di Luca Ruggeri

La ratifica della modifica al trattato del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità, in inglese ESM, European Stability Mechanism) costituisce uno dei temi “caldi” del governo Meloni. Facciamo quindi il punto della situazione cercando di rendere il quadro più intellegibile rispetto al notevole grado di confusione che sembra regnare in materia.

Il MES è operativo da tempo ed è già stato utilizzato a favore di diversi Paesi, da ultimo della Grecia (agosto 2015). Non vi sono stati ulteriori successivi interventi del MES. In particolar modo, benché fortemente sollecitato da alcuni, nessun Paese ha attinto alla disponibilità del MES offerta nel periodo della pandemia nonostante il vantaggio in termini di bassi tassi di interesse e la affermata assenza di condizionalità. È un punto di grande rilievo in quanto ben concretizza la diffidenza che circonda tale istituzione, creatasi soprattutto in considerazione delle modalità di gestione dell’intervento in Grecia, il cui esito finale appare quanto meno discutibile.

La riforma della quale viene chiesta la ratifica non concerne quindi l’attuale operatività del MES bensì l’introduzione di alcune modifiche al trattato internazionale che costituisce la base giuridica del MES. Il MES infatti non rientra nell’ambito della struttura dell’Unione Europea e, dato che la sua fonte è un trattato, è necessario che tutti gli Stati partecipanti al trattato stesso ne sottoscrivano le relative modifiche.

La riforma oggetto delle attuali discussioni è stata ampiamente analizzata nel Dossier del Machiavelli n. 23 del 12 febbraio 2020 e non si possono che ripetere le perplessità già allora illustrate. In estrema sintesi:

  • le nuove norme per l’accesso alle linee di credito precauzionali, presentate come una importante facilitazione, le rendono pressoché inutilizzabili da parte di numerosi Paesi, tra i quali sicuramente l’Italia;
  • viene attribuito al MES il potere di valutare la sostenibilità del debito sovrano, aspetto che in caso di crisi finanziaria assegnerebbe al MES un enorme potere in sede di determinazione e successiva gestione delle inevitabili condizionalità a carico del Paese finanziato;
  • circa la governance del Fondo, la modifica del trattato attribuisce competenze oggettivamente eccessive al direttore generale del MES ponendolo su un piano di eguaglianza rispetto alla Commissione Europea.

I vantaggi della ratifica in oggetto, da un punto di vista meramente tecnico, sono sostanzialmente due.

La riforma prevede l’attribuzione al MES del ruolo di supporto (backstop) al Fondo di Risoluzione Unico delle banche (SRF – Single Resolution Fund) destinato ad essere utilizzato per la risoluzione delle banche in dissesto qualora si siano esaurite le altre opzioni, in particolar modo il bail-in. Lo SRF attualmente dispone di oltre € 60 miliardi e costituisce uno degli strumenti attraverso il quale costruire l’unione bancaria europea, ad oggi frenata da reciproci sospetti tra i diversi Stati. La recente sentenza della Corte costituzionale tedesca, che ha rimosso l’ultimo ostacolo alla ratifica da parte della Germania delle modifiche al MES, si è premurata di evidenziare che, ai sensi dell’art. 123 TFEU, il SRF non può essere finanziato dalla BCE.

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Un ulteriore aspetto di interesse concerne le linee OMT (Outright Monetary Transactions) della BCE, create dal Governatore Draghi, che prevedono l’attuazione di operazioni di acquisto sul mercato secondario di titoli a breve termine di Paesi in difficoltà, definendone quindi data di avvio, durata e fine. Tali interventi possono essere messi in atto solo nei confronti dei Paesi che hanno concordato un processo di risanamento sotto l’egida del MES. Questo aspetto appare però depotenziato dalla recente introduzione da parte della BCE del Transmission Protection Instrument (TPI) volto ad evitare la frammentazione dell’area euro; l’accoglienza dei mercati rispetto al TPI è stata piuttosto tiepida dato che essi si attendevano uno strumento di più agile utilizzo rispetto a quanto presentato dalla banca centrale, ma può risultare comunque di notevole interesse in caso di crisi finanziaria sovrana.

Da parte di chi scrive queste brevi note le perplessità circa la riforma del MES permangono quindi totalmente immutate e lo stesso MES appare come uno strumento superato – come peraltro dimostrato dalle numerose proposte di revisione ipotizzate da più parti. A titolo esemplificativo ricordiamo quanto esposto nell’intervento congiunto dei Presidenti Draghi e Macron, apparso sul “Financial Times” del 23 dicembre 2021, con la proposta di una agenzia europea del debito (di fatto l’ipotesi di un nuovo ruolo da assegnare al MES.

Fermo quanto sopra che fare ora? Appare chiaro che dopo l’assenso alla ratifica da parte di tutti i Paesi sottoscrittori del MES, un rifiuto italiano verrebbe visto come l’espressione della volontà di scontro frontale con l’Europa, atteggiamento che nella situazione attuale non ci sembra rispondere ai nostri interessi nazionali. In questo contesto la pragmatica linea d’azione ipotizzata dalla Presidente del Consiglio (approvare la modifica ma guardarsi bene dall’accedere al MES) appare, a modesto avviso di chi scrive, l’opzione preferibile.

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Ricercatore senior del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Economia, ha lavorato per oltre venti anni presso una grande banca italiana ed attualmente svolge la propria attività quale direttore generale presso un investitore istituzionale.