di Emanuele Mastrangelo

Lettera ferragostana aperta e semiseria a Elon Musk, Mark Zuckerberg, Gennaro Sangiuliano e Giorgia Meloni.

L’Italia è spaccata in due – more solito – fra chi è contento che due ultra-mega-stramiliardari abbiano scelto il nostro Paese per il loro istrionico incontro di arti marziali e chi invece si strappa le vesti e grida al “leso patrimonio culturale”.

Certo non è stato molto elegante da parte di Musk annunciare via X d’aver preso accordi con Presidente del Consiglio e Ministro della Cultura prima di un comunicato ufficiale dei due interessati, tuttavia l’Italia negli ultimi 30 anni ha dovuto mandar giù di molto peggio, quindi siamo vaccinati e non ci formalizziamo.

Ma davvero il nostro Paese dovrebbe mettere a disposizione un pezzo del suo patrimonio archeologico per lo spettacolo circense (lato sensu) dei due tychoon del web? Molti obbiettano – e con ragione – che l’esperienza dei Pink Floyd a Venezia nel 1989 basta e avanza. Ed erano i Pink Floyd, non uno scassatimpani di quelli che fanno vincere a Sanremo oggi… Né una coppia di iper-stra-megamiliardari tornati bambini che hanno preso il Bel Paese per il cortile di casa dove organizzare una partita di pallone. Altri giustamente fanno notare che i due ricconi così tratterebbero l’Italia come una escort d’alto bordo da 10.00 euro per una notte e poi ciao.

Eppure possiamo davvero rinunciare all’occasione di avere gli occhi di mezzo mondo puntata sullo Stivale per quello che – oggettivamente – è l’incontro del secolo fra due personaggi fra i più amati (e odiati) del globo. Fare gli spocchiosi Conti Raffaello Mascetti, morti di fame sì, ma che un tempo potevamo comprarci tutta la compagnia e girare con un orso bruno al guinzaglio? Siamo comunque un popolo troppo intelligente per sciupare questa opportunità e contemporaneamente coglierla senza dover fare i camerieri col capello impomatato e l’asciugamano sull’avambraccio stile vignette di propaganda anti-italiana di Leslie Illingworth durante la Seconda guerra mondiale.

E allora, ecco la modesta proposta: cari multi-stra-ipermiliardari, volete un’arena romana, in una città romana per farvi il vostro scontro tipo gladiatori romani? Ottimo. Costruitevela. L’Italia mette a disposizione i permessi, la città romana (che ne so, Roma?) e il personale tecnico e di manodopera. Voi ci mettete i soldi.

Sto parlando di una copia filologicamente perfetta di un’arena romana: un’ellisse in pietra e laterizio di un centinaio di metri d’asse maggiore, con una capienza di 30 mila spettatori, che può essere realizzata con mezzi contemporanei ma rispettando le tecniche costruttive romane. Ma questo sarebbe il minimo.

La vera sfida sarebbe realizzarla schiantando tutte le tempistiche dell’Italia europeizzata: burocrazia, permessi, ricorsi al TAR…

Ora immaginate: diciotto mesi per trovare l’area, acquisirla dai privati se necessario (oh, i soldi ce li avete, non fate i taccagni), realizzare le demolizioni propedeutiche le opere di urbanizzazione necessarie (30 mila posti: occorre un parcheggio adeguato per almeno 10 mila auto), ordinare e stoccare i materiali (niente cemento armato, solo laterizio e pietra, non barate). Ovviamente, nel frattempo devi prendere architetti, docenti di Archeologia e Storia romana e metterli alla frusta perché ti sfornino un progetto operativo. Cosa peraltro non molto difficile perché basterebbe copiare pedissequamente uno dei tanti anfiteatri lasciati dall’Impero in tutto il mondo mediterraneo.

E qui viene il difficile: ottenere i permessi, realizzare gli studi di fattibilità e di impatto ambientale nei tempi più rapidi possibili, superare le inevitabili proteste, i ricorsi al TAR (ne arriveranno perché il nostro è un popolo di santi, poeti, navigatori e mestatori). E qui si farebbe la nobiltà del governo che ha già detto di sì a Musk.

Il risultato finale sarebbe un’opera degna d’essere ricordata nei secoli. Non tanto per il valore architettonico – per i Romani quella era robetta – quanto per aver dato una frustata, una scossa a un paese addormentato, se non moribondo. Un paese che per realizzare porcherie come la “Nuvola” di Fuksas ha impiegato un decennio, in cui i cantieri della metropolitana romana sono la barzelletta del mondo e che ha un Museo della Civiltà Romana chiuso dal 2014 perché c’è stato un banale cedimento strutturale (così almeno dicono).

Alla fine l’arena costruita coi lauti assegni dei due stra-iper-ultra-megamiliardari resterebbe all’Italia come centro di un nuovo polo storico-museale (oppure come aggiunta a qualcosa di già esistente: il Museo della Civiltà Romana dell’EUR, per esempio), candidandolo ad animare mostre, convegni e soprattutto spettacoli di rievocazione storica e storia sperimentale (gli anglofoni la chiamano living history). Una forma di infotenimento che in molti altri paesi già si fa ad altissimi livelli (non centurioni coi calzini sotto le calighe e l’orologio al polso, per intenderci) con vere lezioni di qualità universitaria per spettatori d’ogni età e immersioni totali nella vita e nei costumi del passato, che sfortunatamente in Italia (e a Roma in particolare) è molto sottovalutata.

In conclusione, cari signori, potete passare alle cronache come buffoncielli arricchiti e camerieri impacciati oppure passare alla storia come audaci costruttori e coraggiosi bonificatori delle paludi burocratiche italiane. Scegliete voi.

(PS. Vi ho dato un indizio su un ottima location a due passi dal Museo della Civiltà Romana all’EUR. Se demoliste quell’ecomostro entrereste nel firmamento al pari di un Apollo Pizio).

Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa dellacancel cultureche sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).