di Giovanni Chiacchio

La nostra attuale società è perennemente votata all’inseguimento di un supposto progresso consistente nella distruzione di ogni forma di tradizione, nella cancellazione della memoria storica e nell’adozione di un modus vivendi incentrato sul consentire all’individuo di poter essere ciò che vuole senza alcun limite. Essa tende a considerare il conservatorismo come un’ideologia incentrata sul rigettare acriticamente ogni forma di cambiamento al fine di ancorare la società a valori appartenenti ad un passato apparentemente orribile e meritevole di oblio e rigetto. Tale assunto risulta però profondamente errato, l’obbiettivo del conservatorismo è infatti quello di garantire un cambiamento graduale ed organico, che tenga conto della tradizione e impedisca l’insorgere di conseguenze negative dall’adozione di tali cambiamenti, il suddetto obbiettivo è perfettamente sintetizzato dal primo ministro britannico e leader del Partito Conservatore Robert Arthur Talbot Gascoyne-Cecil nella sua celebre frase: “ll conservatorismo consiste nell’impedire alle cose di accadere finché non siano prive di pericoli”. Il concetto di “cambiamento” inteso nel senso conservatore del termine viene trattato in maniera superba dal grande scrittore americano Peter Viereck.

La Nazione come argine all’autocrazia

Nato nel 1916, Peter Viereck era figlio di George Sylvester Viereck, un poeta tedesco-americano fortemente germanofilo espulso dalla Poetry Society of America nel 1919 e successivamente imprigionato durante la Seconda guerra mondiale per aver violato il Foreign Agents Registration Act. Il giovane Peter seguì le orme del padre sul lato professionale divenendo anch’egli un poeta, ma non le seguì sul piano ideologico, anzi fu proprio l’estremismo politico del padre che contribuì in maniera decisiva a plasmarlo come conservatore. Nel suo meraviglioso articolo “But I’m a Conservative!” egli asseriva che il conservatorismo includesse la conservazione del patrimonio culturale e spirituale di una società, quest’ultimo rappresentava la barriera di cui ogni movimento di massa dovesse tener conto affinché tutti possano essere liberi. Il patrimonio culturale e spirituale di una nazione costituiva quindi nell’ottica di Viereck un efficace limite alle tendenze politiche più estreme, nonché un utile deterrente contro l’autocratizzazione politica tanto comune nel periodo. Nel suddetto articolo viene sintetizzata la sua opposizione al nazismo e ad ogni forma di estremismo, Viereck contestava la natura utopica di ideologie totalitarie il cui obbiettivo era rappresentato dall’eliminazione di ogni ostacolo ad una società perfetta, poiché egli asseriva che il liberalismo fosse caratterizzato da una simile (sia pur più mite) visione del mondo, esso risultava inadeguato a contrastare ideologie politiche estreme e totalitarie, ruolo al quale invece era naturalmente preposto il conservatorismo.

Il concetto di conservatorismo inteso come cambiamento graduale organico e prudente volto ad impedire potenziali destabilizzazioni derivanti dai suddetti cambiamenti viene espresso da Viereck nel suo capolavoro Conservatism Revisited, in particolare nel capitolo Conservative way to Freedom. Uno degli elementi centrali dell’opera è il confronto tra il processo di riforma attuato dal Regno Unito nel corso dell’Ottocento, il quale consentì di preservare in gran parte la stabilità del Regno e del suo impero d’oltremare e il fallimento nell’attuazione di riforme istituzionali nell’Impero Austriaco che contribuirono in modo decisivo a trascinare l’Europa nel baratro delle rivoluzioni del 1848 mettendo contestualmente in moto gli eventi che avrebbero portato allo scoppio della Prima guerra mondiale. Elemento centrale dell’analisi è la figura del cancelliere austriaco Klemes Von Metternich, secondo Viereck, Metternich rappresentava perfettamente l’atteggiamento conservatore verso il cambiamento, ricercando la stabilità e non l’immobilità, tale atteggiamento viene sintetizzato dal suo tentativo di perseguire una riforma istituzionale volta a stabilizzare l’Impero asburgico, costituito da numerose nazionalità differenti, il quale svolgeva un ruolo fondamentale nel mantenere l’equilibrio di potere nel continente europeo. Già nel 1817 quando ancora svolgeva l’incarico di ministro degli Esteri Metternich prevedendo possibili destabilizzazioni derivanti dalle rivolte delle varie nazionalità facenti parte dell’Impero presentò una proposta di riforma istituzionale finalizzata al decentramenti delle competenze amministrative volto a creare un parlamento con funzioni consultive in parte eletto dalle varie province dell’Impero e in parte nominato dall’Imperatore e la creazione di quattro cancellerie autonome, una per l’Italia, una per le aree tedesche, una per gli slavi di Boemia e Polonia e una per gli slavi del sud. La riforma di Metternich tuttavia rimase in gran parte inapplicata, egli venne nominato Cancelliere nel 1821 e in virtù della sua indiscussa abilità diplomatica divenne l’uomo centrale per il mantenimento dell’equilibrio di potere in Europa, tuttavia, l’Imperatore pur seguendo i suoi consigli in politica estera, ignorò tutti quelli rivolti agli affari interni, cosa di cui Metternich si sarebbe lamentato molto in seguito. Di fronte alla rivoluzione francese del 1830, passata alla storia come “Rivoluzione di luglio”, i timori di Metternich circa una possibile rivolta nell’Impero si ripresentarono, inducendo il Cancelliere a presentare nel 1832 una proposta volta a trasformare l’Impero Austriaco in una monarchia costituzionale.

