di Giacomo Guarini

Bomba a orologeria (Piemme, 2022) è l’ultimo libro di Daniele Capezzone dedicato alla delicata situazione politico-sociale italiana, il cui potenziale deflagratorio è parso particolarmente accentuato nel contesto delle emergenze contemporanee – sanitaria e bellica anzitutto. Il testo, andato in stampa prima delle elezioni politiche dello scorso settembre, avrebbe fatto luce sullo “autunno rovente della politica italiana” (come recita il sottotitolo). Nel frattempo il nuovo governo è avviato e l’autunno è passato, ma le riflessioni del libro interrogano con intelligenza il lettore su tematiche che resteranno ancora a lungo di vivida attualità.

Capezzone parte dai concitati giorni della fine del governo Draghi e, al riguardo, si apprezzano non solo le chiavi di lettura politica offerte su quello scenario di crisi, ma anche in generale le incisive riflessioni sulla passata esperienza governativa, con importanti elementi di critica espressi sine ira et studio. Si tratta di un felice quanto raro esempio di discontinuità, se si pensa invece alle narrazioni agiografiche sull’ex premier diffuse presso larga parte del mondo politico, giornalistico e intellettuale nostrano, con tanto di tentativi di raccoglierne l’eredità appellandosi a una fantomatica agenda Draghi (che molti avrebbero brandito per aria come un novello libretto rosso, se solo fosse stata mai redatta).

bomba a orologeria copertina daniele capezzone

La copertina

Fra i tanti temi toccati nel libro, colpisce senz’altro la puntuale critica alle politiche perpetrate – dal governo Conte bis prima e da quello Draghi dopo – in nome della lotta alla pandemia, con azioni fondate su presupposti sbagliati e pervenute a risultati a dir poco discutibili, ed anzi tragici, anche nel confronto con quanto avvenuto in altri Paesi di area occidentale. Si pone quindi attenzione a quell’autoritarismo “pandemicamente corretto” che ha fatto irruzione nella vita dei singoli e nel tessuto sociale e che –senza indulgere a ‘complottismi’ – rischia di consolidarsi come una “versione 2.0 del dispotismo mite” o uno “stato di eccezione leggero permanente”, per usare l’efficace espressione di Lorenzo Castellani, richiamato nel testo assieme ad autorevoli studiosi come il giurista Natalino Irti, che dal canto suo ammonisce sul rischio che il protrarsi dell’emergenza segnali una vera e propria crisi di sistema. Peraltro, proprio certi allarmi mediatici degli ultimissimi giorni in ambito sanitario imporrebbero di tenere alta l’attenzione sul tema.

Rilevano al riguardo i rischi derivanti dall’esercizio di un potere che sfrutta oltremodo le potenzialità dello sviluppo tecnologico-digitale per controllare e limitare la libertà delle persone. Non si fa riferimento solo all’esperienza del pass verde nel nostro Paese, ma anche a singoli accadimenti presso altre realtà occidentali come il Canada, dove – in una vicenda sin troppo sottovalutata nel dibattito pubblico – sono stati bloccati i conti correnti e le donazioni di beneficenza ai camionisti coinvolti nelle proteste pacifiche contro le restrizioni da covid, con il premier Trudeau che non mancava di prospettare ulteriori e pesanti ritorsioni verso la popolazione in piazza. D’altronde l’autore mette in guardia da tendenze alla sorveglianza che pure prescindono dall’emergenza sanitaria e possono nascere anche da progetti apparentemente innocui (come certe iniziative premiali per cittadini virtuosi tramite sistemi di controllo digitale), che rischiano di fare da apripista a un inquietante sistema di credito sociale. L’Autore osserva quindi in generale come vengano a profilarsi anche in Occidente forme sempre più intrusive di biosorveglianza e trattamenti intolleranti nei confronti del dissenso.

Passando ad altri temi, paiono degne di nota le riflessioni ‘demitizzanti’ del testo su tematiche di rilievo internazionale e di grande impatto per le finanze pubbliche. Capezzone richiama ad esempio le perplessità già espresse – anche da altri autori come Andrea Venanzoni – in merito al fatto che per l’attuazione del Recovery Plan sia stato costituito un binario giuridico del tutto distinto dall’architettura costituzionale, “una specie di corsia preferenziale rispetto alla quale non solo il Parlamento ma perfino il Consiglio dei ministri è poco più di uno spettatore”. E così, guardando al PNRR, l’autore osserva che “per tutto quest’anno abbiamo sentito dire che si doveva fare una certa cosa per avere i soldi del PNRR, e per i prossimi ci sentiremo dire che si dovrà fare una certa altra cosa per restituire i soldi del PNRR”; senza contare che tale indebitamento è effettuato facendosi dettare da altri i binari su cui utilizzare le risorse. Ancora, restando ad argomenti attuali e oggetto di rinnovato dibattito negli ultimi giorni, l’autore si sofferma sulle criticità implicite al MES, anche nella sua versione “riformata”.

L’articolato aggregato di problematiche richiamate in Bomba a orologeria non è esaminato solamente nella pars destruens; l’Autore avanza anche proposte costruttive di ampio respiro, che coniugano pregevolmente sintesi, chiarezza, lucidità e profondità di esame. Tali qualità fanno apprezzare un fecondo confronto di idee nella lettura del libro pure da parte di chi – come il sottoscritto – resta alquanto distante dall’Autore anche in alcune tesi ‘cardine’ del testo.

Con riguardo al contesto internazionale, Capezzone resta intransigentemente ‘ostile’ ai regimi cinese e russo ed invero spiace a chi scrive che le riflessioni sulle possibili relazioni con Pechino, Mosca e altre importanti realtà di area (euro-)asiatica non trovino qualche sfumatura più ‘problematizzata’ e meno netta. Con specifico riguardo alla Russia di Putin, l’Autore ovviamente non lesina alcuna critica per la guerra in Ucraina e nondimeno resta lontanissimo da certa retorica semplicistica (quando non infantile) che ha caratterizzato l’approccio a tale crisi soprattutto all’erompere del conflitto. E così, anche al di là delle ricordate battute infelici e controproducenti dell’élite politica (la draghiana scelta fra pace e condizionatore acceso oppure il “prendi questo, Putin!” da pronunciare quando si chiude l’acqua calda secondo la commissaria UE), l’Autore evidenzia la natura di diverse delle problematiche connesse alla crisi, che in realtà spesso trovano radice diversa e lontana dal conflitto (ad esempio le politiche energetiche condotte a livello nazionale ed europeo oppure l’impennata inflazionistica che si andava profilando già prima della guerra).

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Più in generale poi, sulla collocazione pienamente “atlantista” del Paese, l’Autore porta ragioni a sostegno delle opportunità che l’Italia potrebbe cogliere da una partnership strategica più ‘convinta’ con gli USA, da cui possano derivare per contropartita maggiori margini di manovra del nostro Paese nel Mediterraneo, per riguadagnare posizione in questo suo naturale contesto geografico (anche nella fondamentale sfida legata alle rotte energetiche), evitando pure di restare schiacciato da una politica europea egemonizzata da interessi tedeschi e francesi. Andando quindi allo specifico contesto europeo, l’Autore sottolinea come l’Italia potrebbe far sentire la sua voce in merito a diverse importanti criticità e considera invero anche l’ipotesi di uscita dalla compagine europea, ma questo solo come “piano B”, e cioè non quale obiettivo da perseguire ma solo come eventuale incidente a cui essere preparati. La considerazione è avanzata senza voler suscitare particolare scandalo, sebbene – osserva l’Autore – oramai si viva alla giornata su tutto e si consideri normale non avere un piano B in ambito pandemico, energetico, monetario…

Diverse poi le idee diffusamente espresse sulle ricette economiche, di impostazione liberale, spesso legate all’abbattimento delle tasse (che pare quasi – forse troppo convintamente? – una misura palingenetica per l’Autore). Così come alcune specifiche proposte quale quella, ben dettagliata e strutturata nel testo, legata alla vendita di asset immobiliari pubblici, con la precisazione che si tratta di una proposta che non vuole lontanamente ripetere le ‘svendite’ di patrimonio pubblico dei primi anni ‘90.

Vi è poi l’attenzione a personalità interessanti su cui in qualche modo poter scommettere nell’evoluzione degli scenari internazionali. Fra queste, Ron DeSantis, governatore repubblicano della Florida distintosi anche per una equilibrata gestione dell’emergenza sanitaria incentrata su un ragionevole e riuscito tentativo di convivere col covid senza l’adozione di iniziative oltremodo drastiche. O ancora Elon Musk, figura interessante ed eterodossa (e magari – si osserva qui per inciso – anche controversa, ma per motivi ben lontani da quelli normalmente indicati dalla vulgata dem). Certamente, fra le altre cose, il suo acquisto di Twitter ha scompaginato carte e creato curiosi cortocircuiti, peraltro facendo emergere – anche negli ultimi giorni – ulteriori elementi di rilievo in merito a una pregressa non trasparente gestione del social su questioni di particolare peso politico (quali la chiusura del profilo di Trump, così come la censura di notizie compromettenti su Biden jr o di post in contrasto con la vulgata ‘pandemica’).

Emerge peraltro dal testo una pars costruens che non si fonda solo sulla scommessa in favore di certe personalità di spicco del nostro tempo e che si basa invece sulla circolazione ‘dal basso’ delle idee, e quindi di parola e pensiero, considerati strumenti fondamentali per costruire maggioranze, o almeno per dare dignitosa rappresentanza alle minoranze. Ciò anche con riviste, testate online, piccoli e meno piccoli centri studi e think tank, che possano fungere da punti di riferimento minimi e luoghi di aggregazione per visioni del mondo alternative.

Numerosi altri sono gli elementi di interesse del libro che interrogano con una visione lucida e mai scontata sull’attualità, se si pensa ad esempio a certi sagaci riferimenti ai nuovi mantra green e sostenibili, nonché al fenomeno woke e alla ‘iconoclastia’ della cancel culture (di cui peraltro l’Autore stesso potrebbe essere considerato ‘vittima’, avendo a mente proteste e scontri che gli hanno impedito di intervenire a un convegno organizzato in Sapienza lo scorso ottobre).

In conclusione, la lettura di Bomba a orologeria è senz’altro consigliata a chi – anche con diversità di vedute – cerchi di coltivare un libero e fecondo confronto su interrogativi che assumono particolare rilevanza e urgenza nell’attuale momento storico e che – per restare in tema – necessitano di essere ‘disinnescati’ quanto prima, se possibile pure grazie a una maggiore e diffusa consapevolezza di certe problematiche presso la società civile.

Avvocato, laureato in Giurisprudenza (Università Roma Tre) e dottore di ricerca in Diritto Romano, Teoria degli Ordinamenti e Diritto Privato del Mercato (Università Sapienza), è autore di diverse pubblicazioni su diritto e politica internazionale.