di Daniele Scalea

Due notizie di cronaca delle ultime ore riportano alla ribalta il tema del tentativo, in corso, di “normalizzare” la pedofilia. Anche se usare il termine “ribalta” è un’antitesi, una esagerazione: i grandi media ignorano la questione. E il loro silenzio si inserisce, non sappiamo se scientemente o meno, proprio in quel processo di sdoganamento della pedofilia.

Pedofilia: “normalizzazione” in corso

Prima di trattare i fatti nuovi, riannodiamo il filo della narrazione che, almeno su blog come il nostro, ha luogo. Cinque mesi fa scrivevamo l’articolo La pedofilia cerca di passare per la finestra di Overton. In esso si rendeva conto della scelta compiuta da un centro di ricerca sull’abuso dei minori, afferente alla prestigiosa università americana Johns Hopkins University, di assumere la giurista Allyn Walker. “Transgender” e “non binaria”, secondo la definizione che dà di sé stessa, la Walker in precedenza era stata costretta a dimettersi da un’altra università per la controversia suscitata dalle sue posizioni in merito alla pedofilia: e cioè che i pedofili che si trattengono dallo stuprare i bambini andrebbero “destigmatizzati”, chiamati con un nome meno infame, compresi e accettati.

La vicenda di Allyn Walker e della Johns Hopkins University ci permetteva di ricordare come da decenni sia in corso un tentativo di normalizzare la pedofilia. Tale tentativo fallì nel Sessantotto, sebbene appoggiato da intellettuali di spicco della Sinistra, ma si ripropone oggi. I pedofili, si ricordava nell’articolo succitato, hanno spesso agito insinuandosi nei movimenti omosessuali – non perché vi sia un’identità tra i due orientamenti, ma perché sperano che l’emancipazione dei gay possa condurre a rimorchio anche la loro. Tale possibilità è vista oggi come tanto più promettente, poiché nel frattempo il movimento si è fatto vieppiù inclusivo – “LGBTQ+” è l’etichetta oggi in voga, dove il “più” sta a indicare che potenzialmente ogni orientamento sessuale vi può trovare accoglimento. In un’epoca in cui l’ortodossia afferma che il genere e le preferenze sessuali siano uno “spettro” di infinite possibilità, tutte egualmente dignitose, tutte pienamente normali, è palese come risultino indebolite le difese che ancora permettono di escludere la pedofilia da qualsiasi riconoscimento e legittimazione.

Gli asili nido LGBT a Berlino

Fatto questo preambolo, veniamo alle notizie del giorno. Due diverse organizzazioni LGBT, entrambe specificamente impegnate coi minori, sono entrate nell’occhio del ciclone per la presenza al loro interno di apologeti della pedofilia.

Vediamo il primo caso, in Germania. A Berlino l’organizzazione Schwulenberatung – che, come dice il nome stesso, si occupa di assistenza psico-sociale alle persone queer – ha deciso di aprire due asili nido, con l’intento dichiarato di esporre i piccoli da 0 a 3 anni a contenuti omosessuali per abituarli a “stili di vita alternativi”. Questi asili nido saranno incorporati in una più ampia struttura abitativa, con appartamenti, ristoranti, persino un ospizio, tutti rivolti a persone non eterosessuali.

La notizia farà, già di per sé, alzare più d’un sopracciglio, perché per molti le questioni legate alla sessualità dovrebbero essere escluse dall’educazione dei più piccoli. Ma ciò che ha generato il polverone è che uno dei tre membri del CdA di Schwulenberatung sia il controverso sociologo Rüdiger Lautmann. Nel 1994 pubblicò un libro, Die Lust am Kind (“L’attrazione verso il bambino”), dedicato all’esplorazione della pedofilia. Un lavoro accademico, certo, ma in cui sono espresse alcune posizioni, diciamo così, “eccepibili”.

Un apologeta della pedofilia?

