di Daniele Scalea

L’UE mette al bando le automobili a combustibile fossile

Mercoledì il Parlamento Europeo ha votato a maggioranza a favore della proposta, formulata dalla Commissione Von Der Leyen, di ridurre del 100% le emissioni di CO2 delle nuove autovetture e furgoni entro il 2035. Concretamente, ciò significa che fra dodici anni e mezzo sarà proibito vendere vetture a benzina, gasolio e GPL.

La motivazione, ovviamente, è quella di ridurre l’emissione di gas serra considerati all’origine dell’attuale riscaldamento climatico. È bene a tal proposito notare come l’Europa, secondo i dati relativi al 2020, abbia prodotto 3,6 miliardi di tonnellate di CO2, ossia poco più di un quinto di quella prodotta nell’Asia Pacifica. Si tratta dell’11% delle emissioni mondiali di anidride carbonica. Il settore dei trasporti pesa per circa 1/5 della produzione totale dell’UE, ossia per circa il 2,3% delle emissioni mondiali. Questa è la posta in palio. Vediamo ora l’entità dell’azzardo.

Le critiche dei produttori d’auto

La decisione dell’UE è stata criticata dai produttori di automezzi, che avrebbero preferito investire nell’innovazione piuttosto che agire per divieti e messe al bando. Ovviamente il passaggio alle sole auto elettriche o a idrogeno richiederà massicci investimenti per adeguare la rete infrastrutturale, in particolare aumentando a dismisura i punti di ricarica e rifornimento. In tal senso, l’industria automobilistica ritiene che la Commissione UE stia ampiamente sottostimando i requisiti necessari. Di certo, sarà necessario che molti miliardi di euro dei contribuenti europei siano investiti in quest’adeguamento infrastrutturale.

Un altro punto sollevato dai produttori di automezzi è quello di rendere la mobilità “sostenibile” non sono per l’ambiente, ma anche per le tasche dei clienti. L’auto elettrica, come noto, costa più di una a combustione interna. Si può ipotizzare che, in virtù delle economie di scala, imponendo l’auto elettrica per tutti il prezzo di produzione si abbasserà. Ciò è possibile, ma non si può ignorare che una delle componenti principali del costo di un’auto elettrica sia nelle terre rare, nel litio e nel cobalto necessarie a produrne motore e batteria.

Prezzi alle stelle

Il prezzo del litio è attualmente al suo massimo storico. Ha toccato il picco a marzo, con 500mila yuan alla tonnellata, ed è oggi scambiato a 475mila yuan. Rispetto a un anno fa, il prezzo si è moltiplicato per oltre sei volte. Il 90% della produzione mondiale di litio è concentrata in tre Paesi: Australia, Cile e Cina.

Anche il prezzo del cobalto è in fase di ascesa. Costava 29mila dollari la tonnellata due anni fa, ora è a quota 73mila dopo aver raggiunto un picco di 83mila a marzo. Il 70% della produzione mondiale è in Congo; il secondo maggiore produttore, ben distanziato, è la Russia, attualmente sotto sanzioni UE.

Per quanto riguarda le terre rare, il nome già rende l’idea della loro scarsità. Il prezzo è anch’esso al massimo storico, raddoppiato rispetto a un anno fa. La Cina la fa da padrone come estrazione e raffinazione. In linea teorica si potrebbe aumentare l’estrazione di terre rare anche altrove, ma ciò porrebbe un nuovo dilemma etico agli ambientalisti. Gli elementi di terre rare sono legati nei depositi minerari al torio, che è radioattivo e l’esposizione al quale è stata collegata ad un aumento dei casi di tumore.

Non che le miniere di cobalto del Congo siamo meno problematiche da un punto di vista morale. L’esposizione a rifiuti tossici è considerata alla base di malformazioni congenite nei figli dei minatori, mentre varie ONG denunciano sfruttamento del lavoro minorile, numerosi morti sul lavoro, “disciplinamento” della manodopera tramite guardie armate assoldate dalle compagnie minerarie.

L’auto solo ai ricchi?

Tornando alla questione dei prezzi, l’esigenza di produrre sempre più auto elettriche potrebbe annullare ogni economia di scala a causa della scarsità delle suddette materie prime. L’automobile di proprietà rischia di diventare un bene di lusso inaccessibile a molti. Del resto, già nell’ultimo decennio c’è stato un calo del 40% dei giovani (meno di 25 anni) proprietari di auto in Italia. Negli USA si registra un calo dei patentati in tutte le classi di età, ma quello tra i minori di 45 anni va avanti costantemente dagli anni ’80.

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Intensificare tale tendenza non dispiacerebbe agli ambientalisti. In Gran Bretagna, dove il Governo Johnson sta prendendo decisioni analoghe a quelle dell’UE, il capo di un influente think tank ecologista ha chiarito che la transizione alle auto elettriche non sarà sufficiente: “Bisogna ridurre l’utilizzo complessivo dell’auto”, a vantaggio di trasporto pubblico, bicicletta e camminate.

Di per sé, non è male immaginarsi un futuro in cui le persone usino meno l’auto. Camminare o andare in bicicletta è meno inquinante, più salutare e provoca meno incidenti. Ma dovrebbero farlo per loro libera scelta, e non perché costretti dall’impossibilità (o dal divieto) di possedere un’auto. In un’epoca in cui trovare lavoro sotto casa è sempre meno frequente, per molti potersi muovere in auto è una necessità prima che una comodità. I mezzi pubblici in gran parte d’Italia sono scomodi e inaffidabili. Per molti lavoratori sostituire il mezzo pubblico alla propria auto significherebbe non solo viaggiare più scomodo, ma anche sacrificare ore giornaliere che potrebbero dedicare alla famiglia o al riposo.

Già oggi ci tocca subire regolarmente i sermoni di campioni dell’ambientalismo i quali poi utilizzano super-inquinanti jet privati per i loro spostamenti personali. E possono bastare quattro ore di volo su un jet di questo tipo per pareggiare le emissioni di CO2 che un comune cittadino europeo fa in un anno intero. Ipotizzare un futuro in cui l’automobile sarà appannaggio dei più ricchi, mentre gli altri dovranno stiparsi per ore in insalubri mezzi pubblici o consumarsi le suole delle scarpe, fa sorgere il leggerissimo sospetto che la crociata ambientalista sia un tantino classista.

Ne vale la pena?

Infine, un problema a monte. Assumiamo che valga la pena rimpiazzare tutte le auto a combustione interna con quelle elettriche. Tuttavia, l’elettricità non viene dal nulla. La produzione di energia viene spostata dal motore dell’automobile alla centrale elettrica. Ma perché l’azzeramento delle emissioni sia reale, è necessario che la produzione di quella centrale sia anch’essa a zero emissioni. Questa è la preoccupazione espressa dagli 186 scienziati che hanno firmato una lettera aperta indirizzata alla Commissione e agli europarlamentari: a loro avviso la produzione dell’elettricità e delle batterie necessarie a costruire e alimentare le auto elettriche finirà per pareggiare la riduzione delle emissioni derivanti dalla messa al bando dei motori a combustione interna.

P.S.: credendo nella necessità che i rappresentanti del popolo siano controllati e valutati dai cittadini che debbono rappresentare, segnaliamo che in questo documento, alle pp. 656 e 657, è possibile vedere quali europarlamentari abbiano votato a favore e quali contro.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.