No stabilization without rapresentation

Nell’ottica di Metternich la monarchia asburgica avrebbe dovuto rappresentare il simbolo dell’unità nazionale in grado di coagulare la fedeltà delle varie nazionalità sotto la giurisdizione dell’Impero, ma essa avrebbe dovuto essere bilanciata da un sistema costituzionale che ne limitasse i poteri, favorisse il decentramento e tenesse in considerazione i mutamenti sociali avvenuti negli anni precedenti. L’Imperatore Francesco I tuttavia decise di non avallare il progetto di Metternich che ancora una volta rimase lettera morta. Viceversa, nello stesso anno il processo di riforma nel Regno Unito ebbe esiti ben differenti. Al tempo la Camera dei Comuni britannica risultava molto poco rappresentativa dell’elettorato nazionale, in quanto buona parte dei seggi risultava espressa da piccolissime comunità spesso preda dei locali uomini d’affari in grado di corrompere l’elettorato locale (i cosiddetti “rotten boroughs”) mentre le grandi città sorte a seguito della Rivoluzione Industriale erano sottorappresentate. La proposta di adottare una riforma elettorale venne portata avanti dal partito Whig guidato da Charles Grey, allora all’opposizione, la presentazione della proposta provocò la caduta del governo Tory guidato dal Duca di Wellington che si divise circa l’approvazione della proposta. Charles Grey venne quindi nominato primo ministro e presentò ufficialmente la proposta alla Camera dei Comuni che la respinse. Mostrando una lungimiranza nettamente superiore rispetto all’imperatore Francesco, il monarca britannico Guglielmo IV di fronte alle forti pressioni dell’opinione pubblica accettò di indire nuove elezioni che videro una forte affermazione dei Whig. Il secondo tentativo di approvazione della proposta ebbe esito positivo alla Camera dei Comuni, ma venne respinto dalla Camera dei Lord, tale atto generò diffusi disordini in tutto il paese e si arrivò a temere una vera e propria rivoluzione. Di fronte alla prospettiva di una rivolta popolare, il Duca di Wellington inviò una lettera ai membri del partito Tory alla Camera dei Lord chiedendogli di supportare la legge in virtù delle terribili conseguenze che sarebbero derivate dalla sua mancata approvazione.

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Il Representation of the People Act 1832 (noto anche come Reform Act) venne quindi approvato dal Parlamento e ricevette l’assenso reale il 7 giugno 1832, tale provvedimento allargò l’elettorato da circa 400.000 individui a 650.000 rendendo idoneo al voto circa un individuo di sesso maschile su cinque ed eliminò molti dei rotten boroughs. Il Reform Act rappresenta ancora oggi uno dei massimi esempi del “cambiamento graduale ed organico” portato avanti dal conservatorismo, esso infatti tenne in considerazione i cambiamenti sociali derivanti dalla Rivoluzione Industriale garantendo un’adeguata rappresentanza alle grandi città sorte a seguito di tale fenomeno senza tuttavia alterare il sistema istituzionale vigente e preservando il ruolo della monarchia come simbolo dell’unità nazionale, i termini della legge vennero estesi anche alle minoranze facenti parte del Regno Unito attraverso due provvedimenti appositi per Irlanda e Scozia. Il Reform Act contribuì a stabilizzare la situazione politica del paese impedendo quest’ultimo sprofondasse nel baratro delle Rivoluzioni del 1848.