Lautmann si ricollegava ai giudizi dello psichiatra Eberhard Schorsch, secondo cui la pedofilia non potrebbe considerarsi “intrinsecamente cattiva” o “pericolosa”, ma andrebbe valutata caso per caso. Ciò lo conduceva verso un crinale scivoloso, interrogandosi sulla sessualità dei bambini e sul modo in cui essa possa incontrarsi in maniera “consensuale” con quella dell’adulto. Tanto più che il libro si basa su interviste con pedofili e, dunque, talvolta la loro prospettiva e quella dell’autore sfumano l’una sull’altra, in un’ambiguità forse ricercata per permettersi affermazioni più “forti”. “In ultima analisi – si legge nel libro – è il pedofilo che vuole e avvia l’aspetto sessuale della relazione; ciò, non di meno, viene fatto entro i limiti di quanto il bambino permette e di ciò a cui è pronto”.

Il sociologo tedesco nel libro si guardava dall’essere troppo esplicito su taluni temi, ma leggendo il libro si palesa come per lui i “confini” fissati dalla società e dalla legge in relazione alla sessualità infantile siano troppo arbitrari e puritani. Talvolta si sbilancia e verga frasi che oggi pesano sulla sua credibilità – come le seguenti:

Credo che i pedofili – o, per essere più precisi, quelli da noi intervistati – compiano grossi sforzi per ottenere il consenso del bambino e, pure, che prendano sul serio un “no”. A questo punto, non posso trattenermi dal lanciare questa frecciatina: una grossa porzione di uomini eterosessuali farebbe bene a impiegare con le donne tali strategie di consenso così attentamente affinate.

[…]

In molti casi l’incontro pedosessuale è in realtà indirizzato all’obiettivo che Michael-Sebastian Honig ha definito dell’amore infantile: una giocosa soddisfazione del bisogno di tenerezza che non esclude l’eccitazione genitale.

La visione apologetica dei pedofili che cercano il “consenso” delle vittime traspare in passaggi come questi. Laddove Lautmann deve affrontare il problema dei pedofili più aggressivi, ci tiene a precisare che “questi sono uomini la cui competenza nell’agire pedofilico è limitata […] ma questa gradazione di competenza si ravvisa in tutte le scene sessuali”. Ossia, la colpa non sarebbe nell’essere dei pedofili ma, come ci spiega poco avanti, nell’essere mascolini:

C’è troppo pensiero tradizionale maschile [nel racconto di questo pedofilo]. Gli intervistati meno istruiti erano più proni a parlare ancora in termini paternalistici; probabilmente anche nella loro interazione con le giovani donne. Per il pedofilo che si rivolge alle ragazze, la sua mascolinità è un impedimento. La mascolinità egemonica (Bob Connell) va in accordo con la sua programmazione di genere […]. Quello che ama le ragazzine non possiede solo la superiorità dell’adulto; è anche obbligato ad essere dominante verso tutte le femmine. Se sta cercando una relazione amorosa, dovrà disimparare tutte le sue tradizionali nozioni di genere.

Il sociologo tedesco ci tiene dunque ad escludere le casistiche di stupri, incesti e abusi dall’ambito di quelli che chiama “veri” pedofili e che “non vogliono – e non dovrebbero – essere raggruppati con gli abusatori”. I pedofili, ci spiega Lautmann, hanno una loro “etica”. In realtà la pedofilia è stata “inventata” quando, nei secoli scorsi, si è cominciato a concepire l’infanzia come un momento distinto dall’età adulta e i bambini come individui da educare e proteggere – cosa che nella concezione di Lautmann corrisponde, chissà perché, a “repressione”. A suo avviso è nell’Ottocento che la pedofilia “evolve” fino a “differenziarsi dall’abuso sessuale e dall’incesto in tutti gli aspetti essenziali fatta salva la caratteristica dell’età”.

Nell’interpretazione di Lautmann, il bambino divenne in quella fase un essere idealizzato come “puro”, vestito in maniera sempre più affascinante, e dall’atteggiamento intrinsecamente giocoso. Il pedofilo si rivolge a esso come “persona di valore superiore”. Così si legge nel libro:

Nel corso del ventesimo secolo le idee sull’infanzia sono cambiate ripetutamente e, nel contempo, sono state massicciamente sessualizzate. Mi viene in mente come le affermazioni di Freud e Kinsey fossero inizialmente accolte con grande turbamento. In più, dal 1950, sono emersi temi storicamente nuovi: l’eguaglianza del bambino, il bambino come partner personale, l’interazione non dominante tra genitore e bambino. La sessualità non cede più a proibizioni comunicative. Le generazioni in tal modo si avvicinano così strettamente che l’intimità tra esse diviene immaginabile. A questo punto la pedofilia sarebbe dovuta diventare una possibilità.

Le Sirene LGBT per i bambini

Passiamo ora al secondo caso di cronaca e spostiamoci in Gran Bretagna. Lo scandalo riguarda l’ONG Mermaids (“Sirene”), che dal 1995 si dedica ai bambini cosiddetti “transgenere”. L’organizzazione è tristemente nota anche per avere avuto un ruolo rilevante nello spingere la clinica londinese di Tavistock a indulgere in precoci cambi di sesso sui bambini (il numero di interventi si era fatto così assurdamente elevato che qualche mese fa, grazie anche alla spinta di cause legali promosse da vittime come Keira Bell, è stata annunciata la soppressione del servizio, devoluto a cliniche regionali).

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A settembre il “Telegraph” ha assestato un primo colpo all’immagine di Mermaids. Un giornalista ha contattato via mail l’organizzazione, fingendosi una quattordicenne. Dopo uno scambio di lettere, senza mai vedere l’interlocutrice né tanto meno preoccuparsi del suo stato psicologico o della volontà dei genitori, l’ONG si è dichiarata disponibile a fornirle una fascia contenitiva del seno – uno strumento che gli stessi promotori in Internet ammettono possa provocare mal di schiena, dolori al petto, difficoltà di respirazione, danni polmonari o alle costole. La commissione britannica regolatrice delle ONG ha avviato un’inchiesta, sospendendo nel frattempo il lauto finanziamento pubblico (500mila sterline!) che Mermaids riceve tramite la Lotteria Nazionale.

A convegno coi pedofili

In ottobre è arrivato il secondo colpo. Il “Times” ha scoperto che uno degli amministratori di Mermaids, il professore della LSE (dove insegna “Genere e sessualità”) Jacob Breslow, nel 2011 (quando già era dottorando di ricerca) era intervenuto a una conferenza di B4U-ACT che si occupa di supporto psicologico ai pedofili. Tale missione non è di per sé malvagia, ma B4U-ACT è accusata di voler normalizzare la pedofilia. Nel suo sito il supporto psicologico non è presentato come finalizzato alla prevenzione di abusi sui minori: si afferma che i pedofili dovrebbero rivolgersi a loro per questioni “slegate dalla loro sessualità” o “causate dalle reazioni negative della società”; viene esplicitamente negato che la pedofilia costituisca una malattia o che il supporto dovrebbe servire a modificare gli impulsi sessuali del pedofilo. Qualche perplessità lo solleva pure il fatto che il fondatore fosse un pedofilo condannato per molestie su minore.

Ma quale fu il ruolo dell’amministratore di Mermaids in quella conferenza? È comparsa in Internet (e non smentita) una nota riassuntiva coi punti salienti, in cui così si dà conto dell’intervento di Breslow:

Il relatore e autodefinitosi “attivista gay” Jacob Breslow  afferma che i bambini possono appropriatamente essere “l’oggetto della nostra attrazione”. Egli oggettifica ulteriormente i bambini, suggerendo che i pedofili non necessitano del consenso del bambino per fare sesso con “esso”, non più di quanto necessitiamo del consenso di una scarpa per indossarla. Utilizza quindi un linguaggio gergale e crudo per descrivere favorevolmente l’atto culminante, l’eiaculazione, “su o con” un bambino. Nessuno dei presenti obietta contro questa esplicita rappresentazione di un’aggressione sessuale a un bambino.

Fedele o no questo resoconto delle parole di Breslow, in varie occasioni egli ha espresso posizioni “controverse” sulla sessualità dei bambini.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.