di Luca Ruggeri
L’Africa è divenuto uno dei campi di battaglia dello scontro tra le tre principali potenze mondiali (USA, Cina e Russia), ove peraltro anche la Francia cerca di mantenere una, sempre più malconcia, presenza.
Cina e Russia in questi anni hanno significativamente ampliato la propria presenza nel continente africano ma utilizzando strumenti assai diversi. Mentre la Russia ha cercato di trarre vantaggio dal proprio disinvolto uso della forza, in particolar modo con l’impiego dei contractors della compagnia privata Wagner, la Cina ha preferito scegliere l’opzione finanziaria.
In un precedente articolo avevamo dato conto delle notevoli dimensioni dei finanziamenti cinesi nei confronti dei Paesi del terzo mondo e delle loro caratteristiche. Uno studio accademico, basato su un valido data-base, evidenziava infatti che i contratti bilaterali, tra soggetti cinesi e Paesi in via di sviluppo, sono caratterizzati da clausole molto opache che assicurano ai creditori cinesi una posizione di vantaggio rispetto agli altri creditori e diritti nei confronti dei debitori che talora hanno poco a che vedere con i soli aspetti finanziari, al punto che alcuni commentatori si esprimono in termini di “trappola del debito” ai danni dei paesi debitori. Considerazione ormai ampiamente accolta dalla leadership statunitense tanto da essere stata utilizzata, con riferimento all’attività cinese, dalla stessa Segretario di Stato, Janet Yellen, di fronte alla Camera dei Rappresentanti lo scorso marzo.
Fermo restando il palese fine espansionistico di tali operazioni, non ci si poteva non chiedere quale sarebbe stato il comportamento cinese di fronte alle difficoltà dei debitori anche in considerazione dell’inevitabilità di tale situazione, visti i grandi importi degli interventi e le fragilità delle economie interessate (un caso per tutti: il Montenegro e l’autostrada realizzata con finanziamenti cinesi per un importo impossibile da restituire viste le dimensioni dell’economia montenegrina).
Un recentissimo studio intitolato China as an International Lender of Last Resort prodotto da quattro autori (S. Horn – World Bank, B. C. Parks – AidData, C. M. Reinhart – Harvard Kennedy School e C. Trebesch – Kiel Institute for the World Economy) fornisce una chiara rappresentazione degli interventi cinesi a fronte delle crisi dei propri debitori, con stime puntuali circa le dimensioni del fenomeno.
Lo studio in oggetto stima in 240 miliardi di dollari, nel periodo 2000-2021, gli interventi cinesi a sostegno di 22 Stati in difficoltà, con una forte accelerazione negli anni 2016-2021, che coprono 185 miliardi di dollari del totale, a fronte della crescita dei crediti cinesi verso Paesi in via di sviluppo.
Le conclusioni evidenziano il fatto che la Cina ha assunto il ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti di un nucleo di Paesi, di fatto quindi realizzando un proprio sistema finanziario che si pone in concorrenza con l’attività fino ad oggi svolta essenzialmente dagli USA e dal Fondo Monetario Internazionale. Ancorché i numeri espressi dalla Cina in questo settore non possano competere con quelli di USA e FMI, va rilevato come l’attuale assetto internazionale sia la formalizzazione delle attività di supporto svolte dagli USA negli anni ’30 e dopo la Seconda Guerra Mondiale, ponendo quindi il dubbio che la Cina intenda perseguire la medesima strada per l’istituzionalizzazione del proprio operato.
Si possono estrapolare numerosi spunti e riflessioni dallo studio; chi scrive vi sottopone alcuni punti:
- gli Stati considerati nello studio sono 22 e la loro lista ben rappresenta gli interessi politici cinesi, comprendendo certamente Stati in via di sviluppo ma anche Stati a medio reddito; i maggiori beneficiari degli interventi cinesi considerati nello studio sono infatti Argentina, Mongolia e Pakistan;
- le caratteristiche delle operazioni sono la mancanza di trasparenza degli accordi bilaterali, in linea peraltro con le modalità di finanziamento cinesi, ed un costo, per il debitore, superiore ad analoghe operazioni svolte da altri soggetti;
- l’ampio utilizzo di linee swap concesse dalla banca centrale cinese sono propagandate come espressione della crescita della valuta cinese nell’economia internazionale ma, di fatto, strettamente legate alla situazione di difficoltà dell’altro Paese parte dell’accordo. Tali linee hanno il vantaggio di non apparire come debito, aumentano le riserve lorde della banca centrale fornendo quindi una immagine assai più positiva della sua capacità di fronteggiare il debito in valuta estera (per chiarimenti contattare la banca centrale turca, alla quale lo studio attribuisce, nel giugno 2021, l’utilizzo di una linea swap per 5,5 miliardi di dollari). Un ulteriore aspetto che rende appetibile tale modalità di supporto è dato dal fatto che gli utilizzi delle linee tra banche centrali generalmente non vengono resi pubblici, contribuendo quindi alla mancanza di trasparenza che caratterizza le modalità operative cinesi;
Se l’Africa costituisce uno dei continenti che hanno visto il maggior attivismo finanziario cinese, con le modalità sopra rappresentate, ed è il campo di battaglia tra USA, Cina e Russia, lo studio descritto costituisce una interessante fonte di informazioni e rivela i punti di forza ma anche i limiti dell’intervento cinese in alcuni Paesi.
Ricercatore senior del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Economia, ha lavorato per oltre venti anni presso una grande banca italiana ed attualmente svolge la propria attività quale direttore generale presso un investitore istituzionale.
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