In seguito il cancelliere dello Scacchiere (e successivamente primo ministro) conservatore Benjamin Disraeli avrebbe proseguito su tale strada approvando un nuovo Reform Act nel 1867, tale provvedimento conferì il diritto di voto a gran parte degli uomini adulti del paese. Similmente a quanto avvenuto nel 1832, Disraeli preservò il ruolo della monarchia britannica come simbolo dell’unità nazionale e lasciò intatto il sistema istituzionale preesistente trasformando contestualmente il Parlamento britannico in un organo rappresentativo della nazione e non delle classi sociali più agiate, segnando un decisivo passo verso la democrazia pur tenendo conto delle istituzioni e delle tradizioni della nazione. Viceversa, il fallimento nel riformare il sistema istituzionale austriaco condusse ad una progressiva destabilizzazione dell’Impero che nel 1848 fu sconvolto da una violenta rivolta estesa sia tra le minoranze al suo interno, si tra la stessa popolazione austriaca. La spietata repressione (a cui ancora una volta non fece seguito un necessario cambiamento del sistema) e la cacciata del cancelliere Metternich che determinò la fine della sua politica estera prudente, segnarono il definitivo allontanamento delle minoranze dal governo di Vienna e il progressivo venir meno degli equilibri internazionali di cui l’Impero Austriaco era al centro.

Tali processi trovarono compimento nella sconfitta austriaca nella Seconda guerra d’Indipendenza Italiana, che ebbe come conseguenza la progressiva formazione di uno Stato nazionale italiano che continuò ad esercitare rivendicazioni territoriali sui possedimenti austriaci nel nordest della penisola. Tali rivendicazioni si unirono al sentimento nazionalista tedesco mirante ad estromettere l’Austria dalla Confederazione Germanica e a costruire un nuovo Stato tedesco sotto la guida della Prussia. Costretta ad una guerra su due fronti l’Austria andò incontro alla disastrosa sconfitta di Sadowa che sancì la fine definitiva degli equilibri sorti nel Congresso di Vienna. Battuta l’Austria il nazionalismo tedesco si rivolse verso la Francia, la cui sconfitta era essenziale al fine del conseguimento dell’unità nazionale tedesca. L’immediata conseguenza della Guerra franco-prussiana fu la nascita di un forte sentimento di ostilità da parte della Francia nei confronti del nuovo Impero tedesco, la cui progressiva ascesa avrebbe poi spinto la Gran Bretagna a riavvicinarsi alla Francia nell’ambito del cosiddetto Entente Cordiale che gettò le basi per la formazione della Triplice Intesa. Allo stesso tempo, le tensioni etniche interne all’Impero austriaco, in particolare nelle regioni slave meridionali, proseguirono anche a seguito della sua profonda metamorfosi istituzionale nel 1867, determinando l’insorgere di tensioni tra il governo di Vienna e la Serbia, tensioni che costituirono la miccia che farà esplodere il più devastante conflitto che l’Europa avesse mai visto fino a quel momento.

Il conservatorismo? Un riformismo accorto

L’intento perseguito da Viereck attraverso il confronto tra le riforme istituzionali inglesi e l’immobilismo austriaco è proprio quello di mostrare la differenza tra il conservatorismo inteso come cambiamento organico e graduale e il reazionarismo. Mentre il bieco reazionarismo genera progressivamente instabilità dovuta al mancato adattamento del sistema alle nuove esigenze sociali, il cambiamento inteso nel senso conservatore del termine comporta la preservazione della stabilità e la marginalizzazione dell’estremismo politico, tramite la preservazione della cultura nazionale, delle tradizioni e del sistema istituzionale, il quale non viene alterato significativamente ma adattato progressivamente alle nuove esigenze frutto degli inevitabili cambiamenti sociali. Una forma di cambiamento che la nostra società, dominata dalla ricerca di un domani perfetto derivante dell’eliminazione di ogni elemento che osti a questo obbiettivo, dovrebbe forse riscoprire.

giovanni chiacchio
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Laureando in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, ha conseguito come borsista il master “Leadership per le relazioni internazionali e il Made in Italy” presso la Fondazione Italia USA e ha frequentato l’accademia estiva della Heritage Foundation. Scrive per vari blog. I suoi campi sono le relazioni internazionali, gli studi strategici e il conservatorismo di matrice anglosassone.