di Marco Malaguti

Paese che vai, nevrosi che trovi. Se la monomania nazionale italiana è il covid, la Germania ha invece il cambiamento climatico o, più in specifico, la crisi climatica (Klimakrise). Come già ricordato, il millenarismo ecologista ha qui una base privilegiata, forse la sua piazzaforte più importante in terra europea. In nessuna nazione del vecchio continente l’ecologismo oltranzista gode di un così forte consenso sociale il quale, come abbiamo già illustrato, affonda le proprie radici in un ampio e antico retroterra culturale.

A ognuno il suo millenarismo

Benedetti dai media, che oltre a rilanciarne le tematiche spesso ne reclamizzano direttamente le gesta condividendone i video dagli spazi social, movimenti di spicco dell’ecologismo oltranzista come Ende Gelände e Letzte Generation (“Ultima Generazione”) sono rapidamente saliti alla ribalta nel panorama politico giovanile, superando in popolarità anche il ben più strutturato Fridays for Future di Greta Thunberg, il quale si è invece evoluto in una direzione sempre più politica ed istituzionale. Molti di questi attivisti, peraltro, non sono neofiti, quanto piuttosto veterani di lunghe stagioni di lotta in movimenti di estrema sinistra quali Antifaschistische Aktion (“Azione Antifascista”) o realtà militanti legate al mondo LGBT.

Basta sfogliare un giornale tedesco o sintonizzarsi su di un telegiornale per rivivere, in salsa verde, anzi green, lo stesso incubo che l’Italia ha vissuto e parzialmente vive ancora con il covid-19. La crisi climatica è ovunque. Copiosi ed allarmati editoriali esortano la politica ad emettere sempre meno CO2 (nel frattempo che si chiudono le centrali nucleari e se ne aprono di nuove a carbone, in funzione antirussa) mentre climatologi, meteorologi ed altri “esperti” hanno raggiunto una onnipervasività che solo i membri del nostro CTS avevano conosciuto.

Chiunque abbia amici o conoscenti oltralpe potrà verificare come, ad esempio, gran parte della popolazione tedesca sia perfettamente al corrente dell’attuale situazione di siccità nella nostra penisola e meglio informata a proposito di essa che non al conflitto in corso in Ucraina.

I media e l’orchestra della paura

L’ostinata attenzione per i fenomeni climatici da parte dei media affonda le sue origini anche oltreoceano. Abituati ad eventi estremi quali rovinosi uragani, tornadoes colossali, blizzard e tempeste di sabbia, i cittadini degli Stati Uniti sono comprensibilmente molto attenti a tutto ciò che è collegato al clima e i media, come è ovvio, rispondono alla domanda creando un’offerta più che adeguata, con addirittura interi canali televisivi dedicati alla meteorologia.

Tuttavia in Europa in generale ed in Germania in particolare la comunicazione per ciò che riguarda simili eventi (ma anche fenomeni normalissimi) si fa sempre più ansiogena e terroristica. Temperature di 30-32 gradi centigradi in piena estate bastano a scatenare le troupe televisive, che si spostano in lungo e in largo nella Repubblica Federale a caccia di alberi sofferenti ed aiuole prossime all’avvizzimento. Le mappe delle previsioni del tempo si colorano di giallo, arancio, rosso, viola, tanto che il telespettatore ha la netta percezione che il Paese stia bruciando, quando magari le temperature non superano i trentacinque gradi e senza che il patrimonio idrico tedesco ne risenta in maniera significativa. Ma la ragione può poco contro la comunicazione strillata, sentimentalistica e squisitamente emergenziale dei media, e la macchia d’olio dell’Angst si espande.

L’ondata di marea dell’ansia

L’Italia, Paese quasi confinante con la Bundesrepublik e profondamente connessa al suo mercato, è altamente esposta al contagio – per usare termini ormai tra noi popolari – dell’ossessione ecologista. Complice anche l’alto numero di giovani italiani, sia studenti sia emigrati più o meno definitivamente, risiedenti nel Paese teutonico, toni e modalità della protesta ecologista stanno lentamente ma progressivamente esondando anche a sud delle Alpi. Letzte Generation in particolare è riuscita e mettere radici in Italia in maniera rapidissima.

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Il movimento oltranzista green fondato a Berlino meno di un anno fa (la fondazione risale allo scorso Settembre) si è insediata a Milano e a Roma ed è in via di espansione anche in altre città del Centronord. Il gruppo appare ancora in via di consolidamento – basta accedere al loro sito (nel quale è significativamente disponibile la traduzione tedesca per la pagina “donazione”) per rendersene conto – ma indubbiamente non parliamo di un fenomeno esclusivamente mediatico o telematico. Sono già sei i blocchi del Grande Raccordo Anulare attorno alla capitale che il movimento ha condotto, a cui se ne aggiunge un altro nella tangenziale della metropoli lombarda; ma gli attivisti dichiarano di non volersi fermare qui, tanto più che le Forze dell’Ordine, almeno per ora, sembrano particolarmente benevole nei loro confronti.

Due pesi, due misure

Il ricordo non può non correre allo sciopero dei portuali di Trieste dello scorso autunno, quando gli scioperanti no-greenpass guidati da Stefano Puzzer, falsamente accusati di bloccare il porto (che invero mai ha cessato la sua attività) sono stati sgomberati con gli idranti. Così non può non correre all’ormai lontana -ma non lontanissima- protesta degli allevatori del Nord del 1999, quando per lo stesso reato vennero arrestati ventisei allevatori veneti allora militanti sotto la bandiera della Mucca Ercolina.

Come non pensare anche al provvedimento che per mesi ha vietato le proteste no-pass nei centri delle città italiane, esiliandole de facto in periferie desolate o addirittura in aperta campagna, in quanto “danneggiano l’economia delle città”? Forse bloccare tangenziali e autostrade attorno ai principali poli finanziari ed industriali del Paese fa, invece, bene all’economia?

Attenderemo una risposta dalla politica, la quale, per ora, non commenta, o se lo fa non impiega certamente i toni solerti primo-novecenteschi utilizzati durante la caccia alle streghe no vax. Esattamente come a Berlino, dove le autorità quando non minimizzano supportano apertamente, anche in Italia assistiamo a tutto fuorché a condanne. Si ha l’impressione, una volta di più, che anche questo silenzio, in realtà, dica moltissimo su quanto questi aspiranti ribelli siano in realtà organici alla narrazione dell’agenda Draghi.

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.