di Daniele Scalea

In dieci anni, dal Centro-Destra alla Destra-Centro

A scrutinio quasi concluso nel momento in cui scriviamo, la notizia è la vittoria elettorale del Centro-Destra: non succedeva dal 2008. L’Italia tornerà ad avere un governo di centro-destra: mancava dal 16 novembre 2011 (giorno in cui si cadde il Governo Berlusconi IV). Una traversata del deserto più che decennale, la quale consegna una coalizione che solo superficialmente assomiglia a quella del 2011. I partiti sono ancora quelli: Forza Italia e Fratelli d’Italia (nel 2011 c’era il Popolo delle Libertà, da cui i due discendono), Lega. Ma i rapporti di forza sono rovesciati: ora in posizione dominante c’è la destra “pura” del partito di Giorgia Meloni, mentre la “moderata” Forza Italia è terzo partito. La Lega, curiosamente, ha quasi esattamente gli stessi voti del 2011 (era 8,3% allora, è circa 8,8% oggi), ma nel mezzo c’è la svolta nazionale e personalistica (da Lega Nord a Lega Salvini Premier) e le montagne russe che l’hanno portata al baratro del 4% (2013) e a alla vetta del 34% (2019).

La dimensione storica del successo

Quarantaquattro percento è il livello di consensi che dovrebbe aver raggiunto il Centro-Destra (o Destra-Centro) alle elezioni di ieri. Sette punti percentuali più del 2018, il miglior risultato dal 2008, la più alta percentuale ottenuta dalla coalizione in un’elezione con più di due poli. In termini di seggi, il Centro-Destra dovrebbe ottenerne 115 su 200 al Senato e 235 su 400 alla Camera, ossia delle quote rispettivamente del 57,5% e del 58,75%. Si tratta della più ampia maggioranza parlamentare ottenuta alle elezioni da una coalizione nella Seconda Repubblica. Escludendo i governi di ampie intese formatisi per giochi parlamentari nel corso di una legislatura, bisogna tornare a trent’anni fa per una maggioranza più ampia consegnata dalle urne: durante la X legislatura (1987-1991) il Pentapartito aveva il 58,7% dei seggi al Senato e il 59,8% alla Camera. Ma si trattava, ovviamente, di una coalizione più eterogenea e trasversale dell’attuale Destra-Centro, imposta com’era dalla legge integralmente proporzionale allora in vigore.

Il falso mito della “vittoria al centro”

Sono ormai alcuni anni che, nel commentare i risultati elettorali, metto in guardia dalle (interessatissime) sirene di giornalista ed esperti – quasi sempre vicini al PD – che incitano i partiti di destra a “moderarsi” e “accentrarsi” per accrescere i consensi. Se da un lato è necessario trovare alleanze al centro per formare una compagine maggioritaria, dall’altro ho sempre ribadito che, almeno dalla crisi del 2007-2011, la richiesta proveniente dal grosso della popolazione italiana è quella di posizioni forti e di rottura. Tutti abbiamo ben presente come, nel 2018, le forze “radicali” o “anti-sistema” ottennero complessivamente il 61% dei consensi (si tratta della somma dei voti ricevuti da M5S, Lega, FdI e varie formazioni di estrema destra o estrema sinistra). Si è ipotizzato che l’epidemia di covid avrebbe mutato questo stato di cose, alimentando una maggiore richiesta di posizioni “caute”, “moderate” e “rassicuranti”. È stato così?

Verifichiamolo coi risultati del voto di ieri e cerchiamo quelli dei partiti che non possono essere ascritti all’ambito “moderato” e “pro-establishment“: FdI, Lega, M5S (molto diverso da quello del 2018, ma in campagna elettorale rilanciato da Giuseppe Conte come formazione di sinistra più radicaleggiante del PD), Alleanza Verdi e Sinistra, Italexit, Unione Popolare, Italia Sovrana e Popolare, Vita, PCI, Alternativa per l’Italia. Ebbene, la somma dei voti da loro ottenuti è pari al 59,28%. La tendenza sembra, insomma, immutata.

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Altre considerazioni sembrano suggerire lo stesso. La Lega, che da sovranista e nazional-populista spopolò fino a raggiungere il 34%, convertita al draghismo e alle posizioni che (in teoria) dovevano rassicurare “gli imprenditori del Nord” crolla sotto il 9%. FdI, con la sua “scandalosa” fiamma tricolore nel simbolo, è primo partito col 26%. L’alleanza tra Azione e Italia Viva ottiene un dignitoso 8%, ma non si avvicina minimamente a proporsi come terzo polo, essendo lontanissima dal 15% del M5S. Le due stampelle più “moderate” delle due coalizioni maggiori rimangono entrambe sotto l’1%, rivelandosi dunque dei meri orpelli che hanno sfavorito gli alleati anziché aiutarli (sotto quella soglia i voti non sono riportati agli alleati ma dispersi): il riferimento è a Noi con l’Italia e Impegno Civico. Quest’ultimo in particolare ha clamorosamente fallito la sfida a Giuseppe Conte per un (post)grillismo pro-establishment.

E ora?

Giorgia Meloni sarà la prossima capa del Governo italiano. La prima donna, certo, ma anche la prima persona di destra, senza prefissi “centro-“, della storia repubblicana. Avrà una grande responsabilità storica e un compito non facile.

Vincere le elezioni non è il fine della politica: è solo un mezzo per giungere a un altro mezzo (governare) che a sua volta serve al fine di realizzare la propria visione. Da qui al conseguimento di tali fini Giorgia Meloni incontrerà molti ostacoli.

Il principale sarà la volubilità dell’elettorato. Finita appare la stagione delle leadership di lungo corso, quella dei Berlusconi o Prodi. Oggi l’elettorato, nella frenetica ricerca dell’uomo/donna forte che raddrizzi le cose, si innamora prima di Renzi, poi di Grillo, poi di Salvini, ora della Meloni, il tutto nel giro di nemmeno un decennio. Con la medesima frenesia, di fronte alla mancata realizzazione di ciò che s’aspettava, l’elettorato brucia ogni idolo per passare al successivo, in un turbinio di ascese prodigiose e cadute rovinose. L’arduo compito, per la leader di Fratelli d’Italia, sarà rompere questo vortice distruttivo e rimanere in auge per più anni.

Se ci riuscirà, segnerà un’epoca.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.