di Pier Paolo Poggioni

Con il Regolamento 2020/2092 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2020, è stato introdotto un principio invero dirompente, stante la sua impostazione. Assumendo che lo stato di diritto è uno dei valori fondanti dell’Unione Europea, il relativo rispetto è – tra gli altri – imprescindibile per la sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione e per l’uso efficace dei suoi finanziamenti. Sulla base di tale considerazione, il Regolamento ha introdotto un ulteriore livello di protezione nei casi in cui le violazioni dei principi dello stato di diritto pregiudichino o possano ledere gli interessi finanziari dell’UE. Ciò è stato ottenuto attraverso un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio della UE. Questo meccanismo consente all’UE di adottare misure come la sospensione dei pagamenti o rettifiche finanziarie a tutela del bilancio. Contemporaneamente, vi è la previsione che i destinatari finali e i beneficiari dei fondi dell’Unione dovrebbero continuare a ricevere i pagamenti direttamente dagli Stati membri interessati. È previsto che le predette misure di salvaguardia possano essere proposte solo se la Commissione constata che le violazioni dei principi dello Stato di diritto incidono direttamente o rischiano seriamente di compromettere la sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione o degli interessi finanziari dell’Unione in modo sufficientemente diretto. Tale dirompente strumento svolge una funzione integrativa rispetto ad altri meccanismi di tutela del bilancio UE (per esempio, gli audit, le rettifiche finanziarie o le indagini dell’Ufficio Antifrode dell’UE, OLAF).

I ricorsi di Polonia e Ungheria

Avverso a tale Regolamento, Polonia e Ungheria presentavano avanti alla CGUE un ricorso di annullamento ex art. 151, paragrafo 1, del regolamento di procedura per ritenuta violazione, tra gli altri, del principio della certezza del diritto.

In relazione alla ritenuta violazione del principio della certezza del diritto, la Polonia, sostenuta dall’Ungheria, affermava che il regolamento non rispetta i requisiti di chiarezza e di precisione derivanti dal principio della certezza del diritto in quanto tale regolamento non precisa chiaramente i requisiti che devono essere rispettati dagli Stati membri per poter conservare i finanziamenti provenienti dal bilancio dell’Unione loro concessi e conferisce alla Commissione e al Consiglio un potere discrezionale troppo ampio . Porrebbe difficoltà a tale riguardo, in primo luogo, la nozione di «stato di diritto», quale definita all’articolo 2 lettera a), del regolamento impugnato. Tale nozione non potrebbe, per principio, essere oggetto di una definizione universale poiché conterrebbe un numero non tassativo di principi il cui senso può differire da uno Stato all’altro, a seconda delle sue caratteristiche costituzionali o delle sue tradizioni giuridiche specifiche.

Le sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 16 febbraio 2022

In ordine a tali doglianze, la Corte UE osservava che il principio della certezza del diritto esige, da un lato, che le norme di diritto siano chiare e precise e, dall’altro, che la loro applicazione sia prevedibile per i soggetti dell’ordinamento soprattutto quando esse possono avere conseguenze sfavorevoli. Detto principio impone in particolare che una normativa consenta agli interessati di conoscere con esattezza la portata degli obblighi che essa impone loro e che essi possano conoscere senza ambiguità i loro diritti e i loro obblighi e regolarsi di conseguenza. Tuttavia, tali esigenze non possono essere intese nel senso che ostano a che il legislatore dell’Unione, nell’ambito di una norma che esso adotta, utilizzi una nozione giuridica astratta né nel senso che impongono che una simile norma astratta menzioni le diverse ipotesi concrete in cui essa può essere applicata, in quanto il legislatore non può determinare in anticipo tutte le suddette ipotesi. Di conseguenza, il fatto che un atto legislativo conferisca un potere discrezionale alle autorità preposte alla sua attuazione non disattende di per sé l’esigenza di prevedibilità, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un simile potere vengano definite con sufficiente chiarezza, in considerazione del legittimo obiettivo in gioco, per fornire una protezione adeguata contro l’arbitrio.

