di Nathan Greppi

Sono molte le generazioni che, nel corso della loro infanzia, sono cresciute con classici della narrativa per bambini quali Il Grinch o La fabbrica di cioccolato. Anche chi non ha letto i libri, spesso ha visto film tratti da essi. Purtroppo, proprio nei Paesi dai quali provengono questi classici, essi vengono sempre più presi di mira dagli estremisti fautori della cancel culture.

L’Università di Cambridge mette all’indice i libri

Nell’ottobre 2021 erano stati dei ricercatori al Homerton College, uno dei collegi dell’Università di Cambridge, a valutare oltre 10.000 titoli di libri per bambini per applicarvi dei trigger warnings, ossia avvertenze che il contenuto delle opere potrebbe “ferire i lettori senza preavviso”. Di solito questi lettori “a rischio” appartengano a una qualche minoranza. Per fare degli esempi, tra i testi in questione vi è La casa nella prateria di Laura Ingalls Wilder, accusato di stereotipare gli indiani d’America, e diversi libri del Dr. Seuss, l’autore de Il Grinch, colpevoli di “insensibilità culturale” per come vengono rappresentati i neri. Lo stesso è toccato anche a Bandit Jim Crow, un racconto di Frank L. Baum, autore del libro Il mago di Oz.

La censura: una “moda” dilagante

Non è solo nel Regno Unito che avvengono certe cose. Nel marzo 2021, uno dei titoli della serie di “Capitan Mutanda”, che ha venduto decine di milioni di copie in tutto il mondo, è stato ritirato dal commercio per accuse di razzismo. Per la precisione, si tratta della graphic novel del 2010 Le avventure di Ook e Gluk, ritirata dopo che Billy Kim, cittadino americano di origini coreane, lanciò una petizione su Change.org per spingere la casa editrice Scholastic a scusarsi degli stereotipi racchiusi nel volume. Dopo la rimozione dal sito dell’editore, anche l’autore della serie Dav Pilkey si scusò perché il libro conterebbe “stereotipi razziali dannosi e immagini passivamente razziste”, e sarebbe “dannoso per i miei lettori asiatici”.

Non se la passano tanto meglio in Australia, dove il libro Versi perversi di Roald Dahl, celebre autore de La fabbrica di cioccolato e di James e la pesca gigante, è stato tolto dagli scaffali della catena di negozi ALDI perché vi si trova il termine “sgualdrina”.

Già nel 2019 erano emersi, in un’inchiesta del “Foglio”, diversi casi analoghi anche in Paesi non anglofoni. In quel periodo, una scuola materna di Barcellona aveva messo al bando oltre 200 titoli di fiabe contenenti “stereotipi tossici”: tra loro Cappuccetto Rosso e La bella addormentata nel bosco. E in Svezia diverse istituzioni hanno bandito, con l’accusa di razzismo, un classico della loro letteratura quale Pippi Calzelunghe.

C’è persino chi ricorre al rogo

Se nei Paesi sopracitati ci si limita a semplici censure e messe al bando, in Canada i libri sgraditi vengono letteralmente messi al rogo: è successo nel 2019, quando 30 scuole cattoliche nel sud dell’Ontario distrussero circa 4.715 testi per bambini. Tra questi spiccavano in particolare i fumetti di Tintin, Asterix e Lucky Luke, accusati di promuovere stereotipi sulle popolazioni indigene.

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Rimanendo nell’ambito del fumetto franco-belga, una censura più morbida ma comunque evidente era capitata anche ad un albo dei Puffi, il quale parlava di puffi neri che erano stati infettati da un morbo che li trasformava in specie di zombi. L’albo è stato ritoccato, in modo che il puffo nero sulla copertina diventasse viola.

Giornalista pubblicista, ha scritto per le testate MosaicoCultweek e Il Giornale Off. Laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e laureato magistrale in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università di Parma).