di Alice Carrazza

Nel mondo del cinema, ogni tanto emerge un film che si distingue per la sua profondità e acume nascosti dietro l’apparenza. “Barbie”, l’ultimo blockbuster che ha sorpassato il miliardo di dollari di incassi globali, si rivela essere un capolavoro di critica e parodia, un gioiello per il pensiero conservatore che può sfuggire facilmente a una visione superficiale.

Come un doppio ritorno nel passato, sia “Barbie” che “Oppenheimer” di Christopher Nolan contribuiscono a un affascinante revival del cinema estivo. Con sfumature cromatiche diverse, il rosa di “Barbie” e l’eleganza cupa del nero di “Oppenheimer”, che si fondono nella nostra realtà in un dibattito sempre più acceso e polarizzato. Se da un lato, infatti, commentatori conservatori come Ben Shapiro esprimono il loro dissenso con lunghe recensioni, bruciando bambole in segno di protesta, o come Claudia Ruvinetti, focalizzandosi sull’odio femminile nei confronti degli uomini, altri vanno oltre l’apparente banalità delle bambole Mattel. Perché in un’epoca in cui l’agenda liberale sembra dominare le narrazioni cinematografiche, invero, “Barbie” sorprende per il suo audace richiamo al pensiero conservatore.

“I conservatori dovrebbero esultare”

Dunque, “I conservatori dovrebbero esultare e non disperare”. Queste, le parole di Katrina Trinko, editor e capo del Daily Signal della Heritage Foundation. Per coglierne il punto è necessario guardare oltre la superficie rosea e leggere il film come una satira geniale sulla nostra società plastificata.  “Barbie” smaschera la follia della teoria di genere, ribaltando l’attenzione verso la naturale complementarità tra uomo e donna. Il film parodia il nostro mondo di plastica, in cui le donne sono esagerate Barbie e gli uomini si avvicinano pericolosamente alla copia dei Ken. Questo non è solo un film, è uno specchio che ci mostra una realtà sconcertante : una società in plastica che si è persa nei suoi stessi stereotipi.

Ecco perché il film va oltre l’apparente banalità delle bambole Mattel e si rivela come uno specchio critico della realtà attuale. “Barbie” offre così una prospettiva profonda e paradossalmente rivelatrice.

La scelta di portare la Barbie sul grande schermo non mirava semplicemente a coinvolgere le bambine, ma aveva come obiettivo primario gli adulti e la modifica del loro immaginario. Riconoscendo che il problema del calo demografico avrebbe potuto influenzare direttamente il mercato delle bambole, l’azienda Mattel ha intrapreso questa sfida al fine di preservare le vendite future, poiché il calo previsto delle nuove generazioni di acquirenti avrebbe messo a rischio la redditività dell’azienda stessa. In un mondo senza bambine, le Barbies perderebbero il loro significato, e il film sottolinea astutamente come il mercato stesso sia influenzato da questioni ben più complesse di quanto sembri.

Nina Power, senior editor di Compact, scrive: “Il film della Gerwig è in definitiva di buon cuore, rompendo la quarta parete per ipotizzare una quarta ondata femminista. Se la prima ondata cercava la rappresentanza politica; la seconda, la realtà e la storia delle donne; la terza – beh, qualunque cosa fosse; la quarta postula un ritorno alla differenza sessuale e a un mondo eterosociale in cui uomini e donne vanno d’accordo”.

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Il film ci mostra la bellezza e la forza della natura umana, senza cadere nell’assurdità del matriarcato o del patriarcato. Essere donna, come è stato inteso fin dall’inizio, è bello e affascinante. La scena finale di Barbie che si reca dal ginecologo è un gesto potente che rimette al centro l’autenticità della persona, della donna.

L’opera della Gerwig, come la femminilità stessa, va oltre la semplice superficialità; è una sfumata esperienza umana che, quando ridotta a mere etichette, rischia di perdere la sua vera essenza. Quindi, ci troviamo davanti a una cruciale domanda: quale eredità vogliamo lasciare alle prossime generazioni di donne? In un mondo in costante trasformazione, Barbie ci invita a scrutare oltre le apparenze levigate e a considerare le profonde sfumature dell’identità femminile tanto quanto quella maschile.

Dunque, Barbie potrebbe emergere come un’icona conservatrice grazie alla sua capacità di sfidare l’attuale panorama culturale e di far emergere temi profondamente radicati nel pensiero conservatore. La pellicola sprona una riflessione critica sulla società moderna, riaffermando l’importanza dei valori autentici e della differenza sessuale. Attraverso la rappresentazione di Barbie e Ken, il film mette in discussione le eccessive omologazioni culturali e la tendenza all’omogeneizzazione dei ruoli di genere. Una critica al concetto di “gender fluidity” e la rappresentazione di Barbie come icona femminile devono essere accolti con favore dai conservatori mondiali che difendono la tradizione familiare e la centralità dei ruoli genitoriali. Quindi, perché non fare di Barbie un’icona conservatrice? Quale simbolo migliore per incarnare i veri valori con tanta forza e chiarezza?

In conclusione

Concludendo, “Barbie” presenta un’interessante alternativa alla narrativa prevalente di progressismo e individualismo e, al contempo, ci spinge a riflettere sulla realtà umana. Questo capolavoro va oltre le apparenze, invitandoci a guardare oltre la superficie plastificata della società attuale. Si erge come una critica illuminante del nostro mondo contemporaneo e ci sprona a considerare ciò che veramente conta nella vita. In un’epoca dominata da Barbie in plastica, questo film ci invita a riscoprire la bellezza della realtà umana. Ecco perché possiamo considerare “Barbie” come l’emergente icona conservatrice.

Extra
alice carrazza
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Responsabile della comunicazione del Centro Studi Machiavelli. Laureata in Relazioni internazionali, sta attualmente conseguendo il secondo titolo in Scienze della politica, della sicurezza internazionale e della comunicazione pubblica.