di Mary McCloskey e Jared Eckert

(Traduzione da: The American Conservative)

“La versione breve della mia storia di detransizione … è che a quindici anni sono stata introdotta all’ideologia gender su Tumblr e ho iniziato a definirmi non binaria”. Così scrive la ventitreenne americana Helena Kirschner nel suo straziante pezzo autobiografico By Any Other Name. Nella sua testimonianza, Helena fa risalire il proprio percorso di transizione di genere alla ossessione adolescenziale per le emaciate e androgine icone color pastello di Tumblr. Il tempo trascorso su questi blog ha iniziato a distorcere la sua percezione di sé. Alla fine l’hanno condotta in luoghi virtuali dove “amici” attribuivano la colpa della sua angoscia adolescenziale al fatto di essere nata nel corpo sbagliato.

La storia di Helena non è anomala. Anche altri “detransizionanti” [transessuali che ritornano al sesso d’origine, NdT], come Keira Bell e Grace Lidinsky-Smith, sono stati esposti all’ideologia gender online. Oggi le ricerche dimostrano che la maggior parte di coloro che effettuano la transizione sono stati convinti a farlo online attraverso i social media, i blog e YouTube.

Il picco di adolescenti che utilizzano i social media e si identificano come transgender non è una semplice coincidenza.

Gli adolescenti di oggi hanno conosciuto solo un mondo digitale. I nuovi media, come gli smartphone, i social media e Internet, pervadono le loro ore di veglia. L’ubiquità di questa tecnologia fa sì che gli adolescenti trascorrano più tempo dietro a uno schermo che a uscire con gli amici, a fare compere o a prendere la patente. In media, gli adolescenti trascorrono connessi quasi nove ore al giorno.

Dietro quegli schermi, i contenuti sessuali e transgender saturano gli spazi digitali dove la maggior parte degli adolescenti si ritrova. Una semplice ricerca di hashtag restituirà istantaneamente migliaia di post LGBTQ sulla piattaforma di social media prescelta. Ad esempio, su WattPad, una nuova piattaforma di social media, una ricerca permette di trovare oltre 4,5 milioni di storie originali caricate. Oppure consideriamo TikTok. Una ricerca per “top surgery[“chirurgia della parte alta”, ossia amputazione dei seni, NdT] porta a innumerevoli clip di giovani donne che ostentano petti mutilati, con milioni di visualizzazioni.

Tutto questo non avviene per caso. Gli spazi digitali sono sempre più progettati per promuovere contenuti sessuali e transgender. Per anni Tumblr ha permesso l’accesso a contenuti per adulti sui suoi server prima di cambiare politica. Altri, come Twitter, continuano a consentire la pornografia sulle loro piattaforme. Per quanto riguarda i contenuti transgender, quest’anno TikTok ha aggiornato le linee guida della comunità in modo da non consentire più “contenuti anti-LGBTQ+”. Più recentemente Twitter, che da tempo censura i dissidenti, sta rimuovendo coloro che affermano che l’attivismo transgender sia “adescamento”.

Alcune piattaforme sono addirittura progettate per nascondere le attività dei giovani all’occhio vigile dei genitori. Alcuni siti LGBTQ, come lo spazio di chat Q e le stanze di chat LGBT Hotline, permettono ai giovani di chiacchierare facilmente con estranei LGBTQ. Come se non bastasse, questi siti dispongono di un pulsante di “fuga rapida” che nasconde la conversazione.

Dati gli alti tassi di utilizzo della tecnologia tra gli adolescenti e il disegno ideologicamente motivato degli spazi digitali, non c’è da stupirsi che i “Gen Z” che si identificano come trans siano di più rispetto a quelli delle generazioni più anziane.

Questo è esattamente ciò che vogliono gli attivisti gender radicali. Da tempo sostengono che l’accesso ai contenuti pornografici online sia essenziale per lo “ecosistema queer” e per la “scoperta di sé” dei giovani LGBTQ. È per questo che Human Rights Campaign insiste sul fatto che gli adolescenti debbano avere accesso a spazi online dove “godono di riservatezza” per “scoprire di più” sul loro genere. È anche il motivo per cui GLAAD, un altro gruppo di attivisti LGBT, sta facendo pressione sulle piattaforme di social media affinché adottino politiche che proteggano i contenuti trans. E per quanto riguarda i genitori, gli attivisti sostengono che se limitano i contenuti transgender e sessuali online ai propri figli hanno un “atteggiamento di rifiuto”.

LEGGI ANCHE
Il Centro-Destra punta su Internet

In definitiva, gli attivisti affermano che garantire al minore l’accesso ai contenuti transgender online sarebbe vitale per la salute mentale dei giovani “LGBT”. Ma nulla potrebbe essere più lontano dalla verità.

L’aumento dell’uso dei social media e l’esposizione a contenuti sessuali minano la salute mentale degli adolescenti. Un paio di studi recenti (qui e qui) ha rilevato che più tempo gli adolescenti passano dietro gli schermi o scorrendo i social media, più sono depressi e meno soddisfatti della loro vita. Altre ricerche dimostrano che l’esposizione precoce a contenuti sessuali è legata a una scarsa salute mentale e soddisfazione della vita. Una ricerca interna a Instagram ha persino rilevato che il 6% degli utenti adolescenti con pensieri suicidi sono riconducibili alla piattaforma stessa.

Peggio ancora, promuovere e proteggere contenuti che incoraggiano la transizione di genere può portare a danni irreversibili. Gli interventi chimici e chirurgici utilizzati per la transizione di genere causano problemi di salute come malattie cardiovascolari, riduzione della densità ossea e, in definitiva, sterilizzazione. A lungo andare non migliorano nemmeno la salute mentale: coloro che effettuano la transizione chirurgica hanno 19 volte più probabilità di suicidarsi rispetto ai coetanei; i tassi di suicidio degli adolescenti sono più alti negli Stati in cui i minori possono accedere a questi interventi con maggiore facilità.

Le decisioni su ciò che i giovani devono ascoltare o vedere non dovrebbero essere prese dai dipendenti dei giganti tecnologici nella Silicon Valley. Al contrario, i genitori, con l’aiuto dei politici, dovrebbero avere maggiori poteri per curare e proteggere i propri figli online.

I genitori dovrebbero riflettere sulle misure che possono adottare per proteggere i bambini online. Ad esempio, possono tenerli lontani dai social media finché non sono più grandi, incoraggiare l’uso di Internet solo in pubblico e utilizzare dei filtri.

Anche i legislatori possono aiutare. L’innalzamento dell’età minima per l’uso di Internet (come farebbe negli USA il Child Online Privacy and Protection Act) può essere un modo per proteggere i bambini dai danni online. Un altro passo nella giusta direzione sarebbe quello di proibire lo sfruttamento sessuale dei minori e la promozione di contenuti che pongono rischi per la salute fisica e mentale dei minori (come farebbe il Kids Online Safety Act). Se vogliamo proteggere i bambini online, dobbiamo evitare i danni dei contenuti sessuali e transgender.

Data la progettazione “woke” degli spazi digitali, i bambini hanno bisogno di protezione online ora più che mai. Sia i legislatori sia i genitori devono darsi da fare.

Laureanda in Scienze politiche e governo (Christendom College), è tirocinante presso Heritage Foundation.

Laureato in Filosofia (Hillsdale College) e dottore magistrale in Religione (Westminster Theological Seminary), è stato ricercatore presso il John Jay Institute e Heritage Foundation.