di Nicola De Felice

Gli ultimi sbarchi dalle navi Ong in Italia e in Francia hanno finalmente attivato l’Ue, che ha acceso – obtorto collo – i riflettori sulla rotta del Mediterraneo centrale, dove nel 2022 sono arrivati circa 95.000 clandestini, dei quali solo il 14% di possibili aventi diritto di asilo politico. La maggior parte sono partiti dalla Libia e dalla Tunisia e i più numerosi sono stati gli egiziani (21%), i tunisini (19%) e i bengalesi (15%), con un aumento di oltre il 50% rispetto al 2021, del 70% rispetto al 2020 e del 95% rispetto al 2019. Una tendenza che non promette nulla di buono e che conferma l’aumento esponenziale della migrazione illegale di massa dei cosiddetti migranti economici.

Il piano di azione appena emanato dall’Ue, basato su 20 punti, pur pieno di buone intenzioni appare poco pragmatico, scarsamente incisivo e oggettivamente niente affatto convincente. Insistendo ancora una volta sul concetto astratto di meccanismo volontario di solidarietà, l’Ue dichiara di aver affrontato la tematica attraverso

un’azione mirata con Tunisia, Egitto e Bangladesh intesa a rafforzare la cooperazione nella lotta al contrabbando e azioni mirate lungo le rotte del passaggio dei migranti, con il rafforzamento delle capacità della guardia di frontiera e costiera e con una maggiore cooperazione in materia di rimpatrio e migrazione legale.

Sciaguratamente, i risultati ottenuti non sono stati quelli sperati, visto che i numeri degli sbarchi negli ultimi 4 anni sono in forte incremento così come il proliferare delle basi di partenza anche in Cirenaica e in Turchia. Se questi sono i risultati, ci si domanda dove siano finiti i 580 milioni di euro che l’Ue ha speso o intende spendere per il periodo 2021-2023 nell’ambito della programmazione regionale multinazionale per il sostegno in materia di migrazione in Nord Africa, insieme ai programmi bilaterali con i singoli Paesi.

Due sono le considerazioni da fare: la prima è che non basta elargire denaro ai Paesi terzi per risolvere il problema, ma occorre persuadere i Paesi di transito e di origine ad una cooperazione ben più esemplare, a costo di usare strumenti coercitivi. La seconda considerazione è che la trappola per l’Italia è pronta a scattare, visto il ricatto del Ministro dell’Interno francese Darmarin: la Francia non intende condividere i ricollocamenti dei profughi se l’Italia non accetta di diventare l’unico scalo di alaggio di tutte le navi Ong del Mediterraneo. Ma forse non è chiara all’opinione pubblica una cosa: i ricollocamenti sono riferiti solamente agli aventi diritto di asilo. Quindi, per il 2022 parliamo di non più di 14.000 potenziali profughi che, in teoria, potrebbero essere oggetto di ricollocamento (una parte rimarrebbe comunque in Italia per la percentuale assegnata al nostro Paese) contro gli 81.000 illegali non aventi diritto di asilo che comunque rimarrebbero in Italia e che, se tentassero di varcare i confini alpini, ci verrebbero riconsegnati a Ventimiglia, a Chiasso o al Brennero.

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Altro importante fattore di riflessione è che se mai dovesse andare in porto il concetto di ricollocamento generalizzato in Europa, esso diventerebbe un fattore di attrazione potentissimo, molto superiore al pull factor esercitato dalle navi Ong di fronte alle coste libiche.

In definitiva, se l’Italia abbassasse la guardia accettando di far sbarcare tutti i clandestini delle navi Ong nei suoi porti, pensando poi di ridistribuirli in Europa, vedrebbe da un lato il permanere della stragrande maggioranza degli sbarcati in casa propria e dall’altro aumentare il flusso degli illegali spinti dall’idea di un ricollocamento facile negli altri Paesi europei, cosa che avverrebbe con il contagocce.

Diffidare dunque di ogni forma di ricollocamento se non quello che potrebbe essere garantito dai Paesi del Nord Africa con l’apertura di “piattaforme di sbarco” presso le quali ricondurre i migranti intercettati in mare, per poi instradarli verso l’asilo o il rimpatrio.

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Senior Fellow del Centro Studi Machiavelli. Ammiraglio di divisione (ris.), già comandante di cacciatorpediniere e fregate, ha svolto importanti incarichi diplomatici, finanziari, tecnici e strategici per gli Stati Maggiori della Difesa e della Marina Militare, sia in Patria sia all’estero, in mare e a terra, perseguendo l'applicazione di capacità tese a rendere efficace la politica di difesa e di sicurezza italiana.