Considerazioni sulla pronuncia della Corte di Giustizia UE alla luce del principio della certezza del diritto

La motivazione della Corte non appare convincente. La Commissione, infatti, nonostante il respingimento dei ricorsi, verosimilmente consapevole dell’esistenza di un vulnus esistente nel regolamento in termini di certezza del diritto, pochi giorni dopo l’emanazione della sentenza (2 marzo 2022), sentiva la necessita di integrare il provvedimento regolamentare – ritenuto pertanto insufficiente – attraverso degli “orientamenti sull’applicazione del regolamento relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione”. Oltre a fornire indicazioni procedurali, l’allegato 1 di tali “orientamenti” contiene: “Esempi indicativi di violazioni dei principi dello Stato di diritto”.

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Avere avvertito la necessità di apportare importanti elementi integrativi al Regolamento, ha certamente – a posteriori – confermato le perplessità sul contenuto della decisione atteso che – rebus sic stantibus – il regolamento era evidentemente lacunoso in spregio del fondamentale requisito della certezza del diritto e cioè uno dei vizi denunciati dai ricorrenti. Come si è visto, gli “orientamenti” non hanno integrato meri elementi di procedura o di dettaglio secondari, ma la stessa operatività del meccanismo giuridico rappresentato dalle condizioni di operatività delle misure – gravissime – di salvaguardia per il bilancio.

Il principio della certezza del diritto costituisce uno dei pilastri che informano il sistema europeo ed è stato richiamato più volte dalla CGUE. È lecito osservare che la Corte abbia disatteso tali principi-cardine. Affermare, come fa la Corte, che le esigenze di certezza non possono essere intese nel senso che ostano a che il legislatore dell’Unione, nell’ambito di una norma che esso adotta, utilizzi una nozione giuridica astratta in quanto il legislatore non può determinare in anticipo tutte le suddette ipotesi e che, di conseguenza, il fatto che un atto legislativo conferisca un potere discrezionale non disattende di per sé l’esigenza di prevedibilità, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un simile potere vengano definite con sufficiente chiarezza, conduce a diverse possibili conseguenze. Le violazioni possibili possono avere una estensione imprevedibile in quanto possono trarre origine da fonti più disparate anche di natura non vincolante e possono avere contenuto incerto e mutevole anche in considerazione della strutturale mutevolezza degli obiettivi e contenuti del bilancio. Il richiamato inciso – contenuto negli “orientamenti” della Corte – secondo cui le indicazioni hanno carattere meramente semplificativo, lascia certamente aperto qualsiasi altro scenario applicativo con il conseguente e concreto rischio che la operatività del pericolosissimo meccanismo finanziario inibitorio possa essere caratterizzato anche da considerazioni extragiuridiche.

Anche la disposizione – contenuta nel Regolamento – secondo cui è necessario che la violazione dello stato di diritto possa condurre al meccanismo di tutela divenendo rilevante qualora sia direttamente incidente sulla tutela del bilancio, costituisce un limite solo all’apparenza atteso l’amplissimo spazio operativo delle disposizioni di bilancio.

Poiché gli atti comunitari devono essere adottati in conformità alle norme vigenti al momento della loro adozione, sarebbe in contrasto con il principio della certezza del diritto prendere in considerazione, per determinare la base giuridica di un atto, un’asserita evoluzione dei rapporti fra istituzioni che non sia ancora sancita dai testi normativi o che risulti dalle disposizioni non ancora operative. Bisogna anche considerare che il principio di certezza del diritto è stato applicato dalla Corte per verificare la capacità dei sistemi nazionali di garantire alle posizioni giuridiche di derivazione comunitaria una tutela equivalente a quella assicurata a livello nazionale e soprattutto una tutela effettiva.

Pertanto, la sentenza non appare condivisibile ma – ed è l’aspetto più rilevante – nemmeno i frettolosi “orientamenti” risolvono il difetto del requisito della certezza del diritto. Senza volere affermare o affrontare in questa sede le possibili distorte applicazioni per considerazioni politiche o meta-giuridiche, è indubbio che le politiche di bilancio interne degli Stati sono sottoposti – in questo contesto – a una minaccia grave, incombente e mutevole.

pier paolo poggioni
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Avvocato, ha insegnato presso l'Università di Siena ed è attualmente docente presso l'Università Cusano di Roma. Co-autore di Documenti per una finanza sostenibile- verso una finanza di sostenibilità ambientale (2020) e Circular Economy (2022).