Essere parte di una comunità implica necessariamente il riconoscimento, così come l’accettazione, delle differenze. Solitamente, nelle società occidentali, è la scuola il luogo dove incomincia il processo di familiarizzazione con le differenze tra individui. Le diversità che possono emergere tra i bambini, in una società occidentale, sono molteplici. Dalla cultura di origine al colore della pelle, dalle credenze religiose alle abitudini alimentari sono molte le linee di faglia che dividono gli alunni e la scuola stessa ne crea di nuove quando alcuni studenti si scoprono, per le più varie ragioni, più bravi di altri.
Livellare verso il basso
Le cose però si complicano negli ordinamenti che, quasi per vocazione, si qualificano come allergici al concetto di merito. In Francia, dove la parola égalité fa parte del motto nazionale da oltre duecento anni, lo Stato non dichiara di limitarsi a garantire pari possibilità di apprendimento ma assume un ruolo attivo per quanto riguarda l’eguaglianza.
Per la tradizione politica transalpina l’eguaglianza non è qualcosa di dato per assodato una volta per sempre: ad un’eguaglianza di fronte alla legge, acquisita alla nascita con la cittadinanza, deve corrispondere un’eguaglianza quotidiana all’interno della nazione, tutta da costruirsi tramite l’educazione e la formazione di ogni singolo cittadino. Poiché il livellamento verso il basso risulta sempre più semplice di quello verso l’alto, sistemi scolastici come quelli dell’Esagono, retti cioè da uno Stato fortemente interventista in chiave egualitaria, si dimostrano altamente vulnerabili sia per quanto riguarda la demolizione della vecchia scuola “nozionistica” sia per quanto riguarda la massificazione tramite l’introduzione, all’interno dei programmi scolastici, di dottrine care all’attuale pensiero unico. Poiché i provvedimenti mirati a rendere più “inclusiva” la scuola spesso si rivelano funzionali anche alla destrutturazione delle competenze, ciò ha fatto sì che anche in Francia le nuove tendenze della pedagogia creativa abbiano fatto breccia con effetti devastanti sull’apprendimento.
Più capaci o più fortunati?
Ultima tra le folate che spirano dalle vallate del progressismo è la proposta del pedagogista Louis Maurin, direttore dell’Osservatorio sulle Ineguaglianze (Observatoire des inégalités), che si fa portatore di una battaglia a primo avviso insolita: l’innalzamento dell’età di apprendimento della lettura.
Quale la tesi proposta dal promotore? L’ovvia ineguaglianza tra gli alunni delle scuole elementari, alcuni più dotati altri meno, sarebbe figlia nientemeno che di una diseguaglianza sociale a monte dell’entrata nella scuola. Fin qui niente di nuovo, ma la diagnosi del “problema” scende più in profondità. La diseguaglianza, per Maurin, nasce dalla possibilità dei genitori di alta estrazione sociale di insegnare a leggere ai loro figli prima dell’entrata nella scuola primaria: i figli dei ricchi, in buona sostanza, arriverebbero a scuola già alfabetizzati e dunque con un netto vantaggio nell’apprendimento rispetto ai bambini nati in famiglie di immigrati o delle classi più disagiate. La soluzione? Sempre la solita: livellare verso il basso, innalzando l’età di apprendimento della lettura dai sei ai sette anni. A sei anni a cosa serve – si domanda Maurin – saper leggere?
Una proposta “autorevole”
La proposta può far sorridere fino a che non si scopre che Louis Maurin non è un bislacco pedagogista creativo che espone le sue teorie dal salotto di casa, bensì una delle più autorevoli fonti, in materia di educazione, in tutto l’Esagono. L’Osservatorio sulle ineguaglianze è infatti un’associazione convenzionata con la pubblica amministrazione (e da essa finanziata), e raduna nel suo consiglio scientifico il fior fiore delle autorità accademiche d’oltralpe in ambito sociologico, economico e filosofico, le cui analisi sono spesso riprese da “Le Café pédagogique”, portale popolarissimo e vero opinion maker per molti insegnanti francesi.
La proposta di Maurin, dunque, non consiste in una trovata estemporanea ma in un nuovo e preciso capitolo della destrutturazione delle capacità cognitive che la scuola dei Paesi occidentali sembra perseguire quasi intenzionalmente. Giustificare tutto ciò con il paravento dell’eguaglianza, nonché dell’onnipresente antifascismo, è una follia che non ha mancato di attirare l’attenzione di “Marianne”, settimanale schierato fortemente a sinistra ma mai tenero con le mode woke, spesso considerate, da una vasta parte di francesi, tendenze culturali americane estranee alle radici razionaliste della République.
Voci contrarie, anche da sinistra
In un editoriale firmato da Natacha Polony si ritrovano considerazioni di sapore repubblicano che non sono nuove all’opinione pubblica francese e che sono già state espresse in passato da intellettuali come Pascal Bruckner: l’eguaglianza deve essere un beneficio secondario dell’istruzione e non il suo primo obbiettivo. Per Polony, infatti, il compito principale di un’istruzione laica e repubblicana deve essere quella di fornire nozioni in grado di creare uomini liberi, non di far sparire le ineguaglianze “par magie”, tanto più che, come lo stesso Maurin riconosce, le famiglie borghesi non cesserebbero certo di insegnare ai loro figli la lettura precoce. La scuola, per Polony, ha il compito di fornire competenze che sarà poi il merito a dover premiare.
Vediamo dunque che, come recita l’adagio, tutto il mondo è paese, e il dibattito su quale istruzione vogliamo per il nostro futuro si sta attorcigliando, perlomeno in Occidente, proprio attorno al concetto di merito, che per alcune scuole pedagogistiche non sarebbe altro che il paravento atto a nascondere i privilegi di classe di una non ben specificata “borghesia”.
La vera inclusività è meritocratica
Come ricorda Polony, si tratta di teorie vecchie, come ad esempio il costruttivismo pedagogico (secondo il quale è il bambino a costruirsi da solo i saperi di cui ha bisogno) già ampiamente diffuse negli anni della contestazione giovanile, e che sembrano aver trovato nuova linfa dall’eruzione woke proveniente da oltreoceano, ossia da quella che in Francia, e non solo, passa per la patria della diseguaglianza per antonomasia.
Ironicamente, sembra che persone come Maurin non riescano vedere la trave nei loro occhi: come cioè la destrutturazione della scuola “nozionistica” non fornisca alle classi popolari uno strumento di emancipazione, al contrario, le priva forse del più fondamentale.
Del resto, non sono da sempre le aristocrazie le più acerrime nemiche del merito?
Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.
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