di Daniele Scalea

La libertà di parola è un principio cardine delle democrazie liberali. La troviamo riconosciuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, nella Costituzione italiana, nella Convenzione Europea sui Diritti Umani (CEDU), nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Eppure, non sempre la manifestazione pubblica del proprio pensiero avviene incontrastata – e non ci stiamo certo riferendo alle critiche e risposte di chi è in disaccordo, che a sua volta sta esercitando il sacrosanto diritto di esprimersi. No: il riferimento è ai tentativi di impedire ad altri di parlare in pubblico, tramite la minaccia o l’utilizzo della forza.

Quanto successo lo scorso 25 ottobre nella più grande università d’Italia, allorché la polizia è dovuta intervenire per consentire il regolare svolgimento di un convegno che alcuni estremisti volevano impedire, è uno degli ultimi moniti circa l’attenzione da prestare alla difesa del diritto di parola. Non è stata certo la prima volta che un convegno presso un ateneo italiano ha avuto un contorno di tafferugli tra le forze dell’ordine e “contro-manifestanti” decisi ad impedirne lo svolgimento. La pretesa, propria di certe organizzazioni radicali, di decidere chi possa avere o meno “agibilità politica” è un mal costume purtroppo di vecchia data nel nostro Paese.

Tale vizio antico è però oggi tanto più preoccupante, poiché si salda col sempre più frequente e analogo fenomeno che interessa i campus americani. Ogni volta che qualche relatore “controverso” (parola che, in genere, cela non altro che simpatie di destra) si presenta per intervenire a un convegno organizzato presso un’università, frange estremiste di studenti danno vita a disordini e tumulti pur di evitare che prenda la parola. Uno dei casi più gravi avvenne a febbraio 2017, quando il giornalista conservatore Milo Yiannopoulos fu invitato da alcuni studenti a parlare all’Università di Berkeley, in California. Centinaia di estremisti di sinistra si radunarono per impedire l’evento e, dopo aver provocato danni stimati in 100.000 dollari, riuscirono nel loro intento. Alcuni mesi più tardi fu organizzata una “Settimana della Libertà di Parola” ma, malgrado l’ateneo spendesse centinaia di migliaia di dollari per la sicurezza, la maggior parte degli eventi in programma fu cancellata a causa dei medesimi intolleranti. La situazione era (ed è) così grave che nel 2019 l’allora Presidente Trump emanò un ordine esecutivo che condizionava i finanziamenti federali alle università al rispetto della libertà di espressione.

Purtroppo questa nefasta tendenza non è limitata agli USA, ma è diffusa in varie parti del globo, come dimostrano le cronache e le ricerche sul tema.

Per tale ragione, il Centro Studi Machiavelli ha deciso di dedicare alla questione il suo primo “MachiavelliPolicy”, una nuova serie di policy papers designata a offrire proposte legislative ai decisori.

Nel documento Tutelare la libertà di riunione e manifestazione pubblica del pensiero tramite l’introduzione di un nuovo reato analizziamo come l’attuale legislazione italiana non garantisca un’efficace tutela delle suddette libertà. Attualmente, le turbative violente all’esercizio del diritto di riunione e pubblica manifestazione del pensiero ricadono in una fattispecie residuale di reato qual è la violenza privata, che ha una cornice edittale particolarmente mite nel minimo e rispetto la quale pesa considerevolmente la discrezionalità giudiziale.

LEGGI ANCHE
Il nuovo “vecchio” Afghanistan

Il modo che abbiamo individuato per porre rimedio a queste pecche, nonché per sottrarre la condotta illecita all’ambito di numerosi istituti premiali e deflattivi e per consentire l’anticipazione dell’intervento penale, è quello di istituire il nuovo reato “Violenza o minaccia per impedire riunioni pubbliche o aperte al pubblico”.

Non si tratta di aggiungere proibizioni o criminalizzare pratiche oggi lecite, bensì di contrastare e punire adeguatamente delle condotte già illecite rispetto le quali la legge italiana è attualmente troppo blanda. Si tratta di un’azione doverosa per garantire un diritto sacrosanto – la libertà di parola – senza cui il nostro sistema democratico non può funzionare, né dirsi realmente tale.

L’invito al lettore è a consultare il nostro documento cliccando qui. Il nostro impegno come Centro Studi Machiavelli è quello di diffonderlo il più possibile tra i decisori politici e sollecitarli affinché agiscano concretamente per tutelare i diritti di pensiero, parola e riunione.

Se desiderate partecipare di questo sforzo, potete:

  • effettuare una donazione al Centro Studi per finanziarne l’attività;
  • condividere quest’articolo e il documento (in fondo alla pagina troverete una barra blu con comodi pulsanti per la condivisione automatica);
  • scrivere ai propri rappresentanti in Parlamento, invitandoli a leggere e considerare la nostra proposta. È possibile cercare i parlamentari che vi rappresentano e i rispettivi indirizzi e-mail a questa pagina per la Camera e a questa per il Senato: entrambe permettono di filtrare i risultati per collegio d’elezione.

Nel nostro sito vi terremo aggiornati su come procederà la proposta, ma può essere una buona idea anche quella di iscriversi alla newsletter del Centro Studi Machiavelli.

+ post

Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.