mai citato esplicitamente, si capiva il riferimento all’ex-marito. Da qui la querela per danni all’immagine e la richiesta di un risarcimento di 50 milioni, cui la Heard rispose con una contro-querela per 100 milioni.
Alla fine, tuttavia, gli avvocati di lui hanno dimostrato quanto fossero fallaci e contraddittorie le versioni dei fatti fornite nel corso del processo dalla Heard. In realtà sarebbe stata lei quella violenta nei suoi confronti: stando a Depp, la Heard gli aveva tagliato un dito durante una lite, oltre a defecargli nel letto. Anche le ex-compagne di lui, Kate Moss, Vanessa Paradis e Wynona Rider, ne hanno preso le difese.
Alla fine, la giuria ha stabilito che entrambe le parti in causa si sono diffamate a vicenda: lei è stata costretta a pagargli circa 10,35 milioni di risarcimento, più altri 5 milioni per “danni punitivi”, e lui a versare 2 milioni. Fuori dall’aula, numerosi fan dell’attore sono venuti per sei settimane a manifestare a suo favore, e hanno esultato quando è stato annunciato il verdetto.
Il significato
Al di là della lite tra due divi entrambi pieni di difetti (è innegabile che Depp avesse seri problemi di alcol e droga), l’esito del processo ha inferto un duro colpo alla galassia delle femministe più estreme. Quelle che, con la scusa di combattere il cosiddetto “patriarcato”, ripudiano qualunque forma di garantismo, facendo in modo che quando un uomo viene accusato di violenze da una donna sia automaticamente considerato colpevole, prima di ricevere un giusto processo. Non a caso, l’attore ha dichiarato dopo il verdetto: “Spero che la mia ricerca della verità sia stata d’aiuto ad altri, uomini o donne, che si sono trovati nella mia situazione, e che coloro che li sostengono non si arrendano mai. Spero anche che ora si torni a parlare di innocenza fino a prova contraria, sia nei tribunali sia nei media”.
Alla luce di ciò che ha dovuto subire in questi anni, Depp aveva già rilasciato delle dichiarazioni contro la crescente pervasività della cancel culture, a causa della quale nessuno è al sicuro. Una posizione condivisa anche da Tim Burton: secondo il regista (che tra il 1990 e il 2012 ha realizzato 8 film in cui Depp era protagonista) con il politicamente corretto di oggi non è più possibile dire nulla.
Le femministe, che speravano in una vittoria della Heard, appaiono già sul piede di guerra: dopo che la giuria ha emesso il verdetto sono comparsi editoriali contro una presunta “misoginia” che sarebbe alla base della vittoria di Depp. Ne troviamo esempi sul “Guardian” nel Regno Unito e nel “Corriere della Sera” in Italia.
Amber Heard non ha comunque goduto di grande appoggio pubblico, almeno a giudicare dalla Rete: il 27 maggio l’hashtag #teamjohnnydepp ha raggiunto 472 milioni di visualizzazioni su TikTok, mentre quello #amberisaliar (“Amber è una bugiarda”) ne registrava 145 milioni. Sono anche comparsi degli appelli per escluderla dal cast di Aquaman 2, facente parte della recente saga dei supereroi “DC Comics”, in cui interpreta la principessa Mera. La petizione su Change.org risultava essere a quota 4,4 milioni di firme a inizio mese.
Viene da chiedersi se sia giusto arrivare a tanto, in quanto vorrebbe dire rispondere alla cancellazione di una celebrità con la cancellazione di un’altra. Di fronte ad un avversario che cerca di toglierti di mezzo, dovresti cercare di essere migliore di lui o rispondere occhio per occhio? In quella che è anche una battaglia valoriale, occorre sempre rispettare i propri princìpi oppure ogni mezzo è lecito per raggiungere l’obiettivo? Sono domande difficili, per le quali non è semplice trovare una risposta.
In conclusione, il processo dimostra come le nuove derive del politicamente corretto siano molto meno egemoni di quanto si pensa, anche tra i giovani, e che se si uniscono ingegno e forza di volontà è possibile tenergli testa. Una lezione da ricordare, perché le fautrici del #Metoo non si arrenderanno tanto facilmente: hanno perso una battaglia, ma la guerra è ancora in corso.
Giornalista pubblicista, ha scritto per le testate Mosaico, Cultweek e Il Giornale Off. Laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e laureato magistrale in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università di Parma).
Scrivi un commento