Di Maio lascia il M5S
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha ufficialmente abbandonato il Movimento 5 Stelle, di cui è stato “capo politico” per un biennio, tra fine 2017 e inizio 2020, coinciso con le trionfali elezioni del 2018 e l’arrivo al governo. A dispetto delle sue precedenti prediche contro i parlamentari cambiacasacca, il politico di Pomigliano d’Arco ha annunciato la creazione di un nuovo partito: “Insieme per il Futuro”. Subito sarcasticamente ribattezzato dai critici “Insieme per il terzo mandato”, quello che lo statuto del Movimento 5 Stelle avrebbe vietato a Di Maio e sodali.
Di Maio: uno, nessuno, centomila
Ovviamente il Ministro ha provato ad addurre motivazioni più elevate: “la statura e la credibilità dell’Italia”, non dare spazio a “odio, populismi, sovranismi, estremismi”, “scegliere da che parte stare della storia” contro Putin. Motivazioni che hanno però indotto a chiedersi se, fino a ieri, non fosse un altro Di Maio quello che per anni è stato tra i dirigenti del M5S. Forse non era lo stesso Di Maio quello che da capo del M5S si presentò alle elezioni propugnando un’Europa di Stati sovrani “in un mondo finalmente multipolare”, il disarmo dell’Italia, l’avvicinamento alla Russia e l’incostituzionalità dell’appartenenza alla NATO.
Di Maio giustifica il suo addio al M5S guidato da Giuseppe Conte con lo scarso entusiasmo che quest’ultimo mostra nel dare sostegno all’Ucraina che si difende dall’attacco russo. Oggi il ministro degli Esteri Di Maio definisce il presidente russo Putin “più atroce di qualsiasi bestia”, ma tre anni fa il ministro dello Sviluppo economico Di Maio acchiappava like postando la sua foto col signore del Cremlino. Lo stesso ministro dello Sviluppo economico Di Maio si rendeva protagonista di un inusitato avvicinamento strategico dell’Italia alla Cina.
Da anni al servizio dell’intesa con la Cina
All’epoca Di Maio era non solo il titolare del MiSE, ma anche il vice-premier e il capo politico del principale partito della maggioranza di governo. Forte di cotanto ruolo congegnò e promosse il Memorandum d’intesa (MoU) con la Repubblica Popolare Cinese. Un avvicinamento diplomatico che per Di Maio doveva servire a far arrivare più arance siciliane in Cina, mentre per i Cinesi – dotati di maggiore concretezza strategica – era funzionale a crearsi una testa di ponte in Europa, come all’epoca si sforzò di dimostrare il Centro Studi Machiavelli. (Per i curiosi: nel 2019 arrivarono in Cina arance per il valore di 162mila euro; la Spagna, senza alcun MoU con Pechino, nello stesso anno ne esportò colà per 32 milioni).
Col “presidente Ping” (come in maniera memorabile lo chiamò in una conferenza stampa) Di Maio ha da anni un rapporto speciale. Si sprecano le foto in sua compagnia, in cui Di Maio sfoggia un sorriso a 32 denti. Promosso a ministro degli Esteri, il politico di Pomigliano fu protagonista dell’aperta esaltazione della Cina comunista durante le prime fasi della pandemia, quando – pur consapevole della loro scarsità in Italia – regalò a Pechino grossi quantitativi di dispositivi medici. Nel luglio 2020, incontrando l’omologo cinese, gli promise che l’Italia avrebbe servito da “ponte” tra la Cina e l’Occidente.
Il moralista amico del più atroce tra i regimi
Non esattamente le credenziali di un atlantista di ferro. Ma la prova provata dell’ipocrisia di Luigi Di Maio. L’uomo che abbandona il M5S per non essere “ambiguo” contro l’odiato Putin, non ha mai avuto problemi a tubare con Xi Jinping e i suoi sgherri. Ossia col capo e coi gerarchi di un regime comunista al cui confronto la Russia di Putin apparirebbe liberale e democratica. Un regime che ha implementato un sistema di “credito sociale” che impressionerebbe pure Orwell. Un regime che ha brutalmente represso le libertà residue a Hong Kong. Un regime che usa i detenuti politici come riserva di organi da espiantare alla bisogna. Un regime che ha creato nello Xinjiang un sistema concentrazionario di massa, con torture sistematiche, stupri di gruppo, indottrinamento violento, sterilizzazione forzata di una minoranza etnica.
Luigi Di Maio non solo ha avuto il pelo sullo stomaco di stringere sorridente le mani agli artefici di questi crimini; ha pure espresso una precisa volontà di creare un’intesa strategica tra l’Italia e la Cina, dandovi seguito con azioni concrete. Questo Di Maio oggi vorrebbe farci credere che agirebbe mosso da impulsi morali e dedizione all’Occidente. Almeno fino alla prossima occasione di servire il suo “Presidente Ping”…
Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.
Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).
Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.
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