“Paesaggio”, “patrimonio storico e artistico” e “fattore umano”
Nei precedenti paragrafi si è osservato come l’art. 51 Cost. assecondi l’art. 9 nel distinguere tra Nazione italiana e Repubblica. La prima è momento di continuità culturale, che vive attraverso le generazioni, secondo lo spunto offerto dalla recente modifica dell’art. 9; la seconda è l’organizzazione di governo, la quale – precisa l’art. 51 – si pone come tendenzialmente funzionale all’accoglimento degli “Italiani”, ossia di quanti fanno parte della Nazione italiana: in altre parole, nella visione costituzionale lo Stato (la “Repubblica”) non ha la pretesa di esaurire in sé la Nazione, ma sicuramente ne costituisce lo spazio politico privilegiato (v. ancora art. 51), ossia è Stato nazionale1.
Nei precedenti paragrafi, si è, altresì, osservato che l’art. 9 intravede i caratteri costitutivi della Nazione – che, sulla scorta degli artt. 1 e 51, si può designare in modo completo come Nazione Italiana – nel “paesaggio” e nel “patrimonio storico ed artistico”. Ne segue che, per cogliere appieno il significato del richiamo alla Nazione presente nella Carta fondamentale, è necessario soffermarci sul senso di queste espressioni.
È stato condivisibilmente osservato che, nel silenzio del testo costituzionale, la fonte alla quale attingere il necessario orientamento non può che essere il legislatore ordinario: questo, infatti, recepisce le interpretazioni più recenti dell’art. 9 e, al tempo stesso, ispira la giurisprudenza2. In questa direzione un contributo di grande importanza è offerto dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), il quale – dopo aver individuato nell’art. 2, comma 3, i beni paesaggistici negli “immobili e … aree … costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge” – specifica con l’art. 131, comma 1, che “per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”. Anche sulla base di questi contributi del legislatore ordinario, la Corte costituzionale – ricorda Nazzicone – ha affermato che la tutela non riguarda solo i singoli elementi, ma l’intero ambiente antropico, il “paesaggio, inteso come morfologia del territorio, cioè l’ambiente nel suo aspetto visivo. In sostanza, è lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale”.
Le indicazioni sulle quali riflettere non sono né poche, né di poco momento.
Innanzi tutto, il codice dei beni culturali conferma il radicamento territoriale del concetto di Nazione, di cui sopra s’è già fatto cenno. Qualsiasi dubbio in proposito – già posto a dura prova dall’esperienza concreta americana, dove la cultura calvinista si è dovuta misurare con le caratteristiche della nuova dimensione continentale3– è disinnescato dall’art. 131 cit., che per più versi è maggiormente esplicito dell’art. 2, anch’esso sopra riportato. L’art. 131, infatti, riprendendo motivi condivisi con l’ordinamento tedesco4, precisa che “il territorio [è] espressivo di identità”. Quest’ultima, che è anelito fondativo del concetto di “Nazione”, inseguita pure da “nazioni” di cui si fa fatica a cogliere la prospettiva storica5, si sottrae all’equivoco di una vaga astrazione, in quanto – prosegue l’art. 131 cit. – “deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”.
Sono, dunque, queste “interrelazioni” tra “fattori naturali” e “fattori umani” il punto focale, dal quale scaturisce l’esigenza risalente, storicamente testimoniata da ciascun gruppo umano, di una identità collettiva.
Ad una analisi attenta, la trama di tali “interrelazioni” si rivela molto concreta: l’uomo esprime i suoi bisogni e il suo modo di essere; regola le condizioni di accesso ai mezzi di sopravvivenza, produzione e sviluppo; agisce sulla natura circostante e costruisce l’esperienza storica; riflette su quest’ultima e su sé stesso, non già in un limbo asettico e atemporale, ma nella concretezza delle esigenze di vita quali si determinano nel confronto col mondo che lo circonda e lo sfida. Di qui, per un verso, l’importanza della dimensione geografico-territoriale-climatica quale elemento conformativo dell’esperienza vitale dei gruppi umani; mentre, per altro verso, questo percorso di sopravvivenza e di (eventuale) sviluppo – scandito dal testimone che ciascuna generazione riceve dalle precedenti e trasmette alle successive – determina l’esigenza di una narrazione culturale complessiva, più o meno idealizzata, più o meno avvolta nel “mito”, nella ricerca di una identità collettiva, tale da fondare il gruppo, garantirne la coesione e così giustificarne il senso e spesso anche le politiche da seguire6: tutto ciò – ci conferma la Costituzione – nell’ordinamento vigente si designa con la parola “Nazione” e – sotto questo profilo soccorre la Corte Costituzionale – è un “valore costituzionalmente tutelato”.
Il “valore costituzionalmente tutelato”: Nazione e Popolo
Nei precedenti rilievi affiora nettamente l’effettivo protagonista della tutela costituzionale predisposta dall’art. 9. Esso è rappresentato da quel “fattore umano”, del quale, quando si trascenda dalla anodina espressione dell’art. 131 cod. beni cult., si scorge subito il legame con il succedersi delle generazioni, presente nello stesso art. 9 a seguito della recente riforma.
È questo l’aspetto decisivo sul piano valoriale: nella Nazione, tutelata dalla Costituzione con l’art. 9, si riflette l’azione umana che si dispiega sul territorio nel corso del tempo, imprimendovi il segno della sua esistenza materiale e dei suoi aneliti ideali e proiettando così nel futuro la testimonianza di sé. Il quadro normativo non lascia dubbi: bene costituzionalmente tutelato è il “fattore umano” che vive e vivifica il territorio, sia a livello locale, sia nel più articolato luogo geografico denominato “Italia”, in cui la Costituzione insedia la Nazione e a cui in più luoghi fa espresso riferimento. Ed ancora: bene costituzionalmente tutelato sono, quindi, gli uomini e le donne, nei quali consiste il Popolo di cui all’art. 1 Cost., che nella Storia inverano la Nazione. La conclusione è evidente: quest’ultima è metafora di quelle donne e quegli uomini, delle loro vicende collettive, delle loro credenze, delle loro azioni, della loro fede, dei loro successi, delle loro sconfitte, dei loro errori. Se si vuole astrarre, si può affermare che il bene costituzionalmente tutelato è lo Spirito attualizzato nel divenire della Storia e riassunto nella parola “Nazione”: un volksgeist, che non è un un’astratta ombra mitica, ma il riflesso concreto di quel “patrimonio storico e artistico”, che continua, pur rinnovandosi, nelle generazioni.
Nazione e cancel culture
Emerge un aspetto di rilevanza primaria e assoluta: il “patrimonio storico e artistico” possiede un valore intrinseco che trascende l’elemento materiale che gli dà corpo. Esso, in realtà, ha un valore simbolico in quanto rappresenta le generazioni passate e la realizzazione della loro umanità attraverso processi e in vista di fini, che possono non essere necessariamente “giusti”, ma che certamente sono “umani” in quanto espressione di esseri umani, con le caratteristiche ed il senso che sopra è stato accennato: la statua di Attila simboleggia un eroe nazionale per gli Ungheresi e un sinonimo di ferocia per gli europei occidentali, ma comunque rappresenta le glorie, le sofferenze, le lotte, le credenze, il sacrificio di esseri umani. Non diversamente, il Colosseo è luogo di celebrazione per alcuni e di morte per altri: per tutti è il segno di un destino.
Questa intrinseca dimensione di umanità, propria del patrimonio storico ed artistico, che l’art. 9 Cost. connota sul piano storico e giuridico sulle coordinate della tutela della Nazione italiana, rende evidente la natura “disumana” della c.d. “cancel culture”, formula oggettivamente ambigua, che qui viene evocata per designare proposte e movimenti diretti alla cancellazione, rimozione ecc. di statue, monumenti, manufatti, libri, scritte relativi ad un passato di cui i gruppi promotori di tali richieste non condividono presupposti, finalità ecc.
Qui non è possibile entrare nel merito della cancel culture, ma è assolutamente necessario evidenziare che sul piano giuridico essa si pone al fuori del quadro costituzionale vigente: ogni disegno di distruzione, rimozione, occultamento del “patrimonio storico ed artistico” è inconciliabile con l’obiettivo costituzionale della “tutela” del patrimonio stesso ed è pertanto costituzionalmente illecito. È invece ammessa una critica teorica ai sensi dell’art. 21 Cost.
“Decisione politica” e cittadinanza
È condivisa tra gli studiosi l’opinione che con la Rivoluzione francese il concetto di “nazione” si sia trasformato da connotato identitario di tutto un popolo a progetto politico mirante alla conquista della sovranità da parte dei ceti e gruppi sociali economicamente e politicamente attivi riuniti in “nazione”, con il risultato che quest’ultima sarà configurata anche nel senso “compiutamente moderno e anticapitalista” di “nazione democratica” (De Fiores). Questa missione di progettualità politica assegnata alla “nazione” si stabilizza nei secoli XIX e XX: la “nazione”, anche quando sarà invocata nella sua accezione tradizionale di connotato identitario di tutto un popolo, sarà comunque associata alla lotta per la conquista dell’indipendenza, o per il dominio, o quale elemento identitario di uno stato, come avvenuto in tempi recenti nell’est europeo.
Su queste premesse, ben si comprende che tentare di depotenziare l’uso nel discorso pubblico della parola “nazione”, affermando che “nazione resta uno dei vocaboli più incerti della modernità”7, equivale a disattendere un tema di rango costituzionale, ricco, per di più, di ricadute di non poco momento, non solo relativamente all’ideologia che (al di là di banalizzazioni strumentali) oggettivamente appare essere alla base della vigente costituzione, ma anche sul piano programmatico delle precise scelte politiche.
In altre parole, si pone il problema di trarre le fila da quanto fin qui detto a proposito dell’idea di Nazione fatta propria in Costituzione onde stabilire come la Costituzione orienti il “rapporto politico tra Stato, Nazione e popolo”8. L’art. 9 Cost. contribuisce a dare una prima risposta: la decisione politica assunta dal legislatore costituzionale è che lo Stato (la “Repubblica”) deve tutelare gli elementi in cui – sempre per espressa previsione costituzionale – si definisce la Nazione quale polo identitario di matrice etnica, storica e culturale degli italiani.
Il riferimento etnico non sembra eludibile; esso è confermato dall’art. 51, che estende la tutela dello Stato anche agli “italiani non appartenenti alla Repubblica”, in tal guisa sottolineando la vocazione “nazionale” della Repubblica delineata dalla Costituzione del 1948 quale soggetto politico del popolo italiano.
L’importanza sotto tale profilo dell’art. 51 Cost. non può essere sottovalutata: l’estensione dei diritti di cittadinanza (o di alcuni di essi) a “non cittadini” è indirizzata di preferenza verso gli “italiani”, ossia a persone aventi caratteri etnico-culturali e linguistici propri della Nazione italiana. Ciò significa che analogo favore non assiste il riconoscimento della cittadinanza a “non italiani”. Ne segue che in questi casi la concessione della cittadinanza non può prescindere dal requisito – costituzionalmente posto – dell’interiorizzazione delle caratteristiche identitarie della nazionalità, la quale è costruita dalla Costituzione come elemento fondativo dello Stato nazionale.
In proposito, un chiarimento può provenire dall’esempio offerto dalle modalità di acquisizione della cittadinanza nell’antica Roma, non già – ovviamente – per riprodurne la disciplina, ma per riflettere sui criteri di fondo. Attraverso la manumissio ciascun privato cittadino poteva far sì che il proprio schiavo acquistasse la (preziosa e prestigiosa) cittadinanza romana nel momento in cui con decisione assolutamente discrezionale lo liberava. Qui non è il caso di evocare i motivi a base di questo peculiare meccanismo giuridico-sociale, che sono probabilmente connessi alle origini, per così dire, “raccogliticce” dei gruppi che si stanziarono nel tempo sulle sponde del Tevere. Quel che qui interessa sottolineare è la straordinaria condizione culturale cui era soggetta la manumissio, la quale era strumento, non già di indiscriminata accoglienza del “diverso”, quanto piuttosto di acquisizione di competenze, culture, forze possedute da “non romani”, dei quali, peraltro, era già stata ampiamente sperimentata la fedeltà e l’aderenza ai principi della res publica9.
Ciò che rende significativo l’esempio romano è che il conferimento della cittadinanza non può scindersi da un’assunzione di responsabilità, la quale, a sua volta, è strettamente connessa all’imperativo di tutelare la Nazione impartito alla Repubblica e alle sue leggi dall’art. 9 e, pertanto, costituisce un momento giuridicamente ineludibile: chi, attraverso l’acquisizione della cittadinanza, entra a far parte della Repubblica non può prescindere dai doveri e dalle responsabilità di rispetto e salvaguardia dello “insieme di caratteri e valori … che definisce la natura profonda [della] collettività politica” (Campi) e, prima ancora, umana e culturale in cui si riconosce la Nazione Italiana.
1 Crisafulli, Nocilla, op. cit., 805 ss.
2 Nazzicone, L’art. 9 della Costituzione.
3 V. De Fiores, Nazione e costituzione, Torino, 2005, 109 s.
4 Cerrina Feroni, Il paesaggio nel costituzionalismo contemporaneo. Profili comparati europei, in federalismi.it.
5 Sono i casi di “nazionalismi senza nazioni” esemplificati da E. Gentile, op. cit.
6 Esempio vistoso di narrazione fondativa politicamente guidata è offerto dalla Bibbia: v. Liverani, Oltre Bibbia. Storia antica di Israele, Roma-Bologna, 2012.
7 Così Belpoliti, Patrioti, nazione e tradimento. Le parole della tradizione missina, in “La Repubblica”, 27 settembre 2022, 9.
8 De Fiores, op. cit., 241.
9 Sul tema v. Capogrossi Colognesi, Storia di Roma tra diritto e potere. La formazione di un ordinamento giuridico, Bologna, 2014.
Consigliere Scientifico del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Già Capo dell'Ufficio Legale di una banca, è attualmente Professore Ordinario di Diritto civile all'Università di Milano-Bicocca. Ha pubblicato sei libri e circa un centinaio di articoli e scritti minori in materia di diritto privato, commerciale, bancario, finanziario